Massimo Mucchetti, Corriere della Sera, 16/12/2009, 16 dicembre 2009
Profumo: la lezione della crisi? Ricominciare dal territorio - «Tassi ancora bassi. Nuove regole sì, ma senza fretta» - Un anno fa, Unicredit era il bersaglio della speculazione
Profumo: la lezione della crisi? Ricominciare dal territorio - «Tassi ancora bassi. Nuove regole sì, ma senza fretta» - Un anno fa, Unicredit era il bersaglio della speculazione. Adesso l’emergenza sembra lontana. E la prima banca italiana ricava le sue lezioni dalla crisi. Ieri il consiglio di amministrazione ha avviato la riforma del gruppo. Dopo l’Epifania, deciderà il prezzo dell’emissione azionaria da 4 miliardi grazie alla quale ha evitato i Tremonti bond. E il suo amministratore delegato, Alessandro Profumo, interviene sul futuro del sistema bancario. Dottor Profumo, la crisi ha messo alla frusta il gruppo bancario diviso per società specializzate e centralizzate. State facendo marcia indietro? «Direi piuttosto che evolviamo. Unicredit capitalizza le professionalità generate dalla specializzazione, ma aumenta l’attenzione verso famiglie, piccole e medie imprese e territorio. Abbiamo iniziato un cammino. Ottenute le autorizzazioni, il nuovo modello sarà approvato nella seduta del 16 marzo assieme al bilancio. La capogruppo assorbirà le banche retail, corporate e private più Banca di Roma e Banca di Sicilia, entro il 31 ottobre. Continuerà a fare da holding delle banche estere, ma sarà operativa in Italia». Addio specializzazioni? «Le ridefiniamo: famiglie e microimprese fino a 3 milioni di fatturato, piccole imprese fino a 50 milioni, le imprese più grandi e le gestioni dei patrimoni. Ma in un rapporto unitario con le diverse zone del Paese, assicurato da oltre 120 direttori commerciali dotati di ampie deleghe. Questi interloquiranno con i presidenti di 7 macroaree che legheranno meglio con gli stakeholder e riporteranno al centro il cliente». Il credito è un diritto o un contratto ? «E’ un contratto. Diversamente non avremmo dovuto criticare i subprime». Ma le imprese ne hanno bisogno, altrimenti non arrivano alla ripresa. «Nei primi 11 mesi abbiamo dato nuovi fidi a breve per 11 miliardi e nuovi prestiti a medio-lungo termine per 7,5 miliardi». Eppure le prime 5 grandi banche hanno ridotto del 3,5% gli impieghi nei primi 6 mesi, mentre le piccole li hanno aumentati. «I grandi gruppi sono rientrati emettendo obbligazioni. Unicredit ha ridotto alcuni affidamenti a multinazionali estere che hanno sede fuori dal nostro perimetro. Non ha fatto mancare la fiducia ai clienti meritevoli». Oggi il denaro costa di più o di meno? «Meno: i tassi sono scesi. Ma per la banca il margine è leggermente aumentato perché prezza meglio il rischio». I tassi sono artificialmente bassi... «Spero che il rialzo segua una ripresa vera, ma temo non sia a breve». Lei si chiese se fosse una buona idea il gigantismo, ma non si diede la risposta… «Si è grandi o piccoli in relazione ad altri. Rispetto alle banche cinesi o americane, Unicredit non è certo grande». Ha investito troppo nell’Est Europa? «Metà dei profitti di Unicredit viene dalle attività estere, a cominciare dalla Polonia. Aver diversificato si sta rivelando una scelta pagante e un preciso elemento identitario». E’ pentito di aver preso Capitalia? Quanto vi è costato risanarla? «Il costo è stato rilevante, ma Capitalia ci ha dato la scala per ottenere riduzioni di costi in un contesto in cui i ricavi del sistema non sono destinati ad aumentare molto». Neanche un anno fa avete ottenuto, non senza fatica, 3 miliardi attraverso le obbligazioni cashes. Adesso, emettete azioni per 4 miliardi. Basteranno? «Direi di sì. A regime avremo un core Tier 1 dell’8,39%. Che è abbondante». Il suo collega di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, esorta il regolatore a non irrigidire i requisiti patrimoniali durante le crisi e a far mettere fieno in cascina negli anni buoni. E’ d’accordo? «Passera ha posto una questione reale: come rendere anticiclica la regolazione. I problemi da risolvere sono tre: a) oggi si rileva la rischiosità di un credito ogni tre mesi; in tempi di recessione, il credito diventa più rischioso e perciò assorbe più capitale di vigilanza con il risultato di ridurre le capacità erogative della banca; b) la banca può contabilizzare solo le perdite effettivamente maturate; c) ogni Paese richiede alle banche requisiti patrimoniali di fatto diversi». Soluzioni? «Considerare la storia del creditore per smorzare le punte del ciclo così da non dar troppo credito nei periodi di boom e troppo poco in quelli di crisi. Modificare i principi contabili così da poter far accantonamenti anche sulle perdite stimate, come fanno gli spagnoli. Omogeneizzare i requisiti almeno su scala europea: una banca inglese può avere un capitale di vigilanza formato da una sterlina di capitale di base e una di ibridi; una banca tedesca può avere due euro di capitale di base e uno di ibridi; l’italiana un euro contro 20 centesimi. Livelliamo il terreno di gioco». Due anni che si parla di regole più stringenti e non si è ancora visto nulla. «I tempi per rafforzare i capitali vanno scelti con cura per non buttare via il bambino della ripresa con l’acqua sporca. Il comitato di Basilea (formato dalle più importanti banche centrali, ndr ) darà a brevissimo termine il progetto del nuovo quadro regolatorio; nel corso del 2010 farà analisi e simulazioni per verificarne l’impatto sull’economia e verso la fine dell’anno lo varerà». Campa cavallo. «Forse non si è ancora capito quale uragano ha investito il mondo. Il comitato di Basilea si muove in modo responsabile». L’ex presidente della Fed, Paul Volcker, ripropone il Glass Steagall Act: separare il credito commerciale dalla finanza. «Se alle banche prevalentemente commerciali come noi si impedisse l’investment banking, questo diventerebbe iperconcentrato e sarebbe un gran regalo a Wall Street» Torna l’idea di una Tobin Tax. «Tassare in modo indiscriminato non è utile perché il maggior costo si trasferisce sul cliente». Alla fine avremo ancora ritorni sul capitale del 20% come ai bei tempi? «No. L’obiettivo sarà un certo premio sul costo del capitale, che oggi è attorno al 10%». Tornerete al dividendo? «Deciderà il consiglio a tempo debito. Il nostro compito resta quello di creare valore per i soci sostenibile nel tempo. Se chiedo loro dei soldi, li devo remunerare». In origine si attribuiva a lei l’idea che le fondazioni dovessero uscire dalle banche. «Mai detto. In Unicredit le fondazioni sono state azioniste positive: hanno dato stabilità, raccordo con il territorio, non hanno portato la politica in banca e, quando è stato necessario, hanno messo mano al portafoglio; d’altra parte, hanno anche ricevuto rilevanti dividendi e elevate rivalutazioni dei loro pacchetti che in buona parte hanno realizzato». Sono partite le grandi manovre per il rinnovo del vertice di Generali. «Unicredit ha il diritto di voto congelato dall’Antitrust ». Ma Unicredit è il primo socio di Mediobanca che è il primo socio di Generali. «Dico solo che la nostra partecipazione in Mediobanca è strategica».