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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

NON ABBIAMO SCELTA SERVE UN ACCORDO SUBITO" - COPENAGHEN

Centinaia di audizioni-testimonianza, sul modello del processo di autocoscienza collettiva che contribuì a superare l´apartheid in Sudafrica, ma applicata alle drammatiche esperienze - di siccità, inondazioni, carestie - del riscaldamento globale. L´Oxfam, l´organizzazione umanitaria internazionale, ne ha organizzate a decine, in 36 paesi, con la partecipazione di centinaia di migliaia di persone. Ieri, a Copenaghen, ne ha presentate alcune, fra le più significative. Desmond Tutu, protagonista della transizione sudafricana e oggi uno dei portavoce più di spicco del suo continente, che è stato presente a molte delle audizioni in giro per il mondo, ne ha ricavato un insegnamento: «Il cambiamento climatico è un problema morale e ci siamo dentro tutti insieme». «Bisogna ascoltare - dice Tutu - le persone che sono al fronte del riscaldamento globale. Si chiamano audizioni perché noi le ascoltiamo. Per queste persone il futuro è fonte di paura e di incertezza. Per loro, l´effetto serra segna la differenza fra sopravvivenza e rovina». Ognuno, del resto, ha le sue esperienze da raccontare. «La mia - dice l´ex vescovo di Città del Capo - riguarda il Southern Cape. C´è la peggiore siccità che sia mai stata registrata. Semplicemente, non c´è abbastanza da mangiare. Questi non sono eventi casuali. E´ un disastro già in corso». Tutu ne ha parlato, in un angolo del Bella Center che ospita la conferenza mondiale sul clima, con un gruppo di giornalisti internazionali.
In questo «disastro in corso», come lo definisce, ci sono responsabilità diverse. Quale deve essere la linea guida di una soluzione?
«I paesi che hanno inquinato, che hanno emesso più anidride carbonica, devono pagare di più. Altrimenti, i paesi che hanno inquinato di meno si troveranno a pagare il conto più alto di tutti».
Quindi, c´è una linea che divide chi porta le maggiori responsabilità e chi rischia di subire le maggiori conseguenze?
«Un momento. C´è una parola africana: ubuhuntu. Vuol dire «persona con altre persone». Va benissimo qui. Siamo tutti interconnessi, siamo tutti insieme. Se cade uno, cadono tutti».
C´è un ingrediente segreto, una leva che può far concludere positivamente i negoziati?
«Sì. L´ingrediente, la leva, il punto chiave è come gli stessi leader percepiranno un fallimento. Se, cioè, lo sentiranno come un passivo politico, una responsabilità politica negativa. Perché i politici vogliono essere rieletti. Ecco perché è importante far sentire la propria voce. E puntare ad un risultato ambizioso, che è possibile. Guardate come gli stessi leader sono stati veloci, quando si è trattato di salvare le banche. E quanti soldi hanno tirato fuori in un baleno. Miliardi di dollari, non so più nemmeno quanti».
Lei parla di risultato ambizioso. Ma, proprio grazie all´esperienza della fine dell´apartheid in Sudafrica, sa che cosa sia un processo realistico. Ora, non trova irrealistico che molti paesi, a cominciare da quelli africani, vengano a Copenhagen a sollecitare una riduzione delle emissioni che mantenga l´aumento delle temperature a 1,5 gradi, cioè assai più drastica dell´obiettivo 2 gradi che, prima della conferenza, era stato individuato come un traguardo, e anche ambizioso?
«La questione è che siamo arrivati al punto in cui non abbiamo più opzioni. Noi pensiamo di averne - un grado più, un grado meno - ma non è così. Comunque, noi non vogliamo fare i profeti di sventura, quelli che vogliono solo spaventare. Anche tenendo conto di testimonianze, come quelle che abbiamo sentito oggi, vogliamo fare appello alla bontà che c´è negli uomini. Anche se, talvolta, nascosta molto in fondo».
Quindi ci sarà un accordo?
«Lei vuole che predichi il miracolo? Le dico che io ho fiducia che ci sarà un esito realistico. Irrealistico sarebbe arrivare fin qui e trovarsi senza una linea guida. Vorrebbe dire miseria e disastri dappertutto. Irrealistico sarebbe trovarsi senza un trattato che segni vincoli precisi»