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 2009  dicembre 17 Giovedì calendario

DUE SCHEDE SUL FAI

1. FAI, LA FIRMA DEI LIBRI BOMBA CHE PER IL GIUDICE NON ESISTE - MILANO (di Marco Imarisio, Corriere della Sera) - La signora Prodi vide il mittente sulla busta e sorrise. Fi­nalmente era arrivato il video della Cinque Colli, la gara ciclistica per amatori alla quale aveva partecipato il marito Romano. Appoggiò il pac­co sulla scrivania del suo studio e scese in cucina. Mezz’ora dopo, l’al­lora presidente dell’Unione Europea scartò l’involucro e cacciò un urlo. La fiammata gli bruciò il pullover, e poi danneggiò il tappeto sul quale era stato gettato l’ordigno.
Il «Circolo Dozza» che aveva spe­dito a Flavia Prodi il gradito regalo di Natale non era una Polisportiva, ma uno dei tanto falsi indirizzi della Federazione anarchica informale, che in quel 27 dicembre del 2003 de­buttava così ai disonori della crona­ca. Fai, uno sberleffo fin dalla sigla, uguale a quella ufficiale che racco­glie i pacifici sostenitori italiani del­­l’Idea che non vuole morire. La pro­va generale c’era stata pochi giorni prima di Natale, quando nei casso­netti vicino all’abitazione bolognese di Prodi era stata fatta esplodere una bomba carta. Da allora è succes­so altre volte, 19 in totale contando l’attentato alla Bocconi.
Il situazionismo degli attentatori si esprime nella scelta del libro che accompagna il congegno a molla adibito all’esplosione di una mode­sta quantità di polvere pirica. Alla placida famiglia del professore ven­ne spedita una copia de Il Piacere, romanzo erotico di Gabriele d’An­nunzio. A Sergio Cofferati, nel 2005 primo cittadino di Bologna con fa­ma di sceriffo, la videocassetta di un film western recapitata da da una inesistente Finservice con sede a Mi­lano nell’altrettanto fasulla piazza dei Martiri della Libertà 118. Il plico del luglio 2006 destinato a Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, conteneva invece L’idiota di Fedor Dostoevskij.
Alla sigla d’esordio, «Cooperativa artigiana fuoco ed affini», se ne so­no aggiunte parecchie altre, sempre precedute dalla dicitura Fai. Alcune di esse sembrano essere legate ai luoghi dove vengono recapitate le lettere esplosive, altre alla ragione per cui vengono spedite. Nel caso della campagna «dedicata ai compa­gni incarcerati in Spagna» era «Soli­darietà internazionale», per le bom­be che nel marzo 2004 fecero saltare in aria due cassonetti a Genova si trattava invece della «Brigata 20 lu­glio », giorno della morte di Carlo Giuliani. Nell’unico documento di ri­vendicazione vagamente autobio­grafico, viene spiegato il metodo. «I gruppi di azione Fai non sono tenu­ti a conoscersi tra loro, non sussiste la necessità ove altrimenti si rischie­rebbe di offrire il fianco alla repres­sione, al leaderismo e alla burocra­tizzazione. La comunicazione tra gruppi/singoli avviene attraverso le azioni stesse e i canali informatici di movimento, senza necessità di cono­scenza reciproca».
Le sigle sono tante, quel che scar­seggia sono le facce che ci si nascon­dono dietro. L’unica inchiesta sulla Federazione anarchica informale ad aver mai prodotto nomi e cognomi non è andata da nessuna parte. Il 26 maggio 2005 la Procura di Bologna arrestò sette persone accusate degli attentati a Prodi e di aver «promos­so, costituito e organizzato la Coope­rativa artigiana fuoco e affini poi fe­derata nel cartello anarco-insurre­zionale clandestino denominato Fai». Due settimane dopo, il Tribu­nale del Riesame azzerava tutto e con le motivazioni della sua decisio­ne creava un discreto paradosso. «Non è possibile stabilire – scrive­va il giudice ”, nemmeno per via di approssimazione, se ad ogni sigla corrisponda un gruppo operativo di­stinto da quello che agisce sotto le altre sigle, né infine se dietro la stes­sa sigla si celino una o più persone. Non si può che constatare come non è in realtà dato sapere se la struttura Fai, abbia effettivamente preso vita, né chi, eventualmente, si nasconde dietro ad essa». A tutt’og­gi siamo ancora qui. La Fai ha rico­minciato con le bombe, ma forse non esiste.

2. LA GALASSIA DEL FAI TENTA IL GRANDE SALTO (di Paolo Colennello, La Stampa) - Nomi fantasiosi, quasi goliardici, comunicati ironici («Campagna "a Natale con i tuoi a Pasqua dove vogliamo noi"», scrivevano in un comunicato del dicembre 2003) e azioni mirate a danneggiare soprattutto le cose. Con minacce alle persone, avvertimenti lugubri e un’equidistanza quasi esemplare dai governi in carica: che siano di Berlusconi o di Prodi, gli anarchici insurrezionalisti che si ritrovano sotto la singolare bandiera del "Fai", «Federazione Anarchica Informale», affrontano soprattutto temi internazionali oppure di rivolta per l’immigrazione clandestina, come dimostra l’ultima azione rivendicata ieri con la bomba alla Bocconi e il pacco incendiario a Gradisca d’Isonzo.
Riapparsi dopo due anni di silenzio quelli del Fai sono soprattutto cani sciolti che, come ogni vero anarchico, rifiutano logiche di organizzazioni verticistiche. La "Fai" è dunque una sigla sotto la quale si radunano altre sottosigle, ultima delle quali («Sorelle in Armi - nucleo Mauricio Morales»), si è fatta viva ieri a Milano. In un documento intitolato «lettera aperta al movimento anarchico e antiautoritario», del dicembre 2006, sono loro stessi a rivendicare gli attentati messi a segno negli anni: una trentina, suddivisi in «7 campagne rivoluzionarie». Il loro terreno di coltura, par di capire dalle scarne informazioni che filtrano dalle Questure, sono ovviamente i centri sociali più agguerriti sparsi nelle diverse città
E dunque, a partire dal 2002, l’anno ufficiale di nascita, si sono potuti contare gruppi come la "Cooperativa artigiana Fuoco e Affini (occasionalmente spettacolare)", che firmò sia una bomba davanti alla sede della Manpower a Milano nel 2004, sia un attentato nei pressi dell’abitazione di Romano Prodi nel 2003, "Operazione Santa Klaus": due bombe esplose a meno di 80 metri dall’abitazione dell’allora Presidente dell’Unione Europea, nascoste in una coppia di cassonetti. Oppure la ligure "Brigata 20 Luglio", nata in onore dell’uccisione di Carlo Giuliani durante gli scontri di Genova del 2001. E ancora "Cellule contro il Capitale, il carcere, i suoi carcerieri e le sue celle" e infine "Solidarietà internazionale".
Le bombe arrivano un po’ ovunque: da Eurojust, la struttura di collegamento europeo della giustizia a Strasburgo, fino alle caserme dei carabinieri di Pra e Voltri a Genova. Molto preoccupati di subire infiltrazioni, gli anarco-insurrezionalisti del Fai agiscono divisi in cellule poco permeabili che, a dir loro, formerebbero un piccolo esercito di almeno un migliaio di gruppi.
Quello che ha rivendicato l’azione di ieri a Milano non è escluso sia formato prevalentemente da donne. Curioso l’incipit del comunicato, una poesia "rivoluzionaria" del 2004: «Con una mano tenera e l’altra armata/Così esprimo la mia solidarietà/Guadagnando in ogni mia battaglia/Una somma di preziosa libertà». Romantici rivoluzionari? Mica tanto a sentire certi toni in cui si parla apertamente di "terrore". Sebbene nel documento fondativo si scriva chiaramente che «chi fa parte della Federazione Anarchica Informale ne è militante a tutti gli effetti solo nel momento specifico dell’azione e della sua preparazione, non investe l’intera vita e progettualità dei compagni, ciò permette di mettere definitivamente in soffitta ogni specialismo lottarmatista. Una volta radicati il potere troverà enormi difficoltà a distruggerci». Insomma, non alla lotta armata di professione, si a qualche "colpetto di terrore". Facilmente, prima o poi, qualche telecamera sparsa per le città li fregherà. Hanno scritto ieri gli anarco-insurrezionalisti: «Non coltiviamo eroismi, con questa nostra prima azione condividiamo semplicemente i rischi che sorelle e fratelli migranti vivono quotidianamente sulla loro pelle. Che la paura cambi di segno, siano i ricchi e potenti a tremare, noi a ballare».