varie, 21 dicembre 2009
NUOVI LAVORI, PER VOCE ARANCIO
«Innanzitutto il lavoro fa male. Tanto è vero che quando un medico visita un ammalato, come prima cosa gli dice: ”Riposo assoluto”… Hai mai sentito dire ”lavoro assoluto?”» (Eduardo De Filippo, citato nel libro di Simone Perotti Adesso basta-Lasciare il lavoro e cambiare vita, Chiarelettere).
Lo stress da lavoro e la routine da un lato, la crisi economica dall’altro hanno indotto molti in questi anni a pensare e a fantasticare una nuova occupazione, quando non a buttarsi in una nuova avventura lavorativa, più creativa e gratificante. Spesso lontana dagli schemi tradizionali.
Silvia Sonzogni, studi di fonetica, recitazione, doppiaggio, ha aperto a Brescia lo studio ”Il colore della voce” in cui propone corsi individali e collettivi per correggere difetti di pronuncia. In particolare, «insegno a parlare a manager e dottori: molti vogliono togliersi l’inflessione regionale».
Sempre più numerose le donne che trasformano gli hobby creativi (punto croce, patchwork, decoupage, stencil, bijuox di perle e perline) in professione. Le più intraprendenti si cimentano con l’apertura di un negozio, altre si dedicano all’insegnamento, altre ancora utilizzano le nuove tecnologie per promuoversi e per vendere on-line (per informazioni http://nitida.biz/razzacreativa/?page_id=3).
Stellina Fabbri Zambeletti, 60 anni, milanese, un tempo a capo di un’azienda editoriale, per non chiudere bottega in tempo di crisi s’è inventata la nuova impresa Creare-Ricreare che offre una seconda vita agli abiti semi-dimenticati negli armadi: «Creare-Ricreare è nata da un’ esigenza concreta - il rischio di lasciare a casa una decina di persone - ma anche dall’ eccesso di abiti e oggetti che, come molte donne, accumulavo. A saldare queste esigenze, è stato un pomeriggio al caffè con Adriana Fracci, che ha lavorato al fianco di Gianfranco Ferré per 13 anni. Ci incontrammo al bar, le chiesi di aggiustarmi alcuni abiti. La sera, tornata a casa, ci rimuginavo: mi sarebbe piaciuto realizzare con lei qualcosa che unisse le nostre professioni. Ha accettato subito e in poche settimane ho rivoluzionato tutto: ho chiesto alle mie dipendenti (grafiche, segretarie e redattrici) di rimettersi in gioco, ho tinteggiato le pareti dell’ufficio in rosa shocking, ho svaligiato l’Ikea per arredarlo, ho sostituito il computer con macchine da cucire. Tutti hanno aderito e ora aiutano me nel contatto con le clienti e nella gestione, mentre Adriana lavora sugli abiti. Il passaparola sta funzionando».
Secondo Datamonitor, agenzia londinese che si occupa di ricerche di mercato, in tutto il mondo ci sono 16 milioni di lavoratori inclini a fare downshifting, cioè a «scambiare una carriera economicamente soddisfacente ma stressante con uno stile di vita meno faticoso e meno retribuito ma più gratificante dal punto di vista personale» (New Oxford Dictionary). Ogni anno, circa 260 mila cittadini britannici fanno una scelta di vita che va in quella direzione.
«I ”downshifter” sono anche tutti quelli pronti ad adottare uno stile di vita più rilassato, naturale ed ecologico, meno consumistico. Insomma, sono quelli che vogliono porre fine alla grande corsa, alla frenesia che fa riempire i vuoti della giornata con sempre nuovi impegni come un puzzle a cui manca sempre un tassello per potersi dire compiuto. Per il downshifter il tempo è più importante del denaro, l’ozio un momento creativo che non va sprecato in inutili consumi; il lavoro, o meglio la sua attuale organizzazione, un residuo di epoche passate. ”Il valore assoluto è il tempo e, allora, perché investirlo in consumi non necessari? Perché lavorare un mese intero per comprare un capo firmato, o una settimana per parlare al cellulare?”, si legge nei loro siti» (Marina Cavalieri su Repubblica).
In un secolo, le ore di lavoro di un dipendente sono scese dalle 3.160 all’anno dell’inizio del Novecento alle circa 1.750 di oggi. Chi ottiene il primo impiego a 20 anni e smette a 60 lavora 80 mila ore su 530 mila di vita. Gliene restano 450 mila, di cui – tolte almeno dieci al giorno per dormire, mangiare e così via – più o meno 230 mila per fare ciò che desidera. Domenico De Masi, docente di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma e autore di Ozio creativo (Rizzoli): «Non è poco, ma l’accelerazione tecnologica e le modalità di organizzazione del lavoro sono sconfinate nel tempo libero. Chi si guadagna da vivere con il cervello (un 40 per cento) difficilmente riesce a staccare la spina, anche la sera o nel fine settimana. E chi svolge un lavoro intellettualmente poco impegnativo, passa gran parte del tempo a raggiungere la fabbrica o l’ufficio”.
Simone Perotti, ex manager presso la Boston Consulting (prima era capo delle relazioni esterne Sisal), adesso fa piccoli lavori e vive di quanto ha accumulato negli anni passati. Abitava a Roma, ora ha una casa nelle campagne tra La Spezia e le Cinque Terre. Per progettare e organizzare il downshifting gli ci sono voluti dieci anni, e ha raccontato la sua avventura nel libro Adesso basta (edizioni Chiarelettere), che è una specie di vademecum per chi desideri cambiare vita. Consigli: scalare una marcia è possibile soltanto una volta accumulato un gruzzolo che poi potrà essere lentamente eroso; la propensione al risparmio deve diventare ferrea; essere molto sicuri di sé, perché non avere più lo stipendio fa paura.
Quando ha deciso di cambiare vita, Perotti ha mandato una mail a tutti e 1.600 i contatti della sua agenda. Amici, colleghi, conoscenti. Gli hanno risposto tutti, alcuni increduli, almeno 800 ammirati, invidiosi, comunque d’accordo con la scelta che il quasi ex manager stava per fare. «Curioso: siamo passati dallo yuppismo interiore a cui abbiamo devoluto tutto a una forma di rifiuto per quello che abbiamo conquistato. Abbiamo creato un meccanismo dal quale siamo stati strangolati, e siamo la prima generazione che se ne sta rendendo conto. Quelli che hanno maggiormente goduto di questo sistema, alla fine non sono felici. Così nasce un nuovo fenomeno sociale» (Simone Perotti).
Perotti dice che prima di fare downshifting - a meno che non si abbiano proprietà da vendere o eredità da farsi anticipare - per un bel po’ di anni bisogna costruire le condizioni per il triplice processo di: abbattimento dei costi d’esercizio della nostra vita; aumento del livello di risparmio; creazione delle condizioni economiche necessarie a smettere col nostro lavoro tradizionale. Ad esempio chi guadagna 3.500 netti al mese, che con la quattordicesima sono 48 mila euro netti all’anno, mettendo da parte 15.400 euro all’anno in dodici anni riuscirò a risparmiare 184.800 euro, che, con gli interessi calcolati al minimo del 3 per cento netto, diventano 220 mila al dodicesimo anno («il tutto immaginando che per dodici anni non ci sia nemmeno un euro di aumento dello stipendio»).
«Non ho molte sostanze da parte e comunque non le posso toccare perché serviranno per la pensione, dunque devo lavorare. Faccio lo skipper, l’istruttore di vela, trasferisco, lavo, aggiusto barche, ho preparato gli apertivi in un bar, faccio la guida turistica, costruisco pesci di lamiera, legno e ardesia» (Simone Perotti).
Attuale budget di Perotti (che ha fatto downshifting nel febbraio 2008): 19 mila euro l’anno.
«Vivo dietro la Spezia, oppure in mare per lunghi tratti di tempo. Lavoro con le mani, faccio sculture, faccio lavori di ogni genere. Ho una casetta vecchia, ma che ho ristrutturato da me, con il mio lavoro. Non ho il riscaldamento, taglio la legna nel bosco e la uso per scaldare. Consumo poco, raccolgo erba nei campi, raccolgo i funghi, mangio la frutta che trovo. Non sono affatto un selvaggio, perché queste cose sono belle da fare, e quello che raccolgo è buonissimo. Compro anche dei prodotti, naturalmente, ma sempre con cura, sia per la qualità sia per il costo. Non mi pesa dovermi preoccupare del denaro di giorno in giorno. E’ il prezzo della mia libertà» (Simone Perotti su www.voglioviverecosi.com).
Su 19 libri dedicati al downshifting tra il 2007 e il 2009, solo due raccontano l’esperienza di una famiglia: «Avere figli è uno spartiacque importante che rende l’impresa non impossibile ma senz’altro più difficile. La marcia da scalare riguarda un profilo di persona abbastanza definito. Media borghesia almeno, in possesso di un lavoro stressante e redditizio al tempo stesso, possibilmente con una buona rendita a disposizione, di natura ereditaria o dal risparmio» (Marco Imarisio).
Prima di fare downshifting bisogna scegliersi una passione e accumulare esperienza per poterla trasformare – una volta mollato il posto fisso - in lavoro: chi ama navigare, ad esempio, può farlo gratis lavando barche, aggiustandole, pulendo le carene, dando l’antivegetativo, ecc. Oppure può fare lo skipper o l’istruttore di vela. «Chi ama cavalcare fa la stessa cosa. Spala lo sterco nelle stalle, spazzola i cavalli, dà la propria disponibilità a far muovere animali i cui padroni non hanno tempo di far uscire regolarmente. In tutto ciò cavalca gratis. Se fa lezioni di equitazione guadagna, perfino. Vale per moltissimi settori. Potete fare il maestro di golf, o di bridge, la guida turistica se vi piace viaggiare, o l’artigiano del legno se vi piace intagliare, il collaboratore di un giornale se vi piace scrivere…» (Simone Perotti).
Uno skipper guadagna 130-150 euro netti al giorno, vitto e spese a carico dell’equipaggio.
Immense le opportunità di lavoro offerte da internet, ma poco sfruttate in Italia: su sei milioni di utenti italiani di Facebook, soltanto poche centinaia di migliaia sfruttano il web per fare business, meritandosi l’appellativo inglese di "early adopter", cioè pioneri di un nuovo modo di fare impresa. Eppure sul web ci si può proporre per mille mestieri, dal programmatore al montatore video, dai grafici agli assistenti personali. Il sito www.rentacoder. com, che conta 250 mila utenti, consente ad esempio di affittare un professionista grazie a un’asta, risparmiando sul costo del servizio e sui tempi di consegna dei lavori più diversi. Chi si propone come assistente tuttofare può connettersi al sito www.getfriday.com mentre chi cerca lavoro come designer creativo può offrire la propria professionalità su www.ponoko.com.
Alessandro Rimassa e Antonio Incorvaia, autori di Generazione
mille euro, hanno anche firmato Jobbing, una guida pratica per passare dal lavoro dipendente al lavoro intraprendente al tempo della crisi. Tra le nuove professioni più richieste sul mercato: il personal shopper, che si occupa degli acquisti di chi lo assume; il wedding planner, che organizza matrimoni; il travel designer, che costruisce pacchetti vacanze su misura per clienti facoltosi. Questi mestieri, molto diffusi in America e Nord Europa, faticano però ad attecchire nel nostro Paese. Spiega Rimassa: «Non si tratta di professioni che possono accogliere la domanda di centinaia di persone, ma è questa la direzione verso cui orientarsi per stare su un mercato del lavoro in continuo mutamento e sempre più flessibile».
«Un mio amico che sa fare molte cose con le mani ha scoperto che in città serve uno che faccia i lavoretti, cioè ogni genere di lavoro in casa che non richieda l’intervento di qualche esperto. Lo chiamano in continuazione, tutti hanno bisogno di lui!» (Simone Perotti).
«Un mio amico che faceva l’agente immobiliare andava spesso da un falegname nei weekend, o quando era libero il pomeriggio. Gli carpiva tutti i segreti e in cambio gli dava la mano. In breve è diventato un bravo apprendista e quando è stato il momento di smettere di lavorare è andato a bottega tutti i giorni, per sei mesi. Ormai è in grado di fare molte cose, allora ha venduto la sua casa, è andato in un villaggio sulla costa, ha allestito il suo garage a mo’ di falegnameria, e si è messo a fare i lavoretti nelle case. Aggiustava mobili, realizzava mensole, poi mostre per le porte, poi questo poi quello. Ora si sta lamentando che lavora troppo. Lavora tre giorni a settimana e i lavori che non può fare non li accetta. Non vi dico quanto guadagna perché mi ha fatto giurare di non svelarlo» (Simone Perotti).