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 2009  dicembre 17 Giovedì calendario

D’ALEMA: PREMIER E DI PIETRO DUE POPULISMI SPECULARI

Onorevole D’Alema, in Parla­mento ci si azzuffa un giorno sì e un giorno no, tanto per dare il buon esempio alle piazze.
«Non si tratta del venir meno del ’bon ton’, abbiamo un problema serio: l’elemento del populismo è diventato un dato strutturale del si­stema politico italiano in questi ul­timi quindici anni per cui il Parla­mento ha cessato di svolgere la sua funzione di luogo della mediazione ed è diventato puro luogo di rap­presentazione teatrale dello scon­tro. In Parlamento non si discute più nulla, vi è solo un susseguirsi di votazioni di parata, come la fidu­cia. Perciò è stata cancellata quella dialettica tra maggioranza e opposi­zione che portava all’assunzione di una comune responsabilità. E que­sto è il frutto di uno svuotamento del sistema democratico».
I conflitti potrebbero inasprirsi ulteriormente?
«Potrebbe esserci un’escalation. Il prevalere del populismo riduce gli spazi della politica, cancella l’idea che i conflitti vengono regola­ti perché c’è un bene comune che comunque non può esser distrut­to. Sono stati i partiti, il Parlamen­to, insomma la politica, ad aver consentito nel dopoguerra a que­sto Paese di governare scontri di na­tura ideologica e sociale ben più ra­dicali di quelli di oggi. Allora c’era una classe dirigente che incanalava dentro le istituzioni i conflitti, che così venivano governati. Se ne ridu­ceva in questo modo la pericolosi­tà. L’eccesso di personalizzazione della politica ha invece portato alla distruzione dei partiti e allo svuota­mento del Parlamento, che è ormai ridotto ad uno stadio: c’è la curva nord, c’è la curva sud, manca qual­siasi dialettica governo-Parlamen­to. Fini a mio parere giustamente ri­vendica questo meccanismo ele­mentare e difende le istituzioni».
Secondo lei Berlusconi è re­sponsabile di questo clima?
«Berlusconi è sicuramente un elemento di questo processo. Di quello che Piero Ignazi chiama, con un termine efficace, il ’forzaleghi­smo’. In Italia c’è ormai una frattu­ra tra politica e antipolitica che at­traversa gli schieramenti. Da que­sto punto di vista, ci sono delle si­militudini tra il populismo di Berlu­sconi e quello di Di Pietro: sono speculari e si alimentano a vicen­da, nel senso che Di Pietro è l’oppo­sizione ideale per Berlusconi. Mi ri­cordo che nel 2002 partecipai ad un’assemblea di studenti a Firenze, dove spiegai che parlare di regime era sbagliato, affrontando anche le dure critiche di quella platea. Non ho mai visto Berlusconi affrontare i suoi elettori per dire loro che la si­nistra, nel nostro Paese, è democra­tica. Queste considerazioni politi­che non possono assolutamente giustificare una violenza barbara e insensata che colpisce non solo la persona di Berlusconi, ma l’istitu­zione Presidente del Consiglio che lui rappresenta. Abbiamo espresso la nostra solidarietà e Bersani ha fatto benissimo ad andare a trovar­lo. Ci sono gesti che contano più di mille discorsi. Bisogna fermare la spirale dei due populismi che si ali­mentano a vicenda. Bisogna avere il coraggio di dire che le riforme istituzionali comportano una co­mune assunzione di respon­sabilità, senza temere l’accusa di voler fare inciuci. E respingo l’idea che il maggioritario debba essere una rissa. In questo senso il discorso di Cicchitto, con quell’in­credibile elenco di ’colpevoli’, aveva elementi di autentica irre­sponsabilità » .
E qual è, secondo lei, onorevole D’Alema il modo in cui si può usci­re da questa situazione?
«L’unico modo di uscirne è quel­lo di ripartire dal rispetto per le isti­tuzioni e dalla necessità di correg­gere le distorsioni, come questa sorta di presidenzialismo di fatto a cui siamo giunti. Sul piano istitu­zionale il governo non ha mai avu­to tanta forza. Il paradosso è che questo meccanismo non produce decisioni efficaci né riforme signifi­cative. Ci avevano raccontato che tolti di mezzo i partiti e la mediazio­ne politica avremmo avuto final­mente una democrazia governan­te. Non era vero. Altro che aggiusta­menti tecnici, qui c’è bisogno di ri­fondare il sistema politico e questo è l’unico spazio in cui il Pd può agire, tra gli opposti po­pulismi. Non è facile, però Bersani lo sta facendo bene. Certo, per disegnare quest’al­tra idea di opposizione ci vor­rà tempo ma è l’unico cammino che possiamo intraprendere, in­terloquendo con quelle componen­ti riformiste presenti anche nel cen­trodestra. Spero che anche Berlu­sconi cominci a rendersi conto di tutto ciò. Ma non c’è solo lui da quella parte. C’è Fini, che appare consapevole dei rischi che ho de­scritto, non perché sia diventato di sinistra, ma perché è un uomo poli­tico e ha senso dello Stato. Questo può avvicinare persone che hanno opinioni politiche tra loro diverse. In questi giorni non c’è stata solo violenta strumentalizzazione, ab­biamo ascoltato anche considera­zioni molto ragionevoli, come quel­le, ad esempio, di Gianni Letta».
Certe prese di posizione di Di Pietro non le piacciono, ma che cosa pensa delle dichiarazioni di Bindi su Berlusconi, dopo l’ag­gressione?
«Bersani ha detto cose sagge e giuste. A lui gli iscritti e gli elettori hanno assegnato il compito di rap­presentarci. Ad altri consiglierei maggiore prudenza».
Fu lei il primo a rimettere in gioco Di Pietro candidandolo al Mugello.
«Di Pietro era in gioco. Ritenni, e non da solo, che il posto per un pro­tagonista della politica fosse il Par­lamento ».
Lei parla di riforme ma per Ber­lusconi è preliminare la riforma della giustizia.
«La riforma della giustizia, per renderla migliore per tutti i cittadi­ni, ci interessa e abbiamo le nostre proposte. Viceversa, quelle per fer­mare i processi a Berlusconi non so­no riforme e non si può certo pre­tendere che l’opposizione le faccia proprie. Se per evitare il suo proces­so devono liberare centinaia di im­putati di gravi reati, è quasi meglio che facciano una leggina ad perso­nam per limitare il danno all’ordi­namento e alla sicurezza dei cittadi­ni. Ma una vera emergenza demo­cratica è sicuramente quella della ri­forma del Parlamento, a cui occor­re restituire autorità e centralità, ri­ducendo il numero dei parlamenta­ri e superando il bicameralismo perfetto in senso federalista. Ci vuo­le una legge elettorale che restitui­sca ai cittadini il potere di scegliere i propri rappresentanti. Ripartiamo dalle proposte della Commissione Violante, che indicano la via per un governo forte in un quadro di pote­ri democratici e non di un populi­smo plebiscitario».