Tonia Mastrobuoni, Il Riformista 17/12/2009, 17 dicembre 2009
I DANNI ECONOMICI DELLA FRETTA DI KOHL
«Politicamente Kohl non ha commesso errori. Ma dal punto di vista economico ha sbagliato tutto». Il giudizio è di Lothar Späth, per 13 anni premier cristianodemocratico di una delle regioni più ricche della Germania, il Baden-Württemberg, e storico rivale di Kohl. Giudizio forse ingeneroso, ma non del tutto campato per aria. Se a distanza di vent’anni molti tedeschi occidentali continuano a ritenersi contribuenti netti e frustrati della ricostruzione a est dell’Elba e molti compatrioti di là del vecchio Muro vittime di una svendita e di una annessione frettolosa al capitalismo, forse qualcosa non è andato per il verso giusto.
Uno che all’epoca c’era e partecipò in prima persona ai negoziati economici per il trattato di riunificazione è Edgar Most. All’epoca era vicepresidente della banca di Stato della Germania Est e un giorno di aprile 1990 si ritrovò seduto accanto a Kohl durante un incontro a Bonn con i principali istituti di credito tedeschi. In un’intervista al settimanale "Stern" Most raccontava di aver tentato per quattro ore di convincere il cancelliere e i suoi interlocutori che il cambio 1:1 di un marco orientale contro un "super" marco occidentale sarebbe stata una follia che avrebbe spazzato via l’industria dell’Est, già poco competitiva.
Most disse ai banchieri e a Kohl che aveva dati riservati sul reale stato dell’economia della Ddr, che non era così grave come era stata prospettata sei mesi prima, quando c’era ancora il Muro, dall’ex leader maximo della Ddr Krenz quando era andato a "vendere" la Cortina di ferro a Bonn in cambio di nuovi crediti da 13 miliardi. Kohl si rivolse a Hams Tietmeyer, all’epoca sottosegretario alle Finanze, più tardi governatore della Bundesbank e gli chiese di dare un’occhiata ai documenti del banchiere dell’Est. Ma col senno di poi per Most è chiaro che fu un gesto poco più che simbolico, «che quelli non ci volevano ascoltare». Che Kohl, in sostanza, aveva già la testa sulla campagna elettorale per le politiche previste a dicembre di quell’anno e aveva fretta di definire i dettagli del trattato di unificazione.
Il cambio 1:1 du fatto e distrusse effettivamente quel che rimaneva delle imprese della Germania Est, creando oltretutto un’ondata di disoccupati che fatica ancora ad essere riassorbita. Quella decisione, come ha dichiarato al Riformista anche il presidente del gruppo editoriale Axel Springer, Giuseppe Vita, «fu un errore, forse l’errore più grande dela riunificazione». Ma non fu l’unico.
L’economista tedesco Hans Werner Sinn dirige da anni l’Ifo, il seguitissimo istituto che raccoglie il mood, l’indice di fiducia delle imprese della prima economia europea. Già nel 1991 scrisse un libro a quattro mani con la moglie Gerlinde che dece scalpore, "Kaltstart" ("Partenza a freddo") in cui c’erano molte critiche alle decisioni economiche che avevano accompagnato la riunificazione politica. Di recente ha scritto un bilancio del ventennale dalla caduta del Muro dal titolo eloquente, "Partenza falsa a freddo" apparso sull’edizione domenicale del quotidiano conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Il reddito pro capite dei tedeschi dell’Est non arriva al 70% dei "cugini" dell’Ovest. Gonfiato, oltretutto, dalle sovvenzioni occidentali, altrimenti sarebbe il 66%. Un risultato «particolarmente deludente» secondo Sinn, se si pensa «agli aiuti giganteschi che sono stati concessi ai nuovi Länder». Secondo le stime prudenti dell’economista si tratta di 1.200 mila miliardi di euro, ma c’è chi ipotizza che la montagna di soldi investita a Est per creare i «paesaggi in fiore» promessi da Kohl raggiunga i 1.500 mila miliardi. Una somma che equivale alla ricchezza prodotta in un anno in Italia. E che corriponde più o meno al debito pubblico tedesco di oggi (che è sotto il 70% del Pil).
Il divario tuttora enorme tra ricchezza pro capite nelle due Germanie induce spesso gli economisti tedeschi a parlare dell’Est come del "Mezzogiorno" (in italiano, negli articoli) della Germania. Scrive Norbert Peche in un articolo apparso sulla Berliner Zeitung: «Si tratta di un divario di sviluppo enorme, più grande di quello tra l’area emergenziale del "Mezzogiorno" italiano e la media del resto del Paese. E dire che questo differenziale è comunemente citato come esempio lampante di un deficit di sviluppo catastrofico e di un fallimento della politica economica».
Il secondo errore della riunificazione economica di cui parla estesamente Hans-Werner Sinn è stata la frettolosa privatizzazione, in sostanza il disastro della Treuhand. L’agenzia federale responsabile del risanamento e della privatizzazione delle aziende della Ddr fu istituita il primo marzo del 1990 per amministrare il "patrimonio del popolo" valutato 620 miliardi di marchi. Come scrisse giustamente l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, la cessione ai privati delle aziende orientali sull’orlo del collasso «fu giusta, in linea di principio». Ma Bonn «sbagliò i tempi e i modi».
Dopo che il primo responsabile fu assassinato, la Treuhand fu diretta con piglio ultraliberista e aggressivo tra il 1991 da Birgit Breuel. Il suo motto era «la privatizzazione è il miglior risanamento» e alla fine del 1994, 12mila imprese dell’ex Ddr erano già passate per le sue mani. Due terzi privatizzate o salvate in altro modo, un terzo liquidate. Ma quando terminò il suo mandato, l’agenzia della Breuel lasciò 260 miliardi di marchi di debiti e una scia di polemiche per i numerosi casi di corruzione venuti a galla durante il quadriennio.
La privatizzazione è andata poi a beneficio quasi esclusivo di acquirenti occidentali. Il 95 oer cento delle imprese è stata ceduta a tedeschi occidentali e al "resto del mondo", solo il 5 per cento è stato venduto a tedeschi dell’Est. E, come scrive Franziska Augstein, figlia del leggendario fondatore dello Spiegel, Rufolf, sulle Sueddeutsche Zeitung, «i costi più pesanti sono quelli causati indirettamente dalle politiche dell’agenzia per le privatizzazioni, cioè l’enorme disoccupazione che ne conseguì».
Un altro problema che contribuì ad affossare le imprese orientali prima ancora che avessero avuto l’opportunità di confrontarsi con il capitalismo du la politica dei redditi. Per non avere tra i piedi i sindacati dell’Est ma soprattutto imprese concorrenti con manodopera a basso costo, i rappresentanti delle imprese della Germania Ovest riuscirono a strappare un’enorme aumento degli stipendi. Fu il colpo di grazia, per le aziende già cotte ad est dell’Elba. Ma ebbe altre, pesanti conseguenze.
Scrive Sinn: «gli investitori si tennero alla larga, le aziende amministrate dalla Treuhand fallirono e alla fine non ci fu più niente da redistribuire. Sony, uno dei pochi investitori importanti della prima ora ha già rivenduto, delusa, il suo colossare SonyZentrum a Potsdamer Platz». Suggerisce l’economista dell’Ifo: «Nell’economia di mercato esiste una regola ferrea: prima bisogna fare in modo che l’economia fiorisca. Poi si possono aumentare fli stipendi». ovvio: gli stipendi bassi attraggono gli investitoti, l’economia comincia a girare, a quel punto le retribuzioni aumentano. Ed è quello che è successo effettivamente in altri paesi dell’Est.
Oggi non è un caso se c’è un’unica impresa con più di diecimila addetti, nella ex Ddr. Si chiama Vattenfall ed è svedese.