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 2009  dicembre 19 Sabato calendario

«DIVANO ROSSO E PRESEPE. IN SALOTTO CON GLI AMICI»


La folla colorata del prese­pe sembra una miniatura in plastica del brulichio umano intorno alla Torre di Babele, nel quadro ap­peso in soggiorno. E accanto alla sca­tola rossa pronta per accogliere i rega­li, due cupi interni di chiesa (scuola nordica seicentesca) ricordano che questo luminoso appartamento mila­nese ha un’anima bifronte: quella di due bambini di otto anni e quella di un raffinato intellettuale, gioviale ma riservato. «Forse il Natale è l’unico pe­riodo dell’anno – dice Tullio Pericoli – in cui lascio lo studio o il mio picco­lo giardino in terrazza e vivo la casa. Con gli amici cari».

E il Natale, qui, bisogna cercarlo. Nei dettagli, come nei suoi quadri. Co­sì come il naso affilato nel ritratto di Giovanni Testori ha una sua netta ri­conoscibilità, allo stesso modo una statuina del presepe che si è persa per strada è indice di una fatica domesti­ca. E poi una tovaglia rossa piegata in un angolo, un giocattolo in legno che la signora Alessandra non è riuscita a nascondere. «Pochi amici, ma cari», ri­pete il pittore: sui divani rossi si sono alternati Franco Loi e Umberto Eco. Lui non cucina, ma osserva. «Sono un cacciatore di espressioni», sorride in­dicando il ritratto di Mario Botta, che ha colto in un attimo di disarmante semplicità. Come se fosse seduto nel tinello di casa.

 scorrendo i suoi ritratti (da poco ripubblicati da Adelphi) che si ritrova il Natale in casa Pericoli: c’è Luciano Berio, scanzonato e spettinato, sem­bra sprofondato in una delle poltrone rosse del salotto. C’è Alberto Arbasi­no, jeans e camicia. anche in occa­sione dei ritrovi natalizi che il «caccia­tore di espressioni» cattura un sorri­so, una battuta che poi trasforma in uno sguardo acuto o in una piega del­la fronte. Cene leggere, tante risate (Eco è un gran barzellettiere) e poi ri­cordi, quelli di una vita trascorsa a Mi­lano. Delle sue Marche restano i pae­saggi. Quelli a cui Pericoli si dedica da otto anni. Nati anche dalla luce di que­ste finestre ampie. «Fare vedute è molto più difficile che ritrarre volti – spiega ”: il paesaggio ha una storia inaccessibi­le ». A Testori piacevano più i suoi schizzi che non i disegni: il segno pu­ro, diceva, è una conquista.

Il compromesso tra le due anime della famiglia Pericoli è anche archi­tettonico: un appartamento riservato ai bambini e ai loro festosi alberi di Natale e un altro in cui il rigore fiam­mingo si accosta ai mostri in bianco e nero di Keith Haring, in prodezze spe­rimentali di arredo. Divano blu e scrit­toio in legno chiaro a ribalta bomba­ta. E poi c’è il terrazzo, «appartamen­to privato» dell’artista. Qui il Natale non entra: tra verde e terriccio, è un luogo che continua a vivere secondo le sue leggi di calibrato disordine. Luo­ghi eclettici, come i suoi nuovi ritrat­ti, a giugno in mostra all’Ara Pacis, a Roma. «Volti paesaggistici», dice Peri­coli. E sulla tela il viso sofferente di Te­stori in primissimo piano si incava in dossi e curve. Quello di Loi sembra un monte in discesa. «Questi visi di ami­ci – spiega il pittore – li assorbo e poi li rielaboro, anche a distanza di an­ni » .

Il Natale qui ha una fisionomia di­saggregata. Va colta nel rosso che pre­domina, nell’ordine un po’ ossessivo del soggiorno, nella lunga tavola non anco­ra imbandita ma pron­ta all’accoglienza. Ma poi si spalancano le porte dello studio e si entra in un altro Nata­le, più privato, più di­simpegnato. Libri fino al soffitto, pennelli, ma­tite colorate, le «Memo­rie intime» di Simenon dimenticate accanto a «Guardare un qua­dro ». Letteratura e manualistica spic­ciola convivono in un allegro bazar della cultura. «Beh, qui ci vivo – dice Pericoli ”. Ricevo gente, ci lavoro. Una specie di seconda casa della fe­sta ». Non ci sono presepi ma c’è un magnetismo creativo che quasi risuo­na. Non ci sono alberi addobbati a fe­sta: bastano le sculture improvvisate dei mucchi di tele e colori. Non c’è un solo Natale in casa Pericoli: «La pittu­ra mi ha insegnato che non esiste una sola pelle nelle cose. Bisogna scavare, cercandone un’altra e un’altra ancora sotto la crosta».