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 2009  dicembre 22 Martedì calendario

MAURIZIO MAGGI PER L’ESPRESSO 22 DICEMBRE 2009

Quest’anno a Natale si sta a dieta Un terzo degli italiani spenderà meno per i regali. In calo anche gli acquisti di cibo per i cenoni. Crolla la piccola distribuzione, si salvano solo gli ipermercati

Una campagna acquisti natalizia sottotono: il 33 per cento degli italiani spenderà meno di prima per fare regali. E rallenteranno pure gli acquisti di cibi destinati al pranzo di Natale e al cenone di Capodanno, occasioni da trascorrere sempre più in casa, anche se il panettone e gli altri tipici prodotti da ricorrenza non dovrebbero flettere sensibilmente, come accadrà invece ai piccoli elettrodomestici. Sorridono i supermercati, perché cresce la propensione a fare shopping nella grande distribuzione (prevede di utilizzarla di più il 7 per cento dei clienti), sono buoni i segnali prenatalizi per gli ipermercati (più 4 per cento), mentre arretra la voglia di rifornirsi presso i discount (meno 3 per cento), i grandi negozi di elettronica e abbigliamento e i supermercatini sotto casa (meno 2 per cento).
Sono alcune delle previsioni che emergono dal Barometro sugli acquisti di Natale messo a punto da Coop Italia in collaborazione con KKien, società specializzata nelle ricerche di mercato. Il Barometro Coop è lo strumento di cui si è dotata da inizio anno la Coop Italia presieduta da Vincenzo Tassinari per anticipare le tendenze. Il campione è di 3.500 persone, clienti abituali e occasionali delle Coop, ma anche responsabili degli acquisti dei punti vendita. Per il focus sul periodo delle festività, tra il 20 e il 30 novembre è stato fatto un approfondimento tra 855 clienti che risiedono nei bacini dei negozi Coop, presenti un po’ ovunque in Italia, con l’eccezione di Val d’Aosta e Calabria. Era lecito attendersi che in piena crisi economica i discount facessero sfracelli. Perché le cose non vanno così lo spiega Francesco Cecere, curatore della ricerca e direttore pianificazione e controllo di Coop Italia: "Non c’è la rincorsa ai prodotti di primo prezzo. I discount crescono solo se aprono nuove superfici, altrimenti sono plafonati. E i consumatori preferiscono rinunciare alla quantità che alla qualità". Alla base di questa considerazione c’è la costante crescita dei prodotti commercializzati con il marchio dell’insegna, i cosiddetti ’private label’. "Nel nostro caso", sostiene Cecere, "i prodotti venduti con il marchio Coop costano circa il 25 per cento in meno rispetto alle marche leader e con una qualità che, stando alle inchieste presso il pubblico, è valutata sostanzialmente pari a quella delle marche note". Il supermarket, poi, piace anche perché può offrire il miglior rapporto tra costi e benefici, dove i costi sono rappresentati dal tempo necessario per andare a fare la spesa e dalla lunghezza dello spostamento (che in certe zone riduce l’appeal degli iper), e vende prodotti di primo prezzo sovente in linea con quelli del discount. La crisi, comunque, morde. E parecchio. Una quota compresa tra il 16 e il 20 per cento dei consumatori dichiara che le proprie condizioni economiche future peggioreranno e nutre decrescenti aspettative di spesa. La contrazione coinvolge tutte le fascia di età, con saldi negativi - rispetto all’anno scorso, anche del 14 per cento per gli acquisti di prodotti di marca da parte dei consumatori di sesso maschile. Così si scatena la caccia alle promozioni: il 29 per cento dei clienti Coop annuncia di puntare sui prodotti alimentari in offerta anche per pranzi e cenoni legati alle prossime festività. Tra le più rilevanti differenze geografiche, spicca la ’voglia di marca’ del Sud. "Nel Meridione il ciclo del consumo è ancora in una fase arretrata e il pubblico è meno smaliziato sul tema delle marche, in confronto alla clientela di zone in cui la grande distribuzione è presente e radicata da tempo". Nella sua veste di sociologo dei consumi, Cecere enfatizza le risposte del campione sui comportamenti di consumo in tempi di crisi (illustrati dal grafico qui sopra): "Siamo davanti a un orientamento post-consumistico che non è solo il frutto della crisi. Sette italiani su dieci dicono di voler assumere atteggiamenti di maggiore attenzione contro gli sprechi e si dicono favorevoli al riutilizzo delle cose e alla raccolta differenziata". Il post-consumismo, però, non è roba per giovani: "Nelle famiglie coesistono modelli diversi, con i più anziani che di fatto finanziano il consumismo dei ragazzi". Gli over 50, che hanno vissuto il boom consumista, s’interrogano sul senso della fruizione della merce. Una riflessione che, sostiene Cecere, "non coinvolge i giovani e le famiglie immigrate, specie quelle di origine slava, arrivate da noi proprio per accedere al consumismo".