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 2009  dicembre 17 Giovedì calendario

NON SPARATE SULLO STRUZZO

Non ci sono fratture e discontinuità tra lo Struzzo di Giulio Einaudi e quello che, superato il fallimento negli anni Ottanta, è finito dopo alterne vicende nel gruppo Mondadori. Anzi, «l’Einaudi è stata ed è - sottolineo è - la stessa casa editrice. Una casa editrice di cultura, sulla base non di un progetto ma di un particolare giudizio di valore». Lo ha rivendicato ieri il direttore editoriale Ernesto Franco, parlando all’Archivio di Stato in apertura della quinta giornata di studi nell’ambito della mostra «Bobbio e il suo mondo»: e le sue parole sono suonate come una pacata ma orgogliosa risposta alle polemiche delle ultime settimane, innescate da una conferenza bolognese di Gian Arturo Ferrari.
Il direttore generale della divisione libri Mondadori, proprio pochi giorni prima di «staccare» dall’incarico (lascia il 31 dicembre), intervenendo all’annuale lettura bolognese del Mulino, aveva definito l’editoria di cultura italiana «o all’italiana», come «una formazione storica che ha avuto una sua precisa genesi, un suo individuabile auctor, una sua fioritura e, infine, un suo declino». L’auctor in questione è ovviamente Giulio Einaudi, «la cui grandezza non sta nei molti e discutibili snobismi e nei molti e stucchevoli riti, paramenti e accessori di cui volle rivestire sé medesimo e la casa editrice, bensì nella determinazione lucida e feroce con cui seppe perseguire un progetto grandioso, smisurato e forse insensato». Ovvero «fare dell’attività editoriale, e di una specifica casa editrice, il centro, il perno strategico di quello che negli anni Cinquanta e sulla scorta di Gramsci si sarebbe definito come un progetto egemonico».
 un giudizio storico. A esso pensava certamente il sociologo Marco Revelli quando, aprendo ieri i lavori del convegno, ha parlato del «modello einaudiano sotto tiro». E a esso non poteva non pensare Ernesto Franco, anche perché il titolo della sua conferenza, definito evidentemente prima che scoppiasse il caso, riguardava proprio Il progetto editoriale. Qual è stato quello dello Struzzo? Franco ha risposto con le parole del fondatore: «Del progetto editoriale ti accorgi quando lo hai alle spalle», e ha tessuto l’elogio dell’editoria di cultura, intesa come tensione verso nuove idee e non come inseguimento delle novità che si bruciano rapidamente (e sono dei cadaveri, come diceva Walter Benjamin): «Il nuovo è rischio editoriale, una scommessa sul pubblico del futuro», e per questo l’Einaudi «si è sempre mossa come una casa editrice di cultura, grandi opere comprese, persino tradotte all’estero».
L’accenno alle grandi opere di taglio enciclopedico suona come un ridimensionamento della tesi che proprio esse abbiano affossato l’Einaudi negli anni Ottanta: una convinzione diffusa e fatta propria da Ferrari, quando a Bologna ha puntato il dito sulla «finale e catastrofica resurrezione dell’idea enciclopedica», risultato e culmine di un «conclamato delirio di onnipotenza (sempre editorialmente parlando), nell’utopia di una rifondazione universale e onnicomprensiva del sapere». Ci era andato giù duro. Franco procede felpato, rifacendosi al Norberto Bobbio di Politica e cultura per ribadire come la «politica della cultura» non sia «politica culturale» (la prima è apertura e difesa di spazi di confronto, la seconda pianificazione fatta dai partiti e dai potentati politico-economici ); e spiega la sua idea di «valore editoriale».
Non è una semplice valutazione, ma un giudizio di valore che va dal piano etico a quello economico. In altre parole, si crede in un libro e si fa di tutto per riuscire a venderlo, perché oggi come ieri «è necessario coniugare cultura e profitto». Tre sono i parametri di un editore con questo profilo, e devono stare in equilibrio: c’è quello appunto culturale, quello etico e quello economico. Se uno prevale si diventa qualcos’altro: «un’accademia, o un gruppo di volontariato, o una finanziaria». Le varie crisi einaudiane sono state appunto crisi di questo equilibrio. Ma «la casa editrice è rimasta com’è, e sottolineo com’è, perché consapevole che dal giudizio di valore dipende la sua vitalità».
A questo punto, la domanda si impone: il direttore dell’Einaudi ha usato almeno due volte il verbo sottolineare. Sempre riferito alla continuità. Ferrari invece insisteva sulla cesura. Sembra una risposta piuttosto diretta. «Niente affatto, penso proprio che sarebbe stato d’accordo con me, con quanto ho detto». Insistiamo. Nessun riferimento alle reazioni polemiche di molti autori della casa editrice? «No, ho parlato solo di argomenti generali». Di editoria di cultura, appunto. Quella che per lei è viva e vegeta, e per Ferrari ha concluso il suo ciclo. E di Giulio Einaudi, che è stato messo, ammettiamolo, parecchio sotto accusa. «Guardi, Einaudi si difende da solo, con la casa editrice che ha creato e che è viva e vegeta».
Sotto l’ombrello Mondadori. proprio sicuro che, come sembra aver pensato Alberto Asor Rosa, un vostro autore di punta, non ci sia addirittura aria di complotto? «Complotto? No». Complotto no, tempesta forse. Almeno un pochino. Non uno tsunami, ma neppure un bicchier d’acqua. In due settimane, da Bologna a Torino, abbiamo registrato due giudizi su Giulio Einaudi perfettamente antitetici, almeno per quanto riguarda il progetto «egemonico», e pur nel riconoscimento della sua genialità intellettuale. Ernesto Franco, però, non aggiunge altro. Su questo argomento è già intervenuto in conferenza: « la coscienza del proprio giudizio di valore che determina la capacità di influenza, per un editore. Vale adesso come valeva nello Struzzo di Giulio Einaudi e di Leone Ginzburg».