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 2009  dicembre 22 Martedì calendario

Voglio un figlio griffato - Sui siti di moda tutte pazze per la giacca sfoggiata l’altra sera dalla Première dame alla tv francese

Voglio un figlio griffato - Sui siti di moda tutte pazze per la giacca sfoggiata l’altra sera dalla Première dame alla tv francese. E tutte a chiedersi: ma di chi sarà mai? Era un pezzo della collezione bambino di Gap Kids firmata Stella McCartney. Ora la giacca è sold out e pare che a comprarla siano quarantenni che, come Carlà, ci si strizzan dentro. I bottoni non si allacciavano nemmeno a lei, ma la moda è lanciata!Anna Maria Curcio è docente di Sociologia e direttore del Laboratorio sui fenomeni di moda all’Università di Roma Tre. Ha scritto I Nuovi Dandy per Franco Angeli e La costruzione dell’identità infantile attraverso le Fashion Dolls. Professoressa Curcio, sempre più genitori spendono cifre consistenti per avere i figli firmati come loro. Cosa scatta? «Il desiderio che i propri figli siano in linea con gli omologhi del quartiere, della classe sociale, della scuola; ma anche perché sono i figli stessi a chiederlo. I bambini sono grandissimi consumatori e, insieme, preziosi sollecitatori del mercato. Chiedono il marchio senza sapere perché, per loro è pura emulazione, ma questa richiesta viene riportata ai genitori in maniera ossessiva. E i genitori spesso subiscono, ma in cuor loro sono convinti che sia giusto che il figlio abbia quello che hanno gli altri». E il recente fenomeno del mini-me, come nasce? «C’è l’elemento ludico, il gioco del travestimento. Il primo input però viene dall’adulto, perché in fondo è un modo di ringiovanirsi. Il fenomeno si sta espandendo, prima era uno scherzo casalingo, come il mettersi lo smalto insieme. Ora non più, ci sono gli istituti di bellezza per bambini». Piccoli dandy crescono? E, nel subire il fenomeno, sono più «a rischio» le bambine o i maschi? «Sembrerà strano, ma sono i maschi i più sensibili sia alla novità sia alla vanità. Spesso sono proprio i bambini a ribellarsi alle mise imposte dai genitori, dalle madri soprattutto. E lì, allora, diventa un gioco di forza a chi la vince. In generale comunque bisognerebbe lasciarli liberi di esprimersi, almeno da piccoli. Fino ai 3-4 anni si mettono cose scombinate e questo non va represso, semmai il contrario». Griffare i figli forse è diseducativo ma appaga i genitori e fa sentire meno poveri. Sarà per questo che se la moda va così così, quella per bambini va benissimo. Ma quella alta, degli stilisti e dei marchi blasonati, quella dei brand di nicchia e di avanguardia, in materiali pregiatissimi e, va da sé, costosi. «In tempi di crisi ci si sente in colpa a spendere per sé, ma si sta bene a farlo per i figli». Parola di Anita Borzyszkowska, vice presidente del marchio americano Gap che quest’anno per la prima volta - come in Italia Benetton - ha sentito l’esigenza di avere una linea più esclusiva e quindi più cara. Gap ha chiamato Stella McCartney, la stilista inglese adorata dalle star, a disegnare una collezione fashion che per i maschi si ispira alle mise di Michael Jackson (pezzo cult: la military jacket con gli alamari bianchi) e per le femmine ai look di Sex & the City (pezzo cult: il tutù rosa che piaceva a Carrie Bradshaw). Un successo. Quanto a Benetton, ora ha anche una linea in cashmere e un maglioncino a trecce taglia 1 anno costa ben 90 euro. Ma le mamme apprezzano e pare che appena messi fuori, i capini siano andati a ruba e ora sono già in riassortimento. Del resto il «mondo bambino» per il marchio di Ponzano Veneto negli ultimi 10 anni ha raddoppiato la produzione (60 milioni di capi l’anno) e oggi costituisce oltre il 30 per cento del fatturato totale del Gruppo Benetton. Ma il vero boom riguarda i marchi di gamma alta e altissima. Come la collezione Little Marc di Marc Jacobs, di cui le celebri Mouse shoes miniaturizzate per bebé si vendono nelle boutique online a 53 euro. O come le linee Junior delle griffe che a gennaio sfileranno al Pitti Bimbo, il più importante appuntamento internazionale di moda per bambini. Ci saranno Junior Jean Paul Gaultier, Paul Smith Kids, e poi le nuove babycollezioni di John Galliano, Custo Barcelona, Diesel e Notify. E l’anno scorso lì ha debuttato anche la linea bimbo di Ballantyne, il cachemere a rombi più famoso al mondo. Nella moda come nel design è in atto una sorta di «miniaturizzazione» del mondo dell’adulto che porta a fenomeni come il «mini-me». Dal personaggio di Austin Powers, clone tascabile del dottor Male, ha prodotto, soprattutto nell’empireo hollywoodiano, coppie padre-figlio e madre-figlia che escono (e si fan paparazzare) esattamente con lo stesso look: l’ultimo nato della coppia Pitt-Jolie è comparso in Ray Ban e coppola proprio come il padre; così la piccola Suri Cruise (figlia di Tom e Katie Holmes) l’abbiamo già vista in tacchi (a tre anni) e con il classico trench Burberry (350 euro) identico a quello della mamma. Le collezioni Burberry per il bambino del resto si ispirano esplicitamente a quelle degli adulti – il trench, gli scacchi - e sono ormai una voce in crescita del marchio. La casa inglese ha aperto il suo primo monomarca per i piccoli a Hong Kong nel 2008, poi è stato un continuo di aperture in tutto il mondo: New York, Taiwan, Kuwait, Dubai, Istanbul, Londra. In Italia Dolce & Gabbana e Armani da sempre curano le loro linee bambino e anche Ermanno Scervino da due anni disegna e progetta personalmente la linea junior che veste bimbe dai 3 ai 14 anni con gli stessi temi e materiali della collezione delle mamme: cioè pelliccia vera e cashmere 100%. La minitestimonial massima di questo fenomeno globale, Suri Cruise, vanta pure un parco scarpe da fare invidia a Imelda Marcos, con peep shoes (quelle che lasciano la punta delle dita fuori), ballerine di Roger Vivier e persino delle Christian Louboutin (quelle con la suola rossa) da 5mila euro. Ma senza arrivare agli eccessi delle star, da anni alcuni marchi hanno puntato sulle collezioni «mini-me». Il francese Villebrequin, con negozio in via Spiga a Milano e nei posti più esclusivi del mondo, vende solo boxer da mare costosissimi nella stessa fantasia in versione padre e figlio; così il meno caro Comptoir des Cotonniers da tempo fa casting nelle città più grandi per trovare madri e figlie che posino per le sue campagne di pubblicità. Perché portare a spasso il proprio clone di 20 anni in meno sarà pure diseducativo, ma costa meno di una IT-bag e dà più soddisfazione. Agostino Poletto è vicedirettore di Pitti Bimbo, la «mini-fashion-week» internazionale più importante al mondo. Che succede, come si spiega questo «baby boom» nella moda? «Negli ultimi anni si è assistito all’ingresso di aziende del settore adulto che hanno deciso di fare linee bambino con un progetto serio. O autonomamente, o alleandosi con marchi che hanno sempre lavorato nel settore junior. Una collaborazione virtuosa: le aziende del bambino hanno portato in dote il loro know how di competenze sulle forme, le taglie di un cliente che conoscono bene; quelle dell’adulto hanno dato il loro apporto in strategie di marketing e comunicazione». Ma questi «capini» non le sembra che costino troppo? «Il lavoro è lo stesso di un capo da adulto. Un Fay è sempre quello. Si può risparmiare sul materiale, ma incide poco, la differenza la fa la manualità». Le sfilate da quando si fanno? «Una decina d’anni fa erano collettive, negli ultimi cinque si sono ”accese”, sono veri fashion show. Però a misura di bambino, sia per i tempi sia per la giocosità che vi si respira. Alcuni marchi sono già oltre, fanno mostre fotografiche, eventi in giro per la città». Al Pitti quest’anno c’è un importante settore eco-ethyc. Anche questa, però, è una moda degli adulti... «Se qualche anno fa sembrava una moda, ora è diventata una corrente forte in generale, e nel mondo del bambino ancora di più». Che ne dice del fenomeno mini-me, inquietante o no? «Le collezioni vincenti, alla fine, sono quelle che ben rappresentano il bambino, che non è omologato sull’adulto ma ha gusti e stili suoi. Chi fa una pura riduzione al 50% della collezione adulto prende una scorciatoia che non paga».