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 2009  dicembre 22 Martedì calendario

VOLATA DI GRUPPO PER IL TOUR DI TRIESTE

Dicembre, cade la neve, si fanno bilanci dell’anno che si chiude e, come tradizione, sotto l’albero si parla di
Assicurazioni Generali , la signora senza marito del capitalismo italiano che il prossimo aprile si troverà alle prese con il rinnovo dei vertici. Come in passato, si preannunciano turbolenze che nelle ultime occasioni si sono dissolte in una piatta calma. «In ogni caso ”spiega un autorevole azionista della compagnia – stavolta la questione della presidenza si risolverà a ridosso dell’assemblea, e non mi stupirebbe se ciò avvenisse uno, due giorni prima». Al fatidico appuntamento, che puntuale cade da sempre l’ultimo sabato di aprile, mancano ancora quattro mesi.
A sentire il nostro interlocutore è dunque prematuro parlarne, se non altro perché chi ambisce al posto ora occupato da Antoine Bernheim rischia di fare la fine del ciclista che lancia la volata quando ancora il traguardo è lontano rischiando così di arrivarci spompato. Chi se ne occupa fa dunque accademia, astratto esercizio su qualcosa che è di là da venire. L’unica cosa che tutti, o quasi tutti, danno per scontata è che l’86enne banchiere parigino, il quale ha passato gli ultimi vent’anni di carriera in una sorta di mutualistica simbiosi con la compagnia del leone, verrà giubilato (si parla di presidenza onoraria) con tutti i peana del caso. Ma siamo proprio sicuri che la sua sostituzione sia già cosa fatta? E poi, trattandosi di uomo coriaceo e di profonde relazioni con molti santuari della finanza internazionale e con i loro sacerdoti, è il caso di vendere lapelle dell’orso prima di averlo accoppato?
Chiosa l’azionista di cui sopra: «Ammesso che schiodare Bernheim dalla poltrona sia operazione indolore, molto più difficile è trovare l’accordo sul nome del successore. Perciò nulla di strano che, anche stavolta, il grande vecchio riesca a spuntare un anno di proroga.
Ciò per almeno due motivi: i suoi sponsor francesi, Vincent Bolloré in testa, non hanno il coraggio di dirgli apertis verbis che la sua stagione triestina è finita. Secondo, un anno di tempo consentirebbe una maggiore visibilità sui futuri assetti del capitalismo italico visto che, in coincidenza con l’assemblea delle Generali, verranno a scadenza i vertici di società i cui destini sono profondamente intrecciati a quelli della compagnia». Ecco dunque spiegato perché l’ex banchiere della Lazard, di cui da troppo tempo si strologa sull’uscita di scena,rischia di essere un tramonto che non tramonta mai. Anche se, al recente scambio di natalizi convenevoli che c’è stato in Mediobanca, Cesare Geronzi gli abbia fatto chiaramente capire che è arrivato il momento dell’addio.
Ora, che il banchiere romano sia convinto della necessità di un ricambio non è cosa di oggi, e ciò fa strame del sospetto che dietro la sua convinzione si nasconda anche l’ambizione di essere lui a prenderne il posto. Ambizione legittima, che la stragrande maggioranza dei soci delle Generali esaudirebbe senza battere ciglio. Bisogna vedere però se il suo eventuale passaggio a Trieste non lasci sguarnito il fronte milanese che attualmente egli presidia. Fuor di metafora, molti concordano sul fatto che Geronzi può andare a Trieste solo a patto di non perdere l’influenza su Mediobanca, che della compagnia sin dai tempi di Enrico Cuccia è da sempre deus ex machina e primo azionista. Per questo, ma l’ipotesi è stata smenita con decisione dagli interessati, si era parlato di Marco Tronchetti Provera come possibile futuro presidente dell’istituto.
Seconda in ordine di preferenze, per la successione a Bernheim riciccia il nome di Paolo Scaroni, attuale a.d. dell’Eni e consigliere d’amministrazione della compagnia. Nome non nuovo vi-sto che è emerso nel balletto delle candidature che precedette l’ultimo rinnovo dei vertici.L’interessato però si è sempre schermito con un "Hic manebimus optime" che ribadiva la sua volontà di non mollare il guinzaglio del cane a sei zampe. Eppure, nei segreti conciliaboli tra i signori del denaro, quella di Scaroni è ancora considerata come una soluzione possibile. Insieme a un’altra, sinora inedita, ma che annovera entusiasti, e magari in parte interessati, sostenitori. Ovvero la possibilità che sia Mario Draghi, attuale governatore di Bankitalia sempre in predicato di assumere prestigiosi incarichi internazionali (in primis la presidenza della Banca centrale europea), a diventare presidente del più importante gruppo finanziario italiano. Cosa che però non potrebbe avvenire prima del 2011, perché Draghi vuole prima giustamente giocarsi la partita di Francoforte e sedersi sulla poltrona attualmente occupata da Jean Claude Trichet. Un anno, appunto, nel quale senza smuovere troppo le acque chi è già a Trieste potrebbe tenergli caldo il posto. Ed è su questo che i sostemitori di Bernheim fanno leva per aggiungere altri dodici mesi al suo già lunghissimo regno. Magari concedendo, in cambio, quella riforma della governance che specie gli ultimi arrivati nel board di Trieste reclamano da tempo. Una riforma che definisca in maniera chiara ruolo e poteri di un capoazienda che releghino quella del presidente a figura di mera rappresentanza.