Roberta Scorranese, Corriere della Sera 19/12/2009, 19 dicembre 2009
«DIVANO ROSSO E PRESEPE. IN SALOTTO CON GLI AMICI»
La folla colorata del presepe sembra una miniatura in plastica del brulichio umano intorno alla Torre di Babele, nel quadro appeso in soggiorno. E accanto alla scatola rossa pronta per accogliere i regali, due cupi interni di chiesa (scuola nordica seicentesca) ricordano che questo luminoso appartamento milanese ha un’anima bifronte: quella di due bambini di otto anni e quella di un raffinato intellettuale, gioviale ma riservato. «Forse il Natale è l’unico periodo dell’anno – dice Tullio Pericoli – in cui lascio lo studio o il mio piccolo giardino in terrazza e vivo la casa. Con gli amici cari».
E il Natale, qui, bisogna cercarlo. Nei dettagli, come nei suoi quadri. Così come il naso affilato nel ritratto di Giovanni Testori ha una sua netta riconoscibilità, allo stesso modo una statuina del presepe che si è persa per strada è indice di una fatica domestica. E poi una tovaglia rossa piegata in un angolo, un giocattolo in legno che la signora Alessandra non è riuscita a nascondere. «Pochi amici, ma cari», ripete il pittore: sui divani rossi si sono alternati Franco Loi e Umberto Eco. Lui non cucina, ma osserva. «Sono un cacciatore di espressioni», sorride indicando il ritratto di Mario Botta, che ha colto in un attimo di disarmante semplicità. Come se fosse seduto nel tinello di casa.
scorrendo i suoi ritratti (da poco ripubblicati da Adelphi) che si ritrova il Natale in casa Pericoli: c’è Luciano Berio, scanzonato e spettinato, sembra sprofondato in una delle poltrone rosse del salotto. C’è Alberto Arbasino, jeans e camicia. anche in occasione dei ritrovi natalizi che il «cacciatore di espressioni» cattura un sorriso, una battuta che poi trasforma in uno sguardo acuto o in una piega della fronte. Cene leggere, tante risate (Eco è un gran barzellettiere) e poi ricordi, quelli di una vita trascorsa a Milano. Delle sue Marche restano i paesaggi. Quelli a cui Pericoli si dedica da otto anni. Nati anche dalla luce di queste finestre ampie. «Fare vedute è molto più difficile che ritrarre volti – spiega ”: il paesaggio ha una storia inaccessibile ». A Testori piacevano più i suoi schizzi che non i disegni: il segno puro, diceva, è una conquista.
Il compromesso tra le due anime della famiglia Pericoli è anche architettonico: un appartamento riservato ai bambini e ai loro festosi alberi di Natale e un altro in cui il rigore fiammingo si accosta ai mostri in bianco e nero di Keith Haring, in prodezze sperimentali di arredo. Divano blu e scrittoio in legno chiaro a ribalta bombata. E poi c’è il terrazzo, «appartamento privato» dell’artista. Qui il Natale non entra: tra verde e terriccio, è un luogo che continua a vivere secondo le sue leggi di calibrato disordine. Luoghi eclettici, come i suoi nuovi ritratti, a giugno in mostra all’Ara Pacis, a Roma. «Volti paesaggistici», dice Pericoli. E sulla tela il viso sofferente di Testori in primissimo piano si incava in dossi e curve. Quello di Loi sembra un monte in discesa. «Questi visi di amici – spiega il pittore – li assorbo e poi li rielaboro, anche a distanza di anni » .
Il Natale qui ha una fisionomia disaggregata. Va colta nel rosso che predomina, nell’ordine un po’ ossessivo del soggiorno, nella lunga tavola non ancora imbandita ma pronta all’accoglienza. Ma poi si spalancano le porte dello studio e si entra in un altro Natale, più privato, più disimpegnato. Libri fino al soffitto, pennelli, matite colorate, le «Memorie intime» di Simenon dimenticate accanto a «Guardare un quadro ». Letteratura e manualistica spicciola convivono in un allegro bazar della cultura. «Beh, qui ci vivo – dice Pericoli ”. Ricevo gente, ci lavoro. Una specie di seconda casa della festa ». Non ci sono presepi ma c’è un magnetismo creativo che quasi risuona. Non ci sono alberi addobbati a festa: bastano le sculture improvvisate dei mucchi di tele e colori. Non c’è un solo Natale in casa Pericoli: «La pittura mi ha insegnato che non esiste una sola pelle nelle cose. Bisogna scavare, cercandone un’altra e un’altra ancora sotto la crosta».