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 2009  dicembre 17 Giovedì calendario

QUEI MATCH CON GRIFFITH IL PICCHIATORE GENTILUOMO TROPPO BUONO PER LA VITA"

Nino Benvenuti, ma che succede a Griffith?| «Niente di così sorprendente purtroppo. Era ed è un uomo troppo poco concreto per sapersi gestire con saggezza».
Non la stupisce dunque questo suo finire in miseria?
«Guardi, no. La sua vita è stata un continuo susseguirsi di bei gesti, quasi tutti privi di concretezza. Fuori dal ring Emile non era un pratico, un finalizzatore».
Ma è mai stato ricco?
«Non direi. Ha guadagnato, questo sì. Ma mai abbastanza per garantirsi una pensione. Avrebbe dovuto lavorare, una volta finita la carriera».
Lo ha fatto però...
«Sì, ha allenato in palestra, fatto il manager. Ma poca roba. Che vuole, lui ha sempre fatto così una volta smesso di combattere. Era come se non credesse a niente, qualcosa ha combinato ma senza programmazione. E quando uno non è del tutto convinto di ciò che fa, alla fine si scoccia. Oppure il suo datore di lavoro se ne accorge e gli dà il benservito. Diciamo pure che era un sognatore e, a modo suo, anche un viziato».
Certo, un carattere particolare.
«Pensi che è uno dei pochi pugili, parlo di quelli leggendari, a non aver mai avuto problemi con la giustizia».
Come mai, secondo lei?
«Tutto è legato a sua madre. Emile è nato nelle Isole Vergini e lì la gente è come se fosse indietro nel tempo. Sua madre Emelda veniva sempre a vederlo, stava tutto il tempo a bordo ring urlando come una fan ma con dei vestiti di raso, di chiffon. Una signora d´altri tempi. Trasmise al figlio un´educazione quasi eccessiva. Era protettiva sino all´oppressione».
Tanto oppressiva da spingere suo figlio all´omosessualità?
«Probabile. Gli ha chiuso gli spazi "fisici" per conoscere altro».
E così anche Emile divenne un uomo d´altri tempi.
«Decisamente. Vestiva elegante portava anelli sgargianti. Faceva il baciamano».
Un personaggio alla Oscar Wilde più che da film della "blaxploitation".
«Aveva un galateo tutto suo. Se uno gli dava la schiena si domandava: ma perché quello fa così? E quando lo apostrofavano con un "lui" (con un "he") s´inalberava: io sono Emile, quale lui!».
E sul ring?
«Lì era diverso. Era agonista, aggressivo. Però sempre nei limiti della correttezza. Non portava mai un colpo inutile, anche se poteva essere definitivo. Per lui prima venivano le regole, poi la vittoria. Per esempio nei nostri tre match, gli arbitri ci avranno diviso al massimo tre volte. Lui era più basso di me, i suoi capelli ispidi, duri come l´acciaio, mi strusciavano contro il mento, che mi spesso arrivava a sanguinarmi. Eppure non mi ha mai dato una testata».
E dei soldi, anche se non tantissimi, che ne avrà fatto?
«Li ha spesi. Era un misto fra il dandy e il bohemiènne. Non sapeva regolarsi».
Quindi non si è mai impegnato sul serio a trovarsi un´altra vita, un altro modo di guadagnarsi la giornata?
«Era quasi inevitabile. Forse se gli avessero proposto un lavoro vero non avrebbe neppure accettato».
Cosa farà adesso per lui?
«Lo porterò in Italia (a fine febbraio probabilmente, ndr) per una serie di incontri-interviste e cercherò di far tradurre e pubblicare la sua biografia Nine ten... and out! The Two worlds of Emile Griffith».
Siete sempre rimasti in contatto?
«Sempre. L´ultima volta che venne in Italia però fu nel ”78 per la cresima di mio figlio Giuliano».
Poteva forse vincere di più?
«Era un welter naturale e un medio innaturale. Da welter avrebbe dominato per anni, ma volle fare il salto di categoria: i medi erano "la categoria". E ha fatto quello che ha potuto».
Riassumendo: come lo definirebbe?
«Uno tosto, pulito dentro, facile ad offendersi. Grande persona, senza ombre. Uno che per natura nascondeva il brutto delle cose ma che alla fine si è trasformato in uno sradicato».
Sfortunato forse?
«Ha sempre avuto intorno tanta gente pronta ad osannarlo. Ma non ad aiutarlo».