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 2009  dicembre 18 Venerdì calendario

SCAJOLA CHIEDE AGLI INDIANI DI SALVARE LA FIAT DI TERMINI

Dal maglioncino di Marchionne al turbante di Ratan Tata. Il futuro dell’auto a Termini Imerese, provincia di Palermo, profondo Sud, sta tutto qui. Per ora si tratta solo di una scommessa, ma c’è chi è disposto a puntare, e forte, sull’arrivo del colosso indiano. Dopo l’incontro di mercoledì con il ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola, il tam tam degli ambienti finanziari di Delhi è entrato in fibrillazione. Se davvero il governo italiano è pronto a mettere sul tavolo una fiche d’ingresso da 400 milioni, gli indiani potrebbero fare la parte dei salvatori per lo stabilimento più tormentato d’Italia. Anche perché sotto il ”safa” (così si chiama in realtà il turbante indiano) Tata ha parecchie idee. Chissà che non ci siano anche quelle per rilanciare la capitale mancata dell’auto made in Sicilia.
Fin qui il folclore, alimentato dal tam tam rimbalzato in Italia all’indomani dell’incontro a Nuova Delhi fra il magnate indiano e Scajola. I media locali hanno fatto di tutto per dar corpo alle indiscrezioni, dopo che lo stesso Scajola in missione ufficiale in India, rispondendo alla domanda di un giornalista si è dichiarato favorevole a una soluzione indiana. Concetto riaffermato anche ieri: «La produzione industriale di auto deve crescere nel nostro Paese», ha detto dopo essere rientrato, «perché è troppo bassa. Siamo disponibile ad aprire le porte a chiunque voglia investire perché gli investimenti portano ricchezza e lavoro».
In linea di principio il ragionamento non fa una grinza. Ma l’operazione avrebbe senso più in chiave politica che industriale. Con una base produttiva in Italia la Tata entrerebbe nel grande giro delle quattro ruote di qualità. Tutto qui. Già, perché sotto il profilo strettamente industriale ci sarebbe poco da mordere. «Senza un forte incentivo statale concesso da Roma, non si vede perché la Tata dovrebbe venire a produrre in Italia, a costi molto superiori rispetto a quello possibili in Serbia, Slovacchia o Turchia», spiega a Libero Pierluigi Bellini, analista di Global Insight. Uno che sull’auto la sa lunga. Se non c’è un forte incentivo locale, non ha senso. «Costo del lavoro a parte», aggiunge, «gli indiani avrebbero gli stessi problemi incontrati dalla Fiat: infrastrutture insufficienti, produttori della componentistica lontani, costi elevati per il trasporto delle vetture una volta finite. Certo, Tata si troverebbe uno stabilimento pronto. Ma lo stesso ragionamento si può fare anche per la Turchia».
Intanto, mentre il gruppo Mahindra & Mahindra, destinato secondo i rumors a entrare in partita assieme alla Tata, ha smentito l’esistenza di una trattativa, da Torino tutto tace. «Non commentiamo le indiscrezioni del mercato», fanno sapere dal Lingotto. Ma da ambienti finanziari vicini alla società arriva un giudizio lapidario sulle indiscrezioni: «Una sciocchezza colossale».
Così a commentare il presunto interesse indiano per Termini rimangono i sindacati: «Tata è un grande gruppo industriale e automobilistico, è l’unico socio straniero di Fiat che siede nel Cda: se fosse realmente interessato alla fabbrica di Termini Imerese se ne potrebbe discutere», affermava ieri Enzo Masini, coordinatore nazionale Fiom-Cgil per l’auto.