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 2009  dicembre 18 Venerdì calendario

QUATTRO EURO RIMBORSATI PER OGNUNO SPESO

Come moltiplicare per undici il capitale, in soli cinque an­ni e senza il minimo ri­schio? Chiedere consigli dalle parti del Carroccio, dove sono riusciti senza sforzo nell’impresa. Non è uno scherzo: per la campagna elet­torale delle politiche 2008 la Lega Nord ha speso 3 milioni 476 mila 704 euro e incasserà dallo Stato 41 milioni 384 mila euro. La differen­za è di quasi 38 milioni, un rendi­mento che non si ricordava dai tempi dell’ubriacatura da net eco­nomy: 218% l’anno.
A dire il vero, nemmeno gli altri partiti che hanno partecipato a quelle elezioni si possono lamenta­re. Come dimostra il documentatis­simo referto che la Corte dei conti ha appena pubblicato di nuovo sul proprio sito Internet, dopo anni in cui si era deciso di recapitare esclu­sivamente alle Camere quei rappor­ti, che restavano così, pubblici ma al riparo dalla pubblicità, avvolti in un consolante riserbo. Dal 2008 al 2012, dicono i magistrati contabili, i partiti intascheranno oltre 503 mi­lioni a titolo di «rimborso» per le spese elettorali sostenute durante le ultime politiche. Anche se que­sta è una definizione ipocrita, vo­lendo essere teneri. Si può forse de­finire «rimborso» il pagamento di una somma pari al quadruplo qua­si di quella effettivamente spesa? Per la campagna elettorale del 2008 tutti i partiti hanno investito 136 milioni, ma intascheranno 503 milioni, ossia 367 in più. Il guada­gno è del 270% in un quinquennio. Questo è possibile perché le nor­me approvate (da tutti i partiti, con qualche encomiabile eccezio­ne radicale) dopo il referendum che nel 1993 avrebbe abolito il fi­nanziamento pubblico della politi­ca stabiliscono per chi partecipa al­le elezioni un «rimborso» propor­zionato ai voti raccolti. Ma non commisurato alle spese effettiva­mente sostenute, bensì forfettario. E qui sta il trucco. I partiti hanno diritto a spartirsi ogni anno circa 200 milioni, sia pure con una ridu­zione del 10% introdotta con la Fi­nanziaria 2008. Ovvero quattro eu­ro l’anno per ogni elettore: un euro per la Camera, uno per il Senato, uno per le europee e uno per le re­gionali. In cinque anni, cioè in un ciclo elettorale completo, fa un mi­liardo di euro tondo, duemila mi­liardi delle vecchie lire.
Sempre che non intervenga, co­me è accaduto nel 2008, la scaden­za anticipata della legislatura. Per­ché con una leggina approvata po­co prima delle elezioni del 2006 si è deciso che i rimborsi continuano a correre anche nel caso di elezioni anticipate. Ecco perciò che per tre anni, fino al 2010, ai partiti tocche­rà razione doppia di rimborsi per le elezioni politiche, dettaglio che porterà i loro incassi dai «norma­li » 200 milioni l’anno a quasi 300. Un record europeo assoluto ottenu­to grazie a una parolina magica che i politici continuano a usare a di­spetto di ogni evidenza. Sull’ipocri­sia del termine «rimborso» concor­da la stessa Corte dei conti, ricor­dando nell’ultimo referto «che quello che viene normativamente definito contributo per il rimborso delle spese elettorali è, in realtà, un vero e proprio finanziamento».
Un finanziamento frutto di un meccanismo diabolico, studiato per aggirare i risultati devastanti di quella consultazione popolare del 1993 promossa dai radicali che ebbe un consenso mai più raggiun­to (l’85%) da un referendum. Go­vernato da regole, se possibile, an­cora più diaboliche. Per esempio, quella secondo cui l’euro pro capi­te l’anno per ogni tornata elettora­le si calcola non su quanti effettiva­mente si recano alle urne (circa 37 milioni e mezzo alle ultime politi­che) ma sul numero degli iscritti al­le liste elettorali della Camera: 50 milioni 66 mila 615. Così anche i rimborsi del Senato, dove gli eletto­ri sono tre o quattro milioni di me­no, si calcolano sempre su quel pa­rametro. Altra regola diabolica: per accedere al Parlamento esiste una soglia di sbarramento del 4%, ma per ottenere i contributi è sufficien­te raggiungere l’1%. Accade così che la Destra, formazione politica che aveva presentato Daniela San­tanché come candidata premier, e con il 2% rimasta fuori dal Parla­mento, ha avuto in dote rimborsi per 6,2 milioni di euro: 3,7 milioni più di quanto aveva speso per la campagna elettorale.
E chi non arriva nemmeno al fati­dico 1%? Non prende i soldi. Ma i denari non vanno certamente per­duti, perché se li dividono gli altri. Dopo le elezioni del 2008 sono sta­ti distribuiti in questo modo un pa­io di milioni. Ed è piovuto, ovvia­mente, sul bagnato. Il Popolo della Libertà ha speso per la campagna elettorale 68 milioni e mezzo? Avrà rimborsi per 206 milioni e mezzo in cinque anni. Il guadagno è di ol­tre il 200%. Ancora meglio è andata al Partito democratico (l’unico ad avere il bilancio certificato) che avendo investito 18,4 milioni ne porterà a casa 180,2. Per non parla­re dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro: 4,4 milioni spesi, 21,6 in­cassati. Perfino l’Udc, che in occa­sione della campagna elettorale del 2008 ha prodotto uno sforzo fi­nanziario immane, inferiore soltan­to a quello del partito di Silvio Ber­lusconi, con un investimento di quasi 21 milioni, ha chiuso in atti­vo per 5 milioni. Ottima anche la performance del Movimento per l’autonomia di Raffaele Lombardo, che potrà contare su rimborsi pari a quasi sei volte la somma spesa. Non è andata invece affatto bene al­la Sinistra arcobaleno, che per la campagna elettorale aveva messo sul piatto qualcosa come 11 milio­ni di euro, senza tuttavia riuscire a superare la soglia di sbarramento. Perderà 1,9 milioni in cinque anni. Pazienza: ci sono sempre i genero­si contributi elettorali della prece­dente legislatura, che continueran­no a correre ancora per tre anni. Nel 2006 il record che è oggi della Lega Nord apparteneva a Rifonda­zione comunista, che con un inve­stimento di neanche 2,8 milioni aveva raggranellato contributi per una cifra astronomica. Cioè, 34 mi­lioni e mezzo di euro.
La semplificazione del panora­ma politico seguita alla nascita del Popolo della Libertà e del Partito democratico ha avuto, com’era lo­gico, anche conseguenze finanzia­rie non trascurabili, come testimo­niano le cifre racchiuse nel rappor­to del collegio di magistrati conta­bili, presieduto da Rita Arrigoni, che ha passato al setaccio le spese elettorali del 2008. Conseguenze che hanno avvantaggiato notevol­mente i partiti maggiori. Illuminan­te è il confronto con le elezioni po­litiche del 2006. Allora Alleanza na­zionale e Forza Italia, che due anni più tardi hanno dato vita al Popolo della Libertà, avevano speso 80 mi­lioni e mezzo, incassandone 191. L’Ulivo e la Margherita avevano in­vece ottenuto rimborsi per 108 mi­lioni a fronte di 23,5 milioni di in­vestimenti elettorali.
Cifre enormi, cresciute negli an­ni in modo abnorme. Soprattutto a partire dal 2001, quando, con un blitz fulmineo in Parlamento, la mi­sura del contributo unitario a cari­co di ogni elettore venne portata da 800 lire a un euro l’anno per ogni votazione. Una valanga di de­naro si è riversata da allora nelle casse dei partiti, con il risultato di far lievitare in modo incontrollato anche le spese elettorali. Per le ele­zioni politiche del 1996 tutti i parti­ti spesero l’equivalente di 19,8 mi­lioni di euro. Cinque anni più tar­di, 49,6 milioni. Nel 2006, 122,8 mi­lioni. E l’anno scorso 136 milioni: sette volte più che nel 1996. Dai 35 centesimi per elettore delle politi­che del 1996, si è saliti a un euro nel 2001, a 2 euro e 47 centesimi nel 2006 e a 2 euro e 71 centesimi soltanto un paio d’anni più tardi. Tutto questo mentre i contributi versati dallo Stato salivano inesora­bilmente da 83 centesimi a 9 euro e 63 centesimi, fino a 10 euro per quinquennio per entrambi i rami del Parlamento. Impressionante.
Come impressionante è il volu­me di risorse che dalle elezioni po­litiche del 1994, le prime della co­siddetta Seconda Repubblica, è af­fluito verso la politica con il siste­ma dei rimborsi. Secondo la Corte dei conti si tratta di una cifra pari a 2 miliardi 253 milioni di euro. Una somma capace di generare un «uti­le netto» di un miliardo 674 milio­ni di euro rispetto ai 579 milioni di spese elettorali. Con una progres­sione geometrica. Se nel 1994 la dif­ferenza fra i contributi statali e le spese documentate per la campa­gna elettorale superava appena i 10 milioni di euro, nel 2008 è stata 36 volte maggiore.
Un fatto che dimostra, se ce ne fosse stato il bisogno, che si è or­mai passata la misura. E che deci­sioni come quella presa nella Fi­nanziaria del 2008, con cui i contri­buti elettorali sono stati ridotti di 20 milioni l’anno, non rappresenta­no altro che palliativi. «Un segna­le », lo definisce infatti la Corte dei conti, ribadendo «l’esigenza di cor­relare, almeno in parte, l’ammonta­re del contributo statale alle spese elettorali effettivamente sostenute dai partiti».
Anche perché, oltre al danno, c’è pure la beffa. Ricordano, i magistra­ti contabili, che nel caso in cui si vedano erogare in ritardo i rimbor­si ai quali hanno diritto, i partiti hanno diritto a pretendere dallo Stato il pagamento degli interessi legali. E se «è indubbio» che que­sto «risponde ai comuni principi ci­vilistici », c’è scritto nel rapporto della Corte dei conti, «è pur vero che, a fronte di rimborsi che supe­rano di gran lunga le spese effetti­vamente sostenute dai partiti nelle campagne elettorali, l’introduzio­ne di una norma che ne preveda l’erogazione senza interessi legali eliminerebbe l’effetto espansivo di impiego di risorse pubbliche, che appare già fortemente squilibrato a vantaggio dei partiti». Insomma, se proprio non si vuole usare l’ac­cetta, che ci si metta una mano sul­la coscienza. Almeno quella.