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 2009  dicembre 18 Venerdì calendario

IL PAKISTAN VACILLA MAGISTRATI IN CAMPO ZARDARI NEL MIRINO


Le crisi politiche in Pakistan non sono una novità. E gli scontri tra apparati dello stato, tra giudici e alte cariche, sono stati spessissimo uno strumento di lotta politica in un paese ostaggio di forze occulte e dove i militari - questa volta apparentemente fuori dalla mischia - hanno sempre avuto l’ultima parola.
Ma la crisi di questi giorni investe direttamente il presidente della repubblica e, chi più chi meno, i suoi ministri e alcuni governatori. Una crisi partita dall’annullamento deciso dalla Corte suprema, presieduta dall’alto magistrato Iftikhar Mohammad Chaudhry, del National Reconciliation Order (Nro), emesso dall’ex presidente Pervez Musharraf per consentire il rientro in patria di Benazir Bhutto e di suo marito Asif Ali Zardari, oggi a capo dello stato. Chaudhry, che pro- prio Musharraf aveva esautorato dalla sua carica di presidente della Corte innescando una pesante crisi istituzionale, sembra adesso prendersi una rivincita postuma e forse far pagare a Zardari i suoi tentennamenti quando, una volta eletto presidente, fece melina sul reintegro delle posizioni dei magistrati licenziati da Musharraf.
Il provvedimento del 2007 suggellava in soldoni un patto di non belligeranza - benedetto da Washington - tra l’allora presidente in scadenza e Benazir Bhutto, che poteva così rientrare dall’esilio senza rischiare la prigione. Ma interessava anche diverse altre personalità politiche tra cui, oltre a Zardari, alcuni suoi consiglieri e personaggi ora dell’esecutivo, come l’attuale ministro dell’Interno, Rehman Malik. L’annullamento ripristina di fatto le sentenze congelate dal provvedimento come quella che lo aveva visto condannato a tre anni di carcere per non essersi presentato in tribunale nel 2004. Quanto a Zardari, il presidente ha già scontato otto anni di carcere per quasi una ventina di imputazioni per passate malversazioni per altro mai provate: ma fu poi rilasciato nel 2004 con la condizionale, fatto che gli consentì di andare in esilio con la moglie. Ma ora tutto torna in mano alla giustizia. E Zardari rischia grosso. Il rischio non è tanto sul piano giudiziario in quanto Zardari gode dell’impunità propria del capo di stato, garantita dalla Costituzione. Ma la situazione lo indebolisce politicamente: può sfuggire alla legge ma sarà più difficile resistere alle pressioni dell’opposizione che gli chiede di dimettersi e di mantenere un profilo "morale". Per ora il presidente fa buon viso a cattivo gioco: ha detto di essere pronto ad «affrontare le implicazioni della sentenza» ma la partita sarà dura anche perché Malik ha già detto che si dimetterà se le accuse di corruzione contro di lui saranno provate.
Ancora una volta l’asso nella manica di Zardari viene dall’estero e si chiama Stati Uniti. Possono permettersi a Washington come a Islamabad una crisi al buio mentre il paese attraversa una delle fasi più difficili della sua storia? Anche ieri un ordigno azionato a distanza è esploso al passaggio di un convoglio delle forze di sicurezza pachistane in transito nell’area di Bara, nel distretto nordoccidentale di Khyber (area tribale al confine con l’Afghanistan nella Provincia della frontiera del nord-ovest) provocando la morte di alcuni 13 soldati. E sempre ieri, sempre nella medesima provincia, una scuola femminile a Bannu, capoluogo dell’omonimo distretto della Nwfp, è stata distrutta.
Ma non è l’unico fronte difficile sul piano militare: sarebbe di almeno 17 morti il bilancio di due raid compiuti da droni Usa sul Waziristan del Nord con una decina di missili sparati da aerei senza pilota americani che hanno centrato un presunto quartier generale tale bano nella città di Degan, a 25 chilometri dal capoluogo Miranshah. Il primo raid (due morti) è avvenuto in mattinata nel villaggio di Dattakhel, sempre nel Waziristan del Nord, il secondo - con più aerei - nel pomeriggio.
 uno degli aspetti controversi della guerra ai talebani pachistani e che ha fruttato a Zardari l’accusa di svendere la sovranità nazionale a Washington. Ma la crisi al buio finirebbe col favorire, oltre agli oppositori di Zardari, soprattutto i miliziani jihadisti che hanno scatenato negli ultimi mesi una guerra senza quartiere, colpendo mercati e luoghi pubblici - non solo obiettivi militari - in tutto il Pakistan, anche fuori dall’aera tribale e dalla Provincia della frontiera del nord-ovest.