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 2009  dicembre 15 Martedì calendario

Biografia di don Bosco

Don Bosco, «statista» del Risorgimento - L’obiettivo che don Bosco si pose fin dal 1846 era preci­so: «Adoperarsi per fare buoni cittadini in questa terra, per­ché fossero poi un giorno degni a­bitatori del cielo». Egli non rinnegò mai la sua scelta anche quando il «buon cittadino» del Regno di Sar­degna divenne quello di un Regno d’Italia ostile alla Chiesa: «Mentre mi professo sacerdote cattolico ed affezionato al Capo della Cattolica Religione, mi sono pur sempre mo­strato affezionatissimo al Governo, per i sudditi del quale ho sempre dedicate le deboli mie sostanze e le forze e la vita». Inoltre la sua tran­quillizzante strategia pastorale – «a­more al lavoro, frequenza dei Sacra­menti, rispetto ad ogni autorità e fuga dai cattivi compagni» – non poteva certo essere ostacolata da amministrazioni cittadine e appa­rati statali, preoccupati com’erano dall’ordine sociale dell’epoca. Su­perate le turbolenze politico-reli­giose del biennio 1848-1849 con il rifiuto di aggregarsi a qualunque schieramento politico e con il deci­so schierarsi in difesa della religio­ne, don Bosco riprese la sua politica assistenziale ed educativa, sempre appoggiata dai vertici dello Stato come «opera benemerita della religione e della società», proprio men­tre andavano approvando contesta­tissime leggi che avviavano il Paese alla modernizzazione laica dello Stato e alla sua divaricazione dalla Chiesa. Negli anni Cinquanta, non schierandosi decisamente a favore delle innovazioni politiche ma nep­pure opponendosi direttamente e pubblicamente – anzi tentando congiuntamente con i fratelli Ca­vour di risolvere il caso dell’arcive­scovo di Torino – il sacerdote evitò eccessive molestie e continuò ad essere in buoni rapporti con nume­rosi funzionari statali e ministri, che rispondevano ai suoi appelli di sussidi e indumenti e soprattutto gli affidavano orfani. I buoni rap­porti si incrinarono ai primi passi dell’Unità d’Italia. Nel maggio-giu­gno 1860 – sei mesi dopo la fonda­zione della Società salesiana – don Bosco subì una durissima perquisi­zione poliziesca per sospette relazioni politiche con la Santa Sede e una severa ispezione scolastica per presunte inadempienze alle nuova legislazione scolastica. Vigorosa­mente protestò con i rispettivi ministri, superò brillantemente la crisi e riprese con sem­pre crescente credito la sua attività di educatore, di responsabile di scuole e di laboratori, di pub­blicista, di costruttore di chiese; allargò an­zi il suo raggio di a­zione fuori Torino con l’accettazione di nuovi collegi. Nessuno – in quel decennio che vide acutiz­zarsi per la co­scienza cristia­na la «questio­ne romana» – i­gnorava la fe­deltà di don Bosco alla linea politica della Santa Sede; i politici non era­no d’accordo con lui quando affermava la ne­cessità, peraltro non assoluta, del­lo Stato pontificio per l’indipendenza del pontefice; intui­vano che i connotati dell’«onesto cittadino» che don Bosco pubbli­camente dichiarava di formare non erano gli stessi del «buon cittadino» del «loro» Regno d’Italia. Ma nonostante tali sue tendenze più conservatrici che democrati­che, più paternalistiche che eguali­tarie, più clericali che laiche, forse proprio per esse fu coinvolto e si fe­ce promotore nel decennio 1865­-1875 di vari tentativi di politica ecclesiastica in vista di una soluzione dei due problemi che turbavano la vita politica e le coscienze religiose dei cittadini: la nomina dei vescovi alle sedi che ne erano prive per motivi politici e il conseguimento da parte loro delle cosiddette «tempo­ralità». In tale opera di privatissime mediazioni don Bosco ebbe modo di farsi apprezzare dai vari Cavour, Rattazzi, Ricasoli, Menabrea, Lan­za, Vigliani, Minghetti, Cambray Di­gny... Alla cattolicissima moglie di quest’ultimo osò chiedere di infor­marsi circa la possibilità che il go­verno italiano potesse essere rap­presentato al Concilio Vaticano! Di anni di volenterose trattative, solo parzialmente riuscite, restò lo sfor­zo generoso di don Bosco che – su e giù per Torino, Firenze e Roma – in nome del supremo principio «lex suprema, salus animarum», si era prestato per conciliare realistica­mente le competenze e le respon­sabilità di entrambe le parti in cau­sa. Nei secondi anni Settanta, di­menticati i sogni di restaurazione del Regno pontificio, cessata l’atte­sa di castighi divini sui «nemici della Chiesa» e con la sinistra storica al potere, più laicista e anticlericale della destra, in buona parte costituita da massoni, don Bosco non ebbe più occasio­ne di intervenire in ambito di politica ec­clesiastica, ma non rinunciò ad avere contatti. Nel 1878 ricevette personal­mente dal mini­stro Crispi l’assicurazione che il governo avrebbe lasciato piena li­bertà alla Chiesa di procedere al conclave. Con lo stesso statista si­ciliano discusse di metodi educa­tivi, di carceri mi­norili e gli inviò un promemoria i­spirato ai principi del suo noto siste­ma preventivo, ma adottabile da istitu­zioni educative lai­che. Operava sempre allo stesso fine: «Ten­dere a giovare al buon costume e diminuire il numero dei discoli, che abbandonati a se stessi cor­rono grande pericolo di an­dare a popolare le prigioni. I­struire costoro, avviarli al lavoro, provvederne i mezzi, e dove sia ne­cessità, anche ricoverarli, nulla ri­sparmiare per impedirne la rovina, anzi farne buoni cristiani ed onesti cittadini, queste opere, dico, non possono non essere rispettate, anzi desiderate da qualsiasi governo, da qualsiasi politica». Nel 1900 il cele­bre criminologo Cesare Lombroso gli avrebbe dato ragione: «Gli istitu­ti salesiani rappresentano uno sfor­zo colossale e genialmente organiz­zato per prevenire il delitto, l’unico anzi che si sia fatto in Italia».