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 2009  dicembre 21 Lunedì calendario

Loyos AlexandruIstzoika

• Romania 25 maggio 1989. Il ”biondino” arrestato nel febbraio 2009 con il connazionale Karol Racz (’faccia da pugile”) con l’accusa di essere gli ”stupratori della Caffarella” (14 febbraio 2009), furono poi riabilitati dall’esame del Dna • «’Com’è potuto accadere che per venti giorni due innocenti siano stati ritenuti colpevoli dello stupro della Caffarella? La mia opinione è che l’inchiesta è stata piegata alla necessità di rispondere rapidamente all’emergenza sociale”. Francesco Taurisano, presidente di collegio al Riesame di Roma, [...] è [...] il giudice che ha scagionato Karol Racz e Alexandru Loyos Iszstoika, i due rumeni finiti sulle prime pagine dei giornali di tutta Italia come ”gli stupratori della Caffarella” e poi salvati dalla prova del dna, nonostante la procura insistesse col dire che i colpevoli erano loro. [...] Dove nasce la ”deviazione” che ha portato a incriminare due innocenti? Con la confessione del biondo Loyos, quando il 18 febbraio alle 2 della notte viene interrogato dal pubblico ministero, dice di essere il responsabile della violenza della Caffarella e accusa anche Racz. Quell’elemento imprime una svolta al percorso di ricerca della verità. Tutti gli altri tasselli, dovevano aderire a questo assunto. [...] la vittima che, individuando in una foto il ”biondino” Loyos, apre il percorso investigativo. Ma poi c’è un altro passaggio. In quelle ore tra il primo fermo amministrativo di Loyos e l’interrogatorio delle due del mattino c’è qualcosa che determina Loyos a ammettere il falso. stato detto che prima della confessione potrebbe esserci stato un contatto tra i veri autori della violenza e Loyos. Che si sarebbero parlati nel campo rom, o forse si erano conosciuti in carcere... Le carte non dicono questo. C’è una identificazione fotografica, subito dopo c’è un controllo del commissariato Monte Mario che porta al fermo amministrativo del biondo Loyos, condotto negli uffici della Squadramobile di Roma. E dopo nove ore arriva la confessione in cui indica Racz. Ma quel racconto è minato dal principio. Ci sono delle fratture insanabili tra quello che denuncia la vittima e quello che dice Loyos e altri punti troppo simili. Parliamo dei particolari simili. C’è stato un giallo sul luogo dell’incontro... Dopo alcuni giorni dalla prima denuncia, il fidanzato della vittima ha spiegato che il luogo della violenza non era accanto alla panchina individuata inizialmente dalla ragazza. Una panchina di cui parla anche Loyos, nella confessione trasmessa da Porta a porta e pubblicata on line da alcuni giornali. I due giovani si erano già appartati, non c’era stato nessuno spostamento. Quindi, nel caso della panchina, Loyos parla di un dettaglio indicato inizialmente dalla ragazza, che poi si rivela falso. Sì. La sua sembra una rappresentazione indotta, derivata dalla conoscenza dei particolari riferiti inizialmente dalle vittime. Poi, cade su delle circostanze semplici. stata una ricerca della verità alimentata dalla voglia di affermare necessariamente quello che si era già conseguito e guadagnato. La cosa strana è che il fidanzato della vittima fin dall’inizio parla del secondo uomo individuandolo come uno alto 1.70 o 1.75, con i capelli neri ”del tipo di quelli portati dagli uomini di colore” e col naso tipico dei pugili. Racz è alto appena 1,60 ha una vistosissima stempiatura, un naso che non ha nulla di avvicinabile a quello di un boxer e non parla né comprende la lingua italiana. Nella denuncia le due vittime dicono che ha parlato in italiano. Una confessione ”indotta” da chi? [...]» (Sara Menafra, ”il manifesto” 28/4/2009) • «Due arresti per rapina con lesioni e furto aggravato, più una denuncia per ricettazione collezionati nel giro di due settimane, tra il 27 settembre e l’11 ottobre 2007. E una condanna a cinque mesi di carcere, arrivata l’8 febbraio 2008. Questo c’era a carico di Alexandru Isztoika Loyos (o Loais, o altri alias) quando il prefetto di Roma l’aveva espulso dall’Italia. Ma non è bastato. Gli arresti, la denuncia e la condanna ”non appaiono sufficienti ad integrare l’ipotesi della minaccia concreta, effettiva e grave ai diritti fondamentali della persona ovvero dell’incolumità pubblica, e tale da determinare l’ulteriore permanenza sul territorio incompatibile con la civile e sicura convivenza”. Neppure la sentenza di colpevolezza ”per uno dei reati di cui al decreto prefettizio”, segnalata dal rappresentante della questura durante l’udienza, ”non fornisce l’indicazione di fatti circostanziati e idonei a giustificare l’allontanamento immediato del cittadino rumeno”. Così ha scritto, il 15 luglio 2008, il giudice onorario del tribunale civile di Bologna Mariangela Gentile quando ha annullato il provvedimento della questura di Viterbo (città nella quale il rumeno aveva scontato la pena, e dove era stato scarcerato) in esecuzione del decreto di espulsione ”per motivi imperativi di pubblica sicurezza”, emesso il 2 maggio 2008 dal prefetto di Roma. [...] stabilito che [...] non era un pericolo per la collettività, e [...] fatto uscire dal Centro di identificazione e espulsione di Bologna, dov’era rinchiuso [...] nuovo arresto il 10 ottobre 2008, sempre per furto aggravato, oltre a una seconda condanna a due mesi di galera. [...]» (Giovanni Bianconi, ”Corriere della Sera” 19/2/2009).