Filvio Gioanetto, il manifesto 17/12/2009, 17 dicembre 2009
L’ORO NERO DEL TITICACA
La riserva lacustre del lago Titicaca, nell’altopiano peruviano, è minacciata. Si tratta di idrocarburi: il lago si trova in una conca sedimentaria di origine marina e pare che nel sottosuolo nasconda giacimenti considerevoli di petrolio. Sta di fatto che l’impresa statale PetroPerù ha concesso a quattro imprese petrolifere, statunitensi e latinoamericane, la concessione per esplorare e poi estrarre idrocarburi in due grandi lotti, il 155 e 156, rispettivamente nelle province di Azangaro e di El Collao y Chuchito, per una superficie di 342 mila ettari. Il consorzio beneficiario è rappresentato dalla argentina Pluspetrol, la statale PetroPerù, l’indiana Reliance Exploration Dmcc e la cinese Sapet Development Ltd., che potranno sfruttare l’area per almeno quarant’anni apportando nelle casse statali 35 milioni di dollari. Il contratto risale allo scorso aprile, e segue quelli che PetroPerù aveva già firmato nel 2005 e 2005, quando ha dato in concessione altri due lotti: il 105, situato tra le province di Puno, Huancané, Lampa e San Roman, al bordo della Riserva naturale del lago Titicaca, dove è coinvolta un’impresa russa (Siberian Oil). E il lotto 141, nelle province di Melgar e Lampa, alla canadese Pan Andean Resouce, che poi ha trasferito il contratto a Reliance Exploration.
La corsa all’oro nero ha suscitato proteste, a cominciare dalle autorità locali di Puno e delle province coinvolte. Anche sull’altra sponda di questa immensa distesa d’acqua dolce di 8.500 chilometri quadrati, il governo boliviano ha già ufficialmente protestato per le concessioni petrolifere, invocando il trattato bilaterale che obbliga i due paesi rivieraschi a un comune accordo prima di concedere eventuali permessi estrattivi nella condivisa frontiera lacustre naturale. La zona aggiudicata alle compagnie petroliere è da sempre abitata da comunità di piccoli allevatori di lama, alpaca e pecore, che utilizzano come foraggio le pianta acquatiche endemiche - totora, yana llacho, purima e la lenteja de agua. Nel lato boschivo della provincia di Sandia nascono innumerevoli sorgenti e fonti di acqua potabile, così come i torrenti e le sorgenti delle provincie rivierasche di Moho, Azangaro e San Antonio di Putina, che oltre ad alimentare il lago Titicaca, servono per irrigare ortaggi di autoconsumo coltivati dalle comunità indigene locali.
Insomma: il progetto di avviare esplorazioni petrolifere e scavare pozzi sulle sponde del lago Titicaca minaccia non solo l’esclusiva biodiversità lacustre - con decine di specie di uccelli acquatici (soprattutto anatre), 29 di pesci e anfibi endemici catalogati. Quello che è in rischio, a parte eventuali dispersioni di idrocarburi, è il sempre più fragile equilibrio ecologico del lago, già compromesso da scarichi urbani (principale cause di inquinamento del lago stesso), dall’eccessivo sfruttamento della pesca e dalle incognite del cambiamento climatico. Un recente rapporto segnala che ogni anni 12 milioni di metri cubi di fogne si scaricano direttamente nel lago: del resto, i 210 hotel della regione di Puno scaricano direttamente nelle acque lacustri e solo una cinquantina avrebbero l’infrastruttura fognaria di legge. Quanto alle future esplorazioni petrolifere, PetroPerù nega possibili impatti sul lago. A questo però ribattono i tecnici del ministero dell’ambiente peruviano: il Titicaca, dicono, è un conca endorreica dove tutte le acque fluviali e pluviali terminano nel lago. Quindi tutto quello che succede o altera l’ecosistema attorno al lago ha un impatto diretto sullo stesso. Il Titicaca, «el lago sagrado», è in pericolo.