Alessandro Piperno, Corriere della Sera 19/12/2009, 19 dicembre 2009
INDAGATE SUL DELITTO, NON SUL CUORE
Qualcuno ricorda il processo intentato a Mersault, il famoso protagonista de Lo straniero di Albert Camus? Mersault ha ucciso un arabo con cinque pistolettate, senza alcun motivo, ammesso che il caldo feroce di una spiaggia africana non sia una ragione valida per ammazzare qualcuno.
E tuttavia l’accusa, in aula, invece di concentrarsi sui fatti (per altro inequivocabili), invece di chiedere conto a Mersault del suo atto dissennatamente criminoso (da lui per altro ammesso), punta il dito indice sui comportamenti dell’imputato le settimane precedenti il crimine. Chiama un mucchio di testimoni che attestino che l’imputato, il giorno dopo il funerale della madre, non ha trovato di meglio da fare che andare a divertirsi sulla spiaggia, poi al cinema a vedere un film comico, per chiudere la giornata in bellezza con una notte di sesso con una sciacquetta appena conosciuta.
Quando l’avvocato difensore di Mersault, esasperato dalla capziosità dell’accusa, chiede: «Ma insomma costui è accusato di aver seppellito la madre o di avere ucciso un uomo?», il pm risponde con enfasi rivoltante: «Accuso quest’uomo di aver seppellito sua madre con cuore di criminale».
Vedete bene quanto Lo straniero sia un libro profetico.
L’impressione è che, nella nostra epoca e nel nostro Paese, alcuni pm si occupino troppo del cuore degli imputati, tralasciando le azioni da essi compiute. Il caso Garlasco lo testimonia in modo esemplare. Non si può dimenticare il modo in cui la pubblica accusa ci ha illustrato con dovizia di dettagli letterari il cuore di Alberto Stasi, abbozzando il ritratto di un gelido pervertito reo, tra l’altro, proprio come Mersault, di non aver pianto abbastanza e in maniera convincente per la morte della sua ragazza. Né si può dimenticare come la pubblica accusa, su tutto il resto, sia stata fumosa, sciatta e imprecisa. Qualcuno obbietterà che tra i molti compiti dell’accusa (tanto più in un caso di omicidio in cui mancano arma del delitto, movente e prove inequivocabili) c’è anche quello di tratteggiare un ritratto dell’imputato che risulti insieme fosco e plausibile. «Il processo – scrive Milan Kundera – celebrato dal tribunale è sempre assoluto; cioè: non riguarda un atto isolato, un reato specifico (furto, frode, violenza carnale) ma l’intera personalità dell’accusato». E lo scrive con angoscia, come di una cosa inevitabile e spaventosa allo stesso tempo, commentando Il processo di Kafka. Mi pare che la riflessione di Kundera si attagli perfettamente al «caso Garlasco ». In cui la personalità dell’accusato è stata scandagliata minuziosamente. Sappiamo tutto delle passioni feticiste di Alberto Stasi. Delle sue internettistiche divagazioni pornografiche. Dell’imperturbabilità mostrata, nella famosa telefonata al 118, in cui denunciava il ritrovamento del cadavere di Chiara. Sappiamo tutto della sua vanità nel vestire. Delle sue ambizioni professionali. I suoi occhi gelidi sono diventati persino un cliché per certe trasmissioni televisive di quart’ordine. La cosa incredibile è che queste cose ci siano state presentate come disumane, e quindi come indizi determinanti per dimostrare la colpevolezza di Alberto Stasi.
Non so questi pm quale idea elegiaca abbiano del mondo in cui vivono. Non so a quale virtuoso ideale umano si ispirino. Per quel che mi riguarda non ho ravvisato alcuna inumanità nel contegno di Stasi. Non c’è niente che lui abbia fatto o che lui non abbia fatto che non possa essere spiegato.
Quando si interroga l’interiorità di un uomo è facile incorrere in errori madornali. Quando si parla di psicologia vale tutto e il contrario di tutto. Si potrebbe dire, per esempio, che la famigerata impassibilità di Alberto non fosse altro che il segno della sua riservatezza e della sua pudicizia. D’altronde non credo che il suo computer ingolfato di materiale pornografico sia molto diverso da quello della maggior parte dei maschi contemporanei.
In quanto al suo cuore, al cuore di Alberto Stasi, beh, come ogni altro cuore, è un mistero banale che non andrebbe semplicemente indagato.