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 2009  dicembre 17 Giovedì calendario

DIRITTI


La scrittrice cinese Mian Mian, tradotta in più di 30 paesi, che da sola ha fatto causa a Google, colpevole di aver pubblicato online alcuni stralci del­le sue opere. Ha presentato la sua querela presso la Cor­te del popolo di Haidian, il distretto di Pe­chino delle università e delle società di in­formatica. L’udienza è fissata per il 29 dicem­bre. L’autrice ac­cusa Google di «aver violato i miei diritti d’autore» e annuncia di voler chiedere «perché hanno rispetto solo nei confronti di famose case editrici statunitensi». Il suo avvocato ha chiesto un risarcimento di quasi 9.000 dollari per danni patrimoniali e mentali, e il suo esem­pio potrebbe «incoraggiare molti» a se­guirla. La sua iniziativa fa seguito a quella intrapresa dalla Società per i diritti d’autore per le ope­re scritte (Cwwcs), che avevano annunciato un’offensiva contro Google, rea di avere messo on line migliaia di libri cinesi.

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Articolo originale:

Gli scrittori cinesi contro Google -

«Io non sono come gli al­tri». Mian Mian ha le idee chiare e una cer­ta consapevolezza di sé. Scrive, vende, si fa leggere. Ha portato i suoi libri in giro per il mondo. Se la Cina ormai parla a chi prova ad ascoltarla è anche grazie ai romanzi di Mian Mian. E poiché non è «come gli altri scrittori», Mian Mian ha reagito a modo suo alla pubblicazione on line di stralci del­le sue opere da parte di Google: ha fatto causa. Da sola, non aggregandosi al mani­polo di autori che già a ottobre erano insor­ti contro la «scannerizzazione selvaggia» da parte del motore di ricerca. Mian Mian ha presentato la sua querela presso la Cor­te del popolo di Haidian, il distretto di Pe­chino delle università e delle società di in­formatica. Non manca molto al primo con­fronto, l’udienza è fissata per il 29 dicem­bre.

Non ancora quarantenne, volumi tradot­ti ovunque, Italia compresa, Mian Mian ac­cusa Google di «aver violato i miei diritti d’autore» e annuncia di voler chiedere «perché hanno rispetto solo nei confronti di famose case editrici statunitensi». La sua iniziativa fa seguito a quella intrapresa dalla Società per i diritti d’autore per le ope­re scritte (Cwwcs), che – con grande riso­nanza sui media – avevano annunciato un’offensiva contro Google, rea di avere messo on line migliaia di libri cinesi. Suc­cessivamente Google aveva cercato di rime­diare, offrendo un indennizzo di una ses­santina di dollari a opera. Nel caso di Mian Mian, il «China Daily» riportava ieri che Go­ogle China aveva cancellato dal web il suo Acid Lover un mese fa. Invano. Perché la scrittrice sostiene comunque che «si tratta di un modo brutale di introdurre il mio la­voro letterario» e che «i passaggi incoeren­ti visti on line rovinano la mia storia».

Mian Mian non va oltre, non mostra di interessarsi alle interazioni (anche perver­se) fra scrittura e Rete, demone che bracca gli scrittori a ogni latitudine. Ribadisce dal­le colonne del «Beijing News»: «Io non so­no come gli altri perché i miei lavori sono pubblicati in oltre 30 Paesi». La sua azione legale può segnare un punto di svolta, per­ché – dice Zhang Hongbo, numero due della Cwwcs – «se dovesse vincere la cau­sa, la nostra trattativa con Google se ne av­vantaggerebbe ». Ci sono di mezzo soldi, perché l’avvocato di Mian Mian ha deposi­tato una richiesta di risarcimento da quasi 9 mila dollari «per i danni patrimoniali e mentali» patiti dalla cliente, e il suo esem­pio potrebbe «incoraggiare molti» a se­guirla. Tuttavia, nelle dichiarazioni di que­sti giorni la scrittrice avverte che «i soldi non mi importano, mi muove uno spirito ludico. Anche se la cosa andrà per le lun­ghe non conta nulla, tanto ci pensa l’avvo­cato».

Non tutti condividono l’allarme di Mian Mian per il copyright minacciato da un mo­tore di ricerca. Han Han, scrittore non me­no controverso di Mian Mian, fa notare «che, comunque, i nostri diritti non sono tutelati neppure in Cina», riferendosi alla pratica di mettere on line intere opere lette­rarie.

Benché Mian Mian non compaia nella li­sta dei 25 scrittori cinesi più ricchi dell’an­no, compilata dallo specialista Wu Huai­yao, è una presenza che dagli esordi degli anni Novanta agita il mondo letterario ci­nese. Per i temi, ovvero sesso, disagio, dro­ga, irrequietezza, e così via. E per la fronta­le franchezza delle sue prese di posizione, come quella che nel 2000 la oppose a un’al­tra giovane autrice, di Shanghai come lei, spregiudicata come lei, spesso censurata come lei: Zhou Weihui. Mian Mian rinfac­ciò a Zhou Weihui di aver attinto, per il suo Shanghai baby (1999), a La la la (1997): plagio, non ispirazione. Lo scontro trascese i confini della letteratura e della geografia stessa, e suscitò le attenzioni e, subito, il preoccupato disgusto dell’allora leader della Cina, Jiang Zemin. Eppure i suoi libri non piacciono neppure a chi sta dall’altra parte, come il critico letterario Liu Xiaobo, ora in carcere da un anno, in attesa di essere rinviato a giudizio per aver stilato il documento pro-democratico «Charta 08». Ebbene, Liu parlò di «desola­zione senza vergogna» a proposito di Mian Mian.

La causa contro Google fornisce alla scrittrice un palcoscenico in più, prepara­to dal paradosso che sia la Cina il Paese dei plagi e degli scopiazzamenti. In realtà, la dialettica fra Google e gli scrittori ha un’al­tra possibile chiave di lettura, che parte dalla disputa permanente fra Cina e Usa sul protezionismo. Sferzare Google, eserci­tare pressione, può rientrare in questa di­namica. Mian Mian si accontenta di ripete­re che lei non va dietro a nessuno e che non ha relazioni con gli altri scrittori. Una battaglia solitaria, a Mian Mian piace così. Ecco, sembra quasi che Google sconti la colpa di essere troppo affollata: sulla Rete non si è mai soli, e può non piacere troppo a chi ripete a se stessa il mantra della pro­pria diversità.