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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

CARRIERE SEPARATE? L’ESEMPIO DEL PM NEL PROCESSO STASI


Le cronache relative al processo per l’omicidio di Garlasco offrono lo spunto per alcune riflessioni sull’evoluzione che sta avendo la figura del PM e sulle possibili direzioni da intraprendere in un’ottica di riforma. Chiara Poggi e’ stata assassinata la mattina del 13 agosto 2007. Il fidanzato, Alberto Stasi, subito etichettato come il ”biondino dagli occhi di ghiaccio”, è dipinto lombrosianamente come il probabile assassino. I media alimentano la pressione dell’opinione pubblica per l’individuazione di un colpevole purchessia. All’indomani di una puntata di Porta a Porta Stasi viene ”arrestato”, ma il Gip non convalida il provvedimento e lo libera. La Procura prosegue nelle indagini – informando costantemente i media – e l’indagato viene tratto a giudizio. All’udienza preliminare, Stasi opta per il giudizio abbreviato e il Gip, dopo numerose udienze, ritenendo di non poter decidere allo stato degli atti di indagine, dispone l’effettuazione di alcune perizie. Perizie che confermano l’alibi dell’imputato: ”all’ora del delitto ero a casa a scrivere la tesi di laurea al computer”. Il processo è alle battute finali, le parti hanno discusso ed il Giudice, domani, dovrebbe ritirarsi per decidere sulla richiesta di condanna a 30 anni di reclusione. Stupore ha destato l’atteggiamento del PM che, per superare l’impasse determinato dalla conferma dell’alibi, ha radicalmente mutato la ricostruzione del fatto, spostando l’orario del delitto, sino a quel momento indicato in base alle prove come compiuto tra la 11 e le 11.30, tra le 12.40 e le 13.30. Cosa ha indotto un simile stravolgimento? Non conoscendo gli atti del processo è impossibile dare una risposta certa, tuttavia – secondo le ricostruzioni di stampa – non pare che alcun elemento nuovo, di natura medico-legale, supporti tale rèvirement. L’impressione che se ne trae è che, a fronte di prove che smentiscono la tesi dell’accusa, il PM abbia tentato di plasmare il fatto alle proprie convinzioni sulla colpevolezza di Stasi, modificando la precedente lettura degli elementi probatori acquisiti. Tale operazione, forse poco efficace, è giuridicamente legittima e pienamente in linea con un processo di parti di stampo accusatorio: il PM propone una tesi, la difesa la contrasta, il Giudice interpreta le prove per verificare se l’accusa risulti fondata. In quest’ottica, il PM non ha alcun obbligo di imparzialità e può suggerire qualsiasi lettura delle prove, anche la più distante dalla realtà. Sarà il Giudice a valutare se il mutamento nella ricostruzione di un dato tanto essenziale sia frutto di un accanimento nella difesa della tesi accusatoria, ovvero una corretta lettura delle risultanze processuali. Il PM, quindi, in tale fase, appare come il riflesso del difensore: l’avvocato dell’accusa. Ne discende un interrogativo: perché mai un PM di tal fatta deve essere inquadrato nel medesimo ordine del Giudice? Quale cultura della giurisdizione, differente da quella del difensore, si può pretendere da un soggetto processuale che non ha alcun obbligo di verità rispetto al materiale probatorio acquisito? La separazione delle carriere non dà PM migliori, ma protegge il Giudice dalle scorie della cultura inquisitoria.