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 2009  dicembre 21 Lunedì calendario

RISPARMIATORI IN CERCA DI RISARCIMENTO


Recuperare quasi sette decimi di quanto avevano investito in Parmalat e rovino­samente perso al momento del crac del­la multinazionale di Calisto Tanzi: l’avessero provato a immaginare in quei giorni di Natale del 2003, mentre il patron dell’impero del latte Uht era in cella dopo un misterioso viaggio in Ecuador e i giornali parlavano già di crac del secolo, li avrebbero prima presi per matti e poi sopportati come malinconici sognatori. E inve­ce, sotto l’albero di Natale di 6 anni dopo, è pro­prio questo il conto finale (67-68% di recupero) per la maggior parte dei 32.000 obbligazionisti raccolti nel Comitato organizzato dal San Pao­lo, guidato dal professor Carlo Federico Grosso e presieduto da Giancarlo Ge: un bottino rag­granellato fra transazioni con le banche proces­sate nei Tribunali, performance dell’azione e dei warrant distribuiti agli ex bondholder e di­stribuzione di dividendi provenienti in larga parte dalle revocatorie bancarie gestite in que­sti anni dall’amministratore delegato, Enrico Bondi.

Una percentuale, questo 67-68% di recupero, che spicca sia in rapporto alla dimensione co­lossale del buco di 14 miliardi di euro di Parma­lat sia se messo a confronto con le lacrime e sangue dei risparmiatori incappati in altre vi­cende confrontabili, come il crac Cirio o la saga degli ex Tango bondholder . I conti sono presto fatti: per i 170 mila creditori italiani dell’Argen­tina che a cavallo tra il 2005 e il 2006 hanno accettato l’offerta dell’allora governo Kirchner (Nestor, marito dell’attuale capo di governo Cri­stina) il recupero grazie ai titoli discount è sta­to del 33-34%. Per gli altri 270 mila l’unica spe­ranza è che passi la proposta di riapertura del­­l’offerta nel 2010. Per gli obbligazionisti Cirio, nonostante il crac sia avvenuto anche prima di quello di Collecchio, la situazione è ancora mol­to incerta. Sulla base della relazione al 31 dicem­bre 2008 fatta dai tre commissari Mario Resca, Luigi Farenga e Attilio Zimatore, nonostante le promesse molto più corpose e in attesa dei se­condi riparti, per adesso la situazione è questa: il 6,25% per chi aveva le Cirio Del Monte Italia; il 10,5% per le Cirio Del Monte Nv. Per la Cirio Finanziaria l’ammontare del riparto «non è an­cora determinabile». Gli unici «fortunati» sono i possessori delle Del Monte Finance Lux, una minoranza di fondi, con il 37,57% di recupero. Insomma, altri numeri. Senza contare che la partita Parmalat potrebbe essere incrementata ancora di qualche consistente frazione se andas­se in porto a Parma l’ultima transazione ancora in trattativa, quella con Capitalia, o venisse mo­netizzata parte della rediviva pinacoteca di casa Tanzi.

Ma come si arriva a calcolare questa percen­tuale di recupero di credito per la maggior par­te dei piccoli risparmiatori del Comitato, cioè per quelli che vantavano investimenti sotto i 5.000 euro? Non è questo il momento migliore in Borsa: il titolo ha avuto un picco storico a 3,2 euro a cavallo tra il 2006 e il 2007. E per i piccoli risparmiatori che avevano avuto la fortuna di vendere allora azioni e warrant il recupero era stato in un colpo solo tra il 60 e il 70%. In questi giorni il titolo è tornato sotto i 2 euro. Ma nono­stante questa frenata della quotazione altre par­tite sono state nel frattempo chiuse a vantaggio degli ex creditori del re del latte Uht. A sorpre­sa, proprio grazie ai processi che difficilmente in Italia portano risultati monetari per chi è vit­tima di frodi finanziarie.

Su questo fronte, curiosamente, il rapporto dei piccoli risparmiatori con la magistratura è stato ambivalente, ed esemplificato a un tratto quando tra gli avvocati del Comitato e i pm mi­lanesi del processo per aggiotaggio sono spriz­zate scintille sulla prima versione dei patteggia­menti chiesti da alcuni imputati e, secondo i ri­sparmiatori, baciati dal consenso della Procura milanese a prezzi troppo stracciati. Il primo no ai patteggiamenti di saldo, opposto dal Tribuna­le, è stato un punto di svolta. da qui in poi che i risparmiatori si sono giovati della sponda processuale milanese istruita dai pm Greco-Fu­sco- Nocerino (e poi di quella parmense con i vari filoni del processo per bancarotta e soprat­tutto con la prima decisione del giudice Trup­pa), «armando» le proprie trattative nei con­fronti delle banche e delle società di revisione delle «munizioni» fornite indirettamente dai processi.

Il risultato non è stato da poco. «Le transazio­ni ottenute dal comitato – spiega Grosso – sono state tre: la prima con Deloitte ha permes­so un recupero in media del 5 per cento sul va­lore nominale dell’investimento. In realtà un po’ di più per i piccoli e un po’ di meno per gli altri. Questi soldi sono già arrivati. La seconda è stata conclusa con Deutsche Bank, Ubs e Mor­gan Stanley e ha permesso il recupero di un ul­teriore 10%. Già accettata dai creditori sta per essere pagata. La terza è stata chiusa di recente con Citi, Bank of America e Credit Suisse e por­terà un altro 10%. In tutto, dunque, abbiamo re­cuperato il 25% in cash. Un po’ di più pari al 26% circa per i più piccoli». Un ulteriore 1% è arrivato inoltre non come accordo ma come onere imposto a Nextra dalla procura per pat­teggiare. Si arriva dunque al 26-27%. Un botti­no di cui si avvantaggeranno anche gli 8 mila obbligazionisti rappresentati dalle associazio­ni. Qualcosa potrà ancora arrivare da altre isti­tuzioni chiamate in causa nei processi, come Capitalia, e qualcos’altro potrebbe essere rim­polpato con la vendita di taluni dei Manet, Pi­casso, Van Gogh, Boccioni, Segantini, Kandin­sky e Monet sequestrati di recente a parenti di Tanzi, ma è probabile che la fetta grossa sia que­sta. Grossa e, va detto, difficilmente replicabile: gli enormi costi delle cause (spese procedurali obbligate, banche dati per gli elenchi, molto tempo e personale, fino a 10 persone per gesti­re la corrispondenza con 32mila persone, lavo­ro e trasferte del team legale) sono stati ammor­tizzati dal finanziamento del Comitato (circa un paio di milioni l’anno) da parte del San Pao­lo, banca che in molti casi era stata all’epoca l’intermediaria delle obbligazioni collocate ai ri­sparmiatori.

All’ammontare delle transazioni, va poi ag­giunto l’incasso di una vendita delle azioni che sulla base del piano Bondi erano state date agli ex obbligazionisti: per le 19 emissioni Parmalat Finance Corporation Bv, le più diffuse, il reco­very ratio era stato dell’11,9% per un valore no­minale dell’azione pari a un euro. Questo vuol dire che con il titolo intorno ai 2 euro il recupe­ro è circa del 24%. A questo va aggiunto il war­rant: il meccanismo era stato pensato per favo­rire i piccoli (500 warrant sulle prime 500 azio­ni) e dunque il loro effetto si diluisce già sopra i 10 mila euro. Se si prendono come soglia i 5 mila euro il recupero diventa del 36% che som­mato al precedente porta a al 62-63% (lordo per­ché per il guadagno di Borsa va considerata la tassazione del capital gain al 12,5%). Infine van­no considerati i dividendi staccati dalla quota­zione nel 2005 grazie alle transazioni con le ban­che (per statuto metà degli utili vanno distribu­iti). Con un monte dividendi di 671 milioni il valore per i piccoli è di un ulteriore 5% che por­ta al recupero del 67-68%: 3.400 euro su 5.000.