Silvia Grilli, Panorama, 22 dicembre 2009, 22 dicembre 2009
SILVIA GRILLI PER PANORAMA 22 DICEMBRE 2009
Viaggio alle fonti dell’aggressione a Silvio Berlusconi la fabbrica dell’odio La campagna contro il cav. Mesi di accuse e di insinuazioni. Il premier dipinto come mandante di ricatti, di stragi, di corruttele. La pressione crescente degli avversari, dei tribunali, perfino degli alleati. E ogni pretesto è stato impiegato per giustificare la demonizzazione del capo del governo. Anche per tutto questo, in Italia, il clima politico si è irrimediabilmente avvelenato. Fino al punto di armare la mente (e la mano) di uno squilibrato.
Se n’è accorto anche il quotidiano americano The Wall Street Journal, scrivendolo con una prosa delicata: «L’attacco di domenica 13 dicembre a Silvio Berlusconi dimostra come le tensioni in Italia abbiano raggiunto un livello alto come mai prima d’ora. Il sostegno degli elettori a Mr Berlusconi resta alto. Tuttavia, negli ultimi anni fasce d’italiani sono diventate via via sempre più arrabbiate contro di lui». Basta riportare certi commenti sentiti, a caldo, in questi giorni a Milano o alla radio: «Sarà stato il gesto di un matto, ma ha fatto ciò che molti non hanno avuto il coraggio di fare».
Definiamolo molto più sinteticamente: odio. «Per mesi c’è stata una campagna d’odio contro Berlusconi» dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa. «Odio» ripete il consigliere laico del Consiglio superiore della magistratura Gianfranco Anedda, sottolineando che a questo clima di violenza «non sono estranei i magistrati», riferendosi al milanese Armando Spataro e al palermitano Antonio Ingroia. «Odio» sostiene il leader dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro: «Deploro l’aggressione, ma c’è un clima d’odio creato da chi ha in mano le redini del Paese e ne approfitta per fare i fatti suoi». E il presidente del Pd Rosy Bindi, proiezione di un’Italia apparentemente pacata, ma sotto sotto Savonarola della politica: «Resta il fatto che tra gli artefici di questo clima c’è Berlusconi».
Dicono i manuali sentimentali che l’odio è il sentimento opposto dell’amore. L’amore, come sa spiegare bene il sociologo Francesco Alberoni, è uno stato nascente tra soggetti, un movimento creativo. L’odio è invece la volontà di distruggere l’oggetto odiato. Ha una pervicacia più forte dell’amore. L’amore si lacera di dubbi, l’odio si nutre della convinzione di essere nel giusto. Io odio perché eliminando l’oggetto odiato starò meglio. L’odio contro Berlusconi parte dalle viscere, ma si giustifica nella cornice di una battaglia etica di chi crede di essere nel bene contro il male assoluto. Eliminando Berlusconi, sono certi gli odiatori, staremo meglio tutti. Distruggendolo, rimargineremo le nostre ferite. Rimedieremo al nostro fallimento. Illusione: «Il gesto di un folle rafforza Berlusconi» titola amareggiato il quotidiano Il Manifesto due giorni dopo l’attentato.
L’odio è stato il sentimento nei titoli del giornale Il Fatto quotidiano, che messi uno di seguito all’altro fanno impressione: «Berlusconi incontrava i boss», «Camorra di governo», «Tra Cosa nostra e Berlusconi spunta una cascata di diamanti». E, ancora, il giorno dopo l’aggressione: «Da destra campagna d’odio contro chi si oppone».
Da mesi l’odio si alimenta nel giustizialismo reiterato nella campagna stampa del quotidiano La Repubblica, ripresa dai giornali di mezzo mondo. L’odio viene fomentato nel tribunale televisivo dell’Annozero di Michele Santoro. Nelle requisitorie di alcuni magistrati che cominciano in aula e proseguono tra televisione, libri, convegni. Nelle profezie delle parole di Di Pietro che si autoavverano: «Berlusconi non può fare quello che gli pare o rischia un’azione violenta». O in quelle di Pier Ferdinando Casini: «Contro Berlusconi potrebbero esserci sorprese».
La sorpresa, inevitabile, è arrivata puntuale alle 18.34 di domenica 13 dicembre in piazza del Duomo a Milano, quando Massimo Tartaglia, 42 anni, grafico dall’occupazione incerta e con una labilità mentale ritenuta non più necessaria di cure, ha scagliato come arma contundente un souvenir della cattedrale di Milano in faccia a Silvio Berlusconi. Nei filmati si è visto chiaramente: il pugno chiuso, che stringeva il ricordino da bancarella con le guglie. Uno, due, tre movimenti di prova e poi il lancio, da pochi passi.
Arrestato, gli hanno trovato addosso anche un crocifisso di 30 centimetri. Interrogato, ha detto: «Quello sta rovinando l’Italia, non mi va bene niente di quel che dice… Non ci ho visto più, volevo contestare anche io. Mi piace il Pd. Anche Di Pietro dice cose giuste».
L’immagine del presidente del Consiglio con il volto sanguinante, i denti spezzati, che si rialza per guardare in faccia l’aggressore, ha fatto il giro del mondo. stato il finale tragico di un crescendo cominciato il 28 aprile 2009, quando Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, seconda moglie in via di separazione del premier, dettò all’agenzia Ansa la frase madre della tragedia greca: «Ciarpame senza pudore». C’è sempre una donna in ogni affare. «Appena mi portano un rapporto, io dico: cherchez la femme» scriveva Alexandre Dumas.
In questo caso di donne ce ne sono state tante: la prima è ancora un’adolescente, Noemi Letizia. La Repubblica rivelò che il premier era andato in un locale di Casoria alla festa del suo diciottesimo compleanno. Lario commentò: «Ha sorpreso molto anche me, anche perché non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato».
Il 3 maggio annunciò che voleva il divorzio. Separazione con addebito, con richiesta di un mantenimento annuo di 43 milioni di euro. «Non posso stare con un uomo che frequenta minorenni» disse allora. Berlusconi ha sempre smentito una relazione con Noemi, ma il tribunale mediatico si è scaldato. Le televisioni del mondo hanno previsto appuntamenti fissi sugli scandali di Mr Berlusconi come davanti alla finestra di Papa Karol Wojtyla quando si aspettava che morisse.
Lo stalking cominciò. Come gli stalker si insediano davanti alle case delle vittime, le pedinano, le registrano, le fotografano, le minacciano, le distruggono psicologicamente prima di arrivare all’omicidio passionale, così l’operazione Killing Berlusconi prese forma. I fotografi tirarono fuori immagini di codazzi di ragazze a Villa Certosa, la residenza sarda di Berlusconi, bersaglio di continue violazioni della privacy.
Quando arrivò la carta Patrizia D’Addario, di professione escort con l’hobby di registrare tutto e di parlare molto, il giornalista di Repubblica Giuseppe D’Avanzo aggiornò le sue quotidiane dieci domande a Berlusconi. Domanda numero 4: «Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008 e sono decine le squillo secondo le indagini condotte nelle sue residenze. Sapeva fossero prostitute?». Domanda numero 10: «Alla luce di quanto è emerso in questi due mesi, quali sono signor presidente le sue condizioni di salute?».
La stampa di tutto il mondo si buttò a capofitto nel «ciarpame». Il Times di Londrà titolò: «A Berlusconi è stata suggerita una clinica per dipendenze sessuali». I giornali stranieri ripubblicarono le 10 domande. Berlusconi fece causa.
Michele Santoro sperimentò il piacere di invitare su Raidue la maîtresse D’Addario a parlare della sua notte con il primo ministro. Poi s’inventò le docufiction, finti documentari, in realtà interpretati da attori, contro Berlusconi. Intanto Serena Dandini in Parla con me su Raitre mandava in onda la sit-com Lost in Wc, parodia del giro di ragazze a Palazzo Grazioli. Ma l’opposizione, guidata da Repubblica, organizzò una manifestazione per la libertà di stampa minacciata, dopo avere raccolto firme di Dario Fo, Roberto Saviano e Adriano Celentano.
Si stupì Antonio Polito, direttore del quotidiano Il Riformista. Se un marziano sbarcasse stamattina a Roma, scrisse più o meno, non gli sfuggirebbe il valore simbolico della nomina all’unanimità di Bianca Berlinguer a direttore di un tg Rai, e quindi anche con il voto della maggioranza di centrodestra. E contemporaneamente lo stesso marziano si sorprenderebbe che, secondo il settimanale The Economist, mai dai tempi di Benito Mussolini la libertà d’informazione era stata così a rischio in Italia. «E, ancora, se il nostro marziano si sedesse davanti alla tv, assisterebbe all’intervista su Raidue a una prostituta che dichiara di avere fatto sesso a pagamento con il capo del regime».
Sempre quella D’Addario che ha scritto un libro, Gradisca, presidente, dove racconta nei dettagli incontri sessuali col premier.«Il conto alla rovescia per Berlusconi è iniziato, tenete pronto lo spumante» ha scritto poi Beppe Grillo nel suo seguitissimo blog.
«Un uomo solo» si è autodefinito il premier. Proprio solo no, visto che la maggioranza degli italiani è con lui. Ma assediato certamente sì. Quando il 5 dicembre è arrivato il No Berlusconi day, un’onda viola ha riempito piazza San Giovanni a Roma, con grida: «Fuori la mafia dalle istituzioni», «Berlusconi dimissioni», «Pussa via puzzone», «Cosa nostra è cosa vostra», «Donne, vi aspettano grandi carriere se darete la passera al cavaliere». I verdi si sono rifatti vivi con le scritte «Berlusconi radioattivo», e alla marcia c’erano Dario Franceschini, Rosy Bindi, Nichi Vendola e Giovanna Melandri. Ma Di Pietro era la star.
Sono ritornati persino i girotondini, si è riappalesato addirittura Nanni Moretti. Intanto il tribunale di Milano ha disposto che la Fininvest della famiglia Berlusconi paghi 750 milioni di risarcimento a Carlo De Benedetti per lo «scippo» della Mondadori. Una seconda decisione ha rimandato il pagamento, ma la Fininvest deve garantire una fideiussione.
L’asse giudiziario ha ripreso fervore. Sembra di essere ritornati ai tempi di Francesco Saverio Borrelli e del suo «resistere, resistere, resistere». Al pendolino Milano-Palermo (Borrelli e Gian Carlo Caselli), alle loro fragorose interviste. Era l’8 novembre quando il sostituto procuratore di Palermo Antonio Ingroia, che ha condotto le inchieste contro Berlusconi e il senatore Marcello Dell’Utri, ha parlato in un convegno organizzato da Di Pietro: «La Seconda repubblica» ha detto «è nata da un accordo tra mafia e politica» e ha previsto «la soluzione finale»: il momento in cui Berlusconi diventerà dittatore. Ingroia è diventato ospite speciale ad Annozero; Armando Spataro, procuratore aggiunto a Milano, è andato invece alla trasmissione In mezz’ora di Lucia Annunziata su Raitre a esternare contro il processo breve e contro Berlusconi.
Il 4 dicembre, nell’aula bunker del tribunale di Torino, il pentito Gaspare Spatuzza ha dichiarato che Berlusconi fece affari con la mafia quando entrò in politica. Raccontò che il suo boss, Giuseppe Graviano, gli aveva parlato nel 1994 dei loro referenti politici: Berlusconi e Dell’Utri. «Ci avevano messo il Paese nelle mani». Ancora prima della deposizione di Spatuzza, D’Avanzo ha insinuato su Repubblica l’esistenza di misteri mai chiariti delle origini della Fininvest: «Cosa nostra» ha scritto «minaccia in un regolamento di conti il presidente del Consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui cointeressenze antiche e inconfessabili».
Quando un altro mafioso, Filippo Graviano, ha smentito Spatuzza, e tutto si è dissolto in una bolla di sapone, D’Avanzo ha fatto quasi una lavata di capo ai giudici disorganizzati, autoreferenziali, fragili, incapaci di incastrare Berlusconi. stata ancora Repubblica a rivelare un fuorionda di Gianfranco Fini, il più fidato alleato, durante un dibattito pubblico: «Berlusconi confonde il consenso popolare con una sorta d’immunità nei confronti di qualsiasi altra autorità di garanzia e di controllo. Confonde la leadership con la monarchia assoluta».
Quando il 10 dicembre Berlusconi a Bonn ha sostenuto: «Cambierò la Costituzione perché in Italia la sovranità è passata dal Parlamento al partito dei giudici», è stato il direttore di Repubblica, Ezio Mauro, a scrivere un editoriale antigolpe. «Siamo un Paese nel quale il capo del governo va all’opposizione rispetto alle supreme magistrature repubblicane».
Dare del pedofilo, corrotto, mafioso, stragista e golpista a Berlusconi ricorda la campagna di Lotta continua e della sinistra extraparlamentare contro il commissario Luigi Calabresi. E si sa come finì. Il clima è, come allora, avvelenato. Non per nulla, sui muri del quotidiano torinese La Stampa, diretto dal figlio di Calabresi, Mario, sono ricomparse le scritte «Calabresi assassino». A Milano «Onore alle Br».
Per minimizzare, gli odiatori obiettano che ad aggredire Berlusconi sia stato solo un pazzo. L’Unità ha parlato di «follia». Mauro, tirando il freno a mano, il giorno dopo l’aggressione ha scritto che l’atto è «fortunatamente isolato e frutto di follia». Bindi ha precisato che «Berlusconi è vittima di un gesto di una persona psicologicamente fragile che non ha mandanti né morali né costituzionali». Sul Fatto, anche il direttore Antonio Padellaro ha scaricato il fardello: «L’autore è uno squilibrato certificato. Chi lo associa al gruppo di fischiatori del premier in piazza mente sapendo di mentire».
Lo stesso Gavrilo Princip, che innescò la miccia che diede inizio alla Prima guerra mondiale, era un diciannovenne malato e fanatico, quando a Sarajevo uccise l’arciduca Francesco Ferdinando d’Austria. Anche i kamikaze che si imbottiscono di tritolo o fanno schiantare gli aerei sulle Torri gemelle potrebbero finire nei manuali di psichiatria e invece arrivano sui testi di storia come bracci armati della propaganda.
da un po’ che si sta giocando al tiro al bersaglio a Berlusconi. Già nel 2004 circolava in Europa uno spettacolo teatrale sponsorizzato dall’Unione in cui dieci giovani attori impallinavano come un piccione il presidente del Consiglio. Nel settembre 2008 è nato il gruppo Uccidiamo Berlusconi, che è arrivato a 14 mila partecipanti. In ottobre il ventitreenne Matteo Mezzadri, coordinatore del Pd di Vignola (Modena), si è rammaricato su Facebook che nessuno fosse in grado di ficcare una pallottola in testa al premier.
Così, sempre scherzando, si è arrivati su internet al Massimo Tartaglia fan club con 82 mila iscritti. O al gioco sul sito Berlusconi-game.com/ index.it.html dove ci si diverte a far cadere sulla testa del premier Torri di Pisa e Duomi di Milano.
E comunque all’opposizione il premier serve vivo. Non un John Lennon, non un John F. Kennedy, non un’icona sacrificale, ma un uomo nero «in ottima salute perché quando se ne andrà da Palazzo Chigi» scrive il giornalista Marco Travaglio «si possa rendere conto fino in fondo del male che ha fatto alla gente. Per farlo andare via bisogna diventare addirittura la sua scorta e proteggere la sua incolumità. Ci serve lucido quando gli dovremo dire perché l’abbiamo cacciato da lì e perché non ce lo vogliamo più».
Questa è la massima espressione d’odio: noi che siamo il bene non ti uccidiamo, ma ti lasciamo in vita, maledicendoti e condannandoti al destino che meriti: tormentarti tra incubi e pentimenti. Berlusconi, prima di essere dimesso dall’ospedale, ha detto: «L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio».