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 2009  dicembre 22 Martedì calendario

L’ULTIMO SOPRAVVISSUTO ALL’INFERNO DI VIAREGGIO


Voglio soltanto stare con mio figlio. Da oggi gli dedicherò ogni minuto, ogni secondo. Non ci lasceremo mai soli».
Marco Piagentini è tornato a casa, un condominio di due piani a Viareggio. La facciata grigia, le tapparelle abbassate come per tenere lontano il mondo ancora per un poco. Fuori dalle finestre si prepara il Natale, è tutto un correre da un negozio all’altro. Le insegne lampeggiano sull’asfalto bagnato. L’Italia guarda alle feste, è normale, non pensa più al 29 giugno, quando un treno esplose nella stazione di Viareggio uccidendo 31 persone. Ma domenica pomeriggio è tornato a casa Marco Piagentini, 41 anni, uno degli ultimi feriti ancora ricoverati (3 persone passeranno le feste in ospedale). A sentire il suo nome, pochi ricorderanno: Marco, però, è l’uomo che aveva raccolto intorno a sé i pensieri degli italiani. Tutti avevano seguito la sorte della sua famiglia: prima la morte di Luca, 5 anni, poi di Lorenzo (2 anni). Finché anche Stefania (40 anni) cedette alle ustioni.
Domenica un’auto si è fermata davanti alla casa e Marco è sceso, ha respirato profondamente: l’ultima volta che aveva visto Viareggio era un altro uomo, in queste strade vivevano i suoi tre figli, la moglie. Oggi la città sembra uguale e questo a Marco deve fare ancora più male: il mondo va avanti anche senza Luca, Lorenzo e Stefania. In quel momento, dopo mesi trascorsi protetto dai muri bianchi dell’ospedale di Padova, Marco ha capito. E’ tutto vero, non ci sono vie di fuga.
«Del mio mondo non resta che Leonardo», ha sospirato all’orecchio di Stefano Doveri, suo cognato. Forse Marco si è chiesto se la sua guarigione, che tutti a Viareggio chiamano «miracolo», non sia piuttosto una condanna. Ma la porta di casa si è aperta. Leonardo, il figlio maggiore, gli è corso incontro e Marco ha capito di non avere alternative: deve, vuole a tutti i costi vivere. «Staremo sempre insieme», gli ha ripetuto. Certo è durissima, perché Marco non ha avuto nemmeno la grazia di dimenticare. «Ricordo ogni istante», ha raccontato ai familiari. «Ho sentito l’odore del gas, ho capito che rischiava di scoppiare tutto. Sono corso a prendere Lorenzo, il piccolo, e l’ho caricato sull’auto. Non si capiva niente, gente che urlava, fiamme, mi sembrava di avercela fatta, poi ho visto che Leonardo non era con noi, allora sono corso in casa a prenderlo».
Marco racconta ai parenti, parla come se fosse del tutto naturale tornare tra le fiamme. Per lui, per un padre, lo è. Non è eroismo, ma amore. Proprio in quell’istante il destino della famiglia Piagentini si è spezzato: «Ero in casa con Leonardo, stavo portandolo fuori quando ho visto un bagliore accecante e il tetto ci è crollato addosso». Ma quella che sembrava una trappola si è trasformata nella salvezza. Poi è cominciato il calvario, le settimane all’ospedale di Padova: «Ero sedato, ma sentivo tutto. Capivo quello che mi stava succedendo». Marco era chiuso nel suo corpo, con le ustioni al novanta per cento che gli procuravano dolori indicibili, ma non poteva parlare, non poteva fare quell’unica domanda: «Come sta la mia famiglia?».
«Dopo tre mesi, quando ha cominciato a riprendersi, abbiamo deciso di dirgli la verità», racconta Stefano Doveri. «In realtà sapevo già tutto, non so come, ma lo percepivo», rivela Marco. Così ha vissuto da ottobre a oggi, con il corpo che si riprendeva, che lo costringeva a vivere, insieme con il pensiero fortissimo di Leonardo. «Ci siamo consultati con gli esperti e abbiamo deciso di raccontare tutto al bambino», racconta Stefano. Marco all’ospedale di Padova, Leonardo in casa della nonna, da quel momento vivono uno per l’altro.
Oggi sono di nuovo insieme. «Sto bene», assicura Marco. Aggiunge: «Fisicamente». Ed è vero: a guardarlo è sempre lui, non è sfigurato. «Avevo paura per le mani, ma stanno guarendo», racconta Piagentini. Riesce a muoversi e ad alimentarsi da solo, scambia messaggi via internet. Ma arrivano gli attimi di silenzio, c’è la notte dura da passare: in lontananza senti i treni, proprio in questo punto il convoglio merci è deragliato. A poche centinaia di metri c’è via Ponchielli. Deserta: l’asfalto coperto di fango, un vuoto al posto della casa dei Piagentini.
Ma gli amici e la gente di Viareggio non lasciano solo Marco. Di fronte alla casa della suocera, dove adesso vive, compaiono striscioni: «Bentornato», «Forza, devi farcela: Leonardo ti aspetta». Parole di conforto e di rabbia: «Non servono condanne per sentirsi colpevoli, Moretti (ad delle Ferrovie, ndr) dimettiti».
Piagentini dalla finestra li vede e dentro di sé ha già deciso: «Devo farcela, devo pensare al futuro», ripete. «Lui è un tipo positivo», assicura il cognato e tornano in mente le foto di Marco prima della tragedia, con quel sorriso che gli allargava il viso stretto da eterno ragazzo.
Marco tornerà a vivere, a lavorare come impiegato. Certo sarà dura: vivere, ma ricordare. Come camminare su un filo sospeso sull’abisso. E chissà, forse Marco guardando la gente che cammina in strada, presa da mille preoccupazioni, una cosa vorrebbe dirla: tornate a casa, pensate a quello che avete, voi non sapete come siete fortunati.