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 2009  dicembre 22 Martedì calendario

ARTICOLI SULLA CRISI DELL’EUROTUNNEL


LA MALEDIZIONE DELL’EUROTUNNEL - LEONARDO MARTINELLI PER IL SOLE 24 ORE - Una ricerca disperata: un posto qualunque per Londra. Nel senso che da Parigi c’è chi si è addirittura imbarcato su voli per Milano, Madrid o Zurigo, per poi da lì volare alla destinazione finale, la capitale inglese. E da Londra lo stesso. In entrambe le città la ricerca affannosa di voli aerei alternativi o ancora di un posticino sui vecchi pullman, che a Calais o a Dover scivolano sui vecchi traghetti. Perché i modernissimi Eurostar, Tgv di ultima generazione, fiori all’occhiello della tecnologia francese, non circolano più attraverso il tunnel sotto la Manica. Maledetto Eurotunnel.
Quella parola provoca ancora sussulti in tante famiglie di Francia, che alla fine degli anni Ottanta si fecero convincere a mettere i loro soldi in quell’opera faraonica, presentata come un investimento senza rischi, roba da noiosi padri di famiglia. Per 400mila piccoli risparmiatori Eurotunnel, azione che crollò, mentre la società restava in bilico sull’orlo del fallimento, si trasformò in un incubo. Soltanto a partire dal 2007 l’azienda è stata risanata e il titolo ha ripreso rapidamente quota, compensando (ma solo in parte) le perdite degli investitori. Sembrava tutto filasse liscio, finalmente. Ma l’11 settembre 2008 il ribaltamento di un camion, trasportato su una delle navette che passano ogni giorno attraverso il traforo, provocò un incendio che lo devastò. Ci vollero parecchi mesi per ritornare alla normalità. Maledetto Eurotunnel.
Quell’incidente era stato forse dimenticato. Ma la maledizione non sembra avere fine. La notte fra venerdì e sabato scorsi uno dietro l’altro tre Eurostar si sono bloccati dentro l’Eurotunnel con il motore piantato. Altri due convogli, sopraggiunti subito dietro, hanno rallentato precipitosamente. Ebbene, 2mila passeggeri in panico: in certi casi ci sono volute 17 ore per tirarli fuori da quel buco. Ma quando finirà questa maledizione? «No, non parliamo così. E poi questa volta non abbiamo alcuna responsabilità. Anzi, se non ci fossimo stati noi quei treni sarebbero ancora lì dentro » osserva Pascal Sainson, direttore operativo di Eurotunnel, alle spalle alcune notti insonni.
Facciamo una premessa. La società Eurotunnel gestisce il traforo e anche il traffico delle navette, che permettono il passaggio di auto e camion. Ma non i treni passeggeri, che fanno riferimento a Eurostar, una società che ha laSncf,l’ente ferroviario francese, come azionista di maggioranza. E quella notte da dimenticare «a tirare fuori gli Eurostar in panne sono state le nostre locomotive diesel Krupp – continua Sainson - che abbiamo comprato proprio per affrontare questo tipo di emergenze ». Insomma, la vecchia, affidabile tecnologia tedesca.
Ma perché gli Eurostar si sono bloccati? A causa della neve. La neve? Ma in quelle pianure fra Parigi e Calais nevica sempre d’inverno. «Quest’anno le precipitazioni sono state eccezionali – aggiunge Sainson - ma è già capitato che gli Eurostar si siano fermati per la stessa ragione: la neve entra nel motore e fa andare in tilt il sistema di ventilazione. Diciamolo una volta per tutte: è un problema endemico, strutturale di quei treni. Lo abbiamo detto così tante volte».
In effetti le navette in questi giorni hanno continuato a circolare perché provviste di un altro sistema di raffreddamento, più efficace. Da Eurostar, al riguardo, non arrivano commenti. «Abbiamo iniziato un’inchiesta interna – ha sottolineato ieri Richard Brown,direttore generale dell’azienda – e durerà qualche settimana». Ieri Nicolas Sarkozy è andato su tutte le furie. Ha convocato Guillaume Pépy, numero uno di Sncf. Alla fine l’annuncio: a partire da oggi, martedì, il traffico passeggeri dovrebbe essere parzialmente ripristinato.
Forse due convogli su tre normalmente in circolazione saranno operativi. Anche se il ritorno alla normalità è previsto solo dopo Natale. E la caccia alle alternative (aereo o pullman) continua.
Se anche la colpa fosse tutta di Eurostar (e, di riflesso, di Alstom, il costruttore di questi fantastici Tgv ad hoc per la linea, dal design accattivante), siamo sicuri che l’immagine di Eurotunnel non venga colpita, anzi abbattuta ancora una volta? «Speriamo che questo non succeda», conclude Sainson. Ma forse non ne è convinto, neppure lui. Nell’immaginario collettivo francese quest’opera, voluta così fortemente dai suoi politici (molto meno da quelli di oltre Manica), ha sempre rappresentato una scocciatura. François Mitterrand cercò a più riprese di convincere Margaret Thatcher a finanziare il traforo del secolo con i soldi pubblici di entrambi i paesi. Finché la Lady di ferro gli sbatté in faccia una frase eloquente: «Not a public penny». Così la costruzione dell’opera iniziò nel 1987 finanziata esclusivamente con soldi privati, alla fine di provenienza francese per l’80 per cento. E per metà in arrivo dalle tasche dei piccoli risparmiatori, perlopiù di provincia: per loro sottoscrivere quegli aumenti successivi di capitale di Eurotunnel era come acquistare i bond dello stato, una passeggiata.
L’inaugurazione del traforo avvenne in pompa magna nel 1994: tre gallerie parallele di 50 chilometri, 39 dei quali sotto il mare. Neanche i giapponesi erano riusciti a fare altrettanto. Furono Mitterrand (alla fine del suo regno) ed Elisabetta II (di cappello a larghe falde munita) a presiedere la cerimonia. Piccolo dettaglio: i costi, negli anni, erano lievitati in maniera preoccupante dai 7,5 miliardi di euro previsti a 16. Eurotunnel si indebitò a livelli irragionevoli.
Già dal 1997 la società finì sull’orlo della bancarotta. Vivacchierà per un decennio, maledetta dai piccoli azionisti francesi, che non la smetteranno mai di protestare davanti al portone dorato dell’Eliseo. Nella primavera 2007 il nuovo ammi-nistratore delegato, Jacques Gounon, un manager davvero capace, riuscì a rinegoziare il debito (nove miliardi di euro) del gruppo. E finalmente un colpo di fortuna per Eurotunnel. Perché da lì a qualche mese sarebbe scoppiata la crisi dei subprime e Gounon non sarebbe mai riuscito a strappare le stesse condizioni. E la salvezza.
All’inizio di quest’anno per l’esercizio 2008 l’amministratore delegato è riuscito perfino a offrire il primo dividendo agli azionisti: quattro miseri centesimi per titolo, pur sempre un simbolo. Dopo, però, a causa della crisi economica, i conti si sono di nuovo deteriorati. Adesso il patatrac natalizio di Eurostar. Ma quando finirà?
Leonardo Martinelli

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DA GIOIELO A INCUBO. PROCESSO ALL’EUROSTAR - FABIO CAVALERA PER IL CORRIERE DELLA SERA
Un paio di anni fa una strana fondazione, la «Fondazione delle Nuove Sette Meraviglie al mondo», ebbe la curiosa idea di lanciare un sondaggio: votate i capolavori dell’era moderna. Quarantacinque milioni di persone – fu assicurato – compilarono il questionario. E saltò fuori che la Torre Eiffel, l’Opera di Sydney e l’Empire State Building di New York erano davanti alle Piramidi. E lo era pure il «Chunnel», il nome che gli inglesi hanno dato all’eurogalleria nella Manica, quel «miracolo» che ha legato l’isola al continente, i tre «cilindri» che scorrono per 39 chilometri, da nord a sud, da Folkestone a Calais, e da sud a nord e dentro i quali sfrecciano i treni supertecnologici e superveloci (un’ora e 50 minuti da Londra a Bruxelles, due ore e quindici da Londra a Parigi), il vanto di François Mitterrand e di Margaret Thatcher, che fortissimamente sponsorizzarono la fantastica megaopera.
In effetti, da che il 6 maggio 1994 la regina Elisabetta con il presidente francese tagliò il nastro inaugurale, il Chunnel ha fatto viaggiare nelle profondità della Manica almeno 8milioni di passeggeri all’anno, 3 milioni e oltre di auto e tir caricati sui convogli, e ha trasformato un sogno, il sogno del francese Albert Mathieu e dell’inglese Henry Mottray che nel 1802 e 1803 per primi azzardarono la suggestiva ipotesi, in un serpente che ha spazzato via 8 milioni di tonnellate di roccia marina. Fantascienza diventata scienza, scienza che diventa, qualche volta, inferno, inferno sotto la Manica.

Si possono progettare le meraviglie mondiali ma quando la Natura si prende la rivincita allora sono guai seri, paure collettive che esplodono, arrabbiature che si gonfiano. Il gelo ha piegato il «Chunnel», tre giorni e più di blocco, ha mandato in frantumi certezze e fantasie, ha obbligato la società che lo gestisce a chiedere scusa. E ci mancherebbe, visto l’incubo vissuto dai duemila ignari turisti che si sono trovati al buio e affamati per 18 ore su ben cinque treni fermati dall’effetto condensa creatosi nel passaggio, hanno diagnosticato i tecnici, dalla superficie alla galleria, viste pure le migliaia di persone che si sono ammassate nella stazione di St. Pancras a Londra, illuse e abbandonate senza notizie: partiamo o non partiamo? Per fortuna, qualcuno alla fine ha avuto il coraggio di raccontare la verità. Black-out. Le previsioni avevano ammonito ma come è possibile solo immaginare che le tecnologie più sofisticate si imballino per via del cielo carico di nubi e neve? Invece, puntuale il flop è arrivato, il cordone ombelicale col continente si è congelato. Il galattico Eurostar è finito in tilt, giusto poco dopo l’imboccatura a Calais, direzione Dover. A catena si sono trovati intrappolati, notte fra venerdì e sabato, altri quattro Eurostar. Gli allegri reduci dalla trasferta parigina a Disneyland si sono sentiti protagonisti di un film dell’orrore. Vale su tutte la testimonianza del sergente di Scotland Yard, Anton Menzies, che con la moglie si era preso una vacanza per fare divertire i due figli di 3 e 6 anni al grande parco di Topolino e Biancaneve. C’era il panico sul treno e lo staff se ne stava muto, impassibile, indifferente. Per dirla con ironia britannica: «Non sembrava ansioso di raccontare cosa stava accadendo e tenere calma la gente». Porte sbarrate, circolazione dell’aria bloccata, bagni infrequentabili. Prima il freddo polare. Poi il caldo tropicale, urla, bambini in lacrime, claustrofobici collassati. «Nightmare». Incubo, appunto. Ieri il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha convocato il numero uno delle ferrovie Guillaume Papy chiedendo che il servizio riprendesse oggi. Nulla è perfetto. E nulla si può di fronte a intemperie o imprevisti. Anche le meraviglie dell’ingegneria moderna hanno i loro difetti. I peggiori, però, quelli che inglesi e francesi non tollerano, sono l’incapacità di gestire l’emergenza, i ritardi, i silenzi su quelle 18 ore nel «Chunnel», a 150 o 200 metri di profondità. Un guasto per bene si perdona. La maleducazione e l’incompetenza no.