Maurizio Ricci, Repubblica 17/12/2009, 17 dicembre 2009
I PAESI POVERI CONTRO QUELLI RICCHI. AL VERTICE SCOPPIA LA GUERRA DEI FONDI - COPENAGHEN
Alla fine, è una questione anche, e soprattutto, di soldi. Senza un flusso garantito di finanziamenti per aiutarli ad affrontare il riscaldamento globale, i paesi poveri e in via di sviluppo non sono in grado di accettare impegni e vincoli nella lotta all´effetto serra. «La questione dei finanziamenti - aveva detto Yvo De Boer, il capo dell´Unfcc, la branca dell´Onu per il cambiamento climatico - è assolutamente critica. Dobbiamo vederne una quantità significativa sul tavolo di Copenaghen». Per il momento, però, il tavolo è ancora desolatamente vuoto: ci sono state promesse di qualche miliardo di dollari subito, ma nessun impegno consistente da parte dei paesi ricchi per affrontare sistematicamente e a lungo termine il riscaldamento globale nei paesi che ne sono più direttamente minacciati.
I soldi servono per due scopi. Il primo, definito «contenimento», è aiutare i paesi poveri ad adottare tecnologie che riducano le emissioni di anidride carbonica, oggi basse in questi paesi, ma destinate a salire con lo sviluppo economico. Il secondo, anche più urgente, definito «adattamento», è aiutarli a difendersi dagli effetti già presenti del cambiamento climatico, come inondazioni e siccità. Il presidente della Liberia ha, ad esempio, sottolineato che, per costruire dighe che difendano il paese dall´innalzamento dell´oceano, dovrebbe sacrificare metà del bilancio nazionale.
Quanti soldi servono? Gli stessi paesi poveri, fino a ieri, indicavano come investimento necessario un flusso di finanziamenti crescente che, a regime, nel 2020, raggiungesse i 2-300 miliardi di dollari. Altre stime sono più modeste, anche perché nel frattempo il più importante e il più grande dei paesi emergenti - la Cina - ha chiarito che non intende chiedere finanziamenti internazionali. Secondo l´Unione europea il flusso complessivo di soldi necessario ai paesi poveri per la lotta a lungo termine contro l´effetto serra dovrebbe raggiungere, nel 2020, i 150 miliardi di dollari. Secondo il Fondo monetario internazionale, la cifra necessaria è appena più contenuta: 115 miliardi di dollari l´anno, sempre nel 2020.
Nell´impasse in cui si sono insabbiati i negoziati di Copenaghen, i paesi poveri hanno tentato di rimettere in moto la trattativa, riducendo le loro richieste. Anziché i 2-300 miliardi di dollari di cui si parlava finora, Menes Zelawi, il presidente dell´Etiopia che rappresenta qui l´Organizzazione per l´unità africana e, quindi, l´intero continente, ha indicato, ieri, come obiettivo, finanziamenti dai paesi ricchi che dovrebbero partire nel 2013, arrivare a 50 miliardi di dollari l´anno nel 2015 e a 100 miliardi di dollari l´anno nel 2020, da destinare per metà all´adattamento e per metà al contenimento dell´effetto serra. E´ una cifra non molto diversa da quella indicata dalla Unione europea. Secondo Bruxelles, infatti, i 150 miliardi di dollari della stima europea sono rappresentati da 30-60 miliardi di dollari stanziati dagli stessi paesi poveri, da 30-60 miliardi di dollari messi a disposizione dai paesi ricchi, mentre 60 miliardi di dollari dovrebbero arrivare dal mercato dei diritti alle emissioni, che oggi incanala verso i paesi poveri poco più di 6 miliardi di dollari l´anno, che potrebbero però rapidamente arrivare a 50-60 miliardi, se il mercato - oggi essenzialmente solo europeo - venisse esteso a livello mondiale da un accordo a Copenaghen.
I conti insomma tornano. E Zelawi ha spiegato che la sua proposta poteva dispiacere a molti paesi poveri, ma «è meglio chiedere meno soldi, in cambio di soldi più sicuri». Il problema è che, per ora, non si è materializzato un solo dollaro, sicuro o meno. «E´ come dire ad uno che si lancia dall´aereo in volo, tu buttati, il paracadute lo trovi giù» commenta con sarcasmo Kumi Naidoo, di Greenpeace: «senza soldi veri sul tavolo, i paesi poveri non accetteranno di sottoscrivere alcun impegno sulle emissioni».
E´ difficile che i paesi poveri, in assenza di impegni a lungo termine, si accontentino del modesto gruzzolo, che i paesi ricchi promettono per subito, da qui al 2012. L´Unione europea ha promesso 3,5 miliardi di dollari l´anno per i prossimi tre anni, il Giappone 3,3 miliardi di dollari. Gli Usa, che nel 2009 hanno destinato 1,2 miliardi di dollari ai paesi poveri, potrebbero salire a 3 miliardi, a partire dal 2010. Il totale, in 3 anni, sarebbe di circa 10 miliardi di dollari. Anche qui, i conti, apparentemente, tornano. Secondo Zelawi, le necessità immediate sono, appunto, di 10 miliardi di dollari. Ma i paesi poveri vogliono essere sicuri che questi soldi siano effettivamente in più, rispetto alle donazioni già in corso (i paesi ricchi hanno destinato al mondo sottosviluppato 21 miliardi di dollari nel 2009). E vogliono, soprattutto, sapere cosa accadrà dal 2013 in poi.