Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

Profumo: la lezione della crisi? Ricominciare dal territorio - «Tassi ancora bassi. Nuove regole sì, ma senza fretta» - Un anno fa, Unicredit era il bersaglio della spe­culazione

Profumo: la lezione della crisi? Ricominciare dal territorio - «Tassi ancora bassi. Nuove regole sì, ma senza fretta» - Un anno fa, Unicredit era il bersaglio della spe­culazione. Adesso l’emergenza sembra lontana. E la prima banca italiana ricava le sue lezioni dalla crisi. Ieri il consiglio di amministrazione ha avvia­to la riforma del gruppo. Dopo l’Epifania, deciderà il prezzo dell’emissione azionaria da 4 miliardi gra­zie alla quale ha evitato i Tremonti bond. E il suo amministratore delegato, Alessandro Profumo, in­terviene sul futuro del sistema bancario. Dottor Profumo, la crisi ha messo alla frusta il gruppo bancario diviso per società specializzate e centralizzate. State facendo marcia indietro? «Direi piuttosto che evolviamo. Unicredit capita­lizza le professionalità generate dalla specializza­zione, ma aumenta l’attenzione verso famiglie, pic­cole e medie imprese e territorio. Abbiamo inizia­to un cammino. Ottenute le autorizzazioni, il nuo­vo modello sarà approvato nella seduta del 16 mar­zo assieme al bilancio. La capogruppo assorbirà le banche retail, corporate e private più Banca di Ro­ma e Banca di Sicilia, entro il 31 ottobre. Continue­rà a fare da holding delle banche estere, ma sarà operativa in Italia». Addio specializzazioni? «Le ridefiniamo: famiglie e microimprese fino a 3 milioni di fatturato, piccole imprese fino a 50 mi­lioni, le imprese più grandi e le gestioni dei patri­moni. Ma in un rapporto unitario con le diverse zone del Paese, assicurato da oltre 120 direttori commerciali dotati di ampie deleghe. Questi inter­loquiranno con i presidenti di 7 macroaree che le­gheranno meglio con gli stakeholder e riporteran­no al centro il cliente». Il credito è un diritto o un contratto ? «E’ un contratto. Diversamente non avremmo dovuto criticare i subprime». Ma le imprese ne hanno bisogno, altrimenti non arrivano alla ripresa. «Nei primi 11 mesi abbiamo dato nuovi fidi a breve per 11 miliardi e nuovi prestiti a medio-lun­go termine per 7,5 miliardi». Eppure le prime 5 grandi banche hanno ridot­to del 3,5% gli impieghi nei primi 6 mesi, mentre le piccole li hanno aumentati. «I grandi gruppi sono rientrati emettendo obbli­gazioni. Unicredit ha ridotto alcuni affidamenti a multinazionali estere che hanno sede fuori dal no­stro perimetro. Non ha fatto mancare la fiducia ai clienti meritevoli». Oggi il denaro costa di più o di meno? «Meno: i tassi sono scesi. Ma per la banca il mar­gine è leggermente aumentato perché prezza me­glio il rischio». I tassi sono artificialmente bassi... «Spero che il rialzo segua una ripresa vera, ma temo non sia a breve». Lei si chiese se fosse una buona idea il giganti­smo, ma non si diede la risposta… «Si è grandi o piccoli in relazione ad altri. Rispet­to alle banche cinesi o americane, Unicredit non è certo grande». Ha investito troppo nell’Est Europa? «Metà dei profitti di Unicredit viene dalle attivi­tà estere, a cominciare dalla Polonia. Aver diversifi­cato si sta rivelando una scelta pagante e un preci­so elemento identitario». E’ pentito di aver preso Capitalia? Quanto vi è costato risanarla? «Il costo è stato rilevante, ma Capitalia ci ha da­to la scala per ottenere riduzioni di costi in un con­testo in cui i ricavi del sistema non sono destinati ad aumentare molto». Neanche un anno fa avete ottenuto, non senza fatica, 3 miliardi attraverso le obbligazioni cashes. Adesso, emettete azioni per 4 miliardi. Basteranno? «Direi di sì. A regime avremo un core Tier 1 dell’8,39%. Che è abbondante». Il suo collega di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, esorta il regolatore a non irrigidire i requisiti patrimoniali durante le crisi e a far mettere fieno in cascina negli anni buoni. E’ d’accordo? «Passera ha posto una questione reale: come rendere anticiclica la regolazione. I problemi da ri­solvere sono tre: a) oggi si rileva la rischiosità di un credito ogni tre mesi; in tempi di recessione, il credito diventa più rischioso e perciò assorbe più capitale di vigilanza con il risultato di ridurre le ca­pacità erogative della banca; b) la banca può conta­bilizzare solo le perdite effettivamente maturate; c) ogni Paese richiede alle banche requisiti patri­moniali di fatto diversi». Soluzioni? «Considerare la storia del creditore per smorza­re le punte del ciclo così da non dar troppo credito nei periodi di boom e troppo poco in quelli di cri­si. Modificare i principi contabili così da poter far accantonamenti anche sulle perdite stimate, come fanno gli spagnoli. Omogeneizzare i requisiti alme­no su scala europea: una banca inglese può avere un capitale di vigilanza formato da una sterlina di capitale di base e una di ibridi; una banca tedesca può avere due euro di capitale di base e uno di ibri­di; l’italiana un euro contro 20 centesimi. Livellia­mo il terreno di gioco». Due anni che si parla di regole più stringenti e non si è ancora visto nulla. «I tempi per rafforzare i capitali vanno scelti con cura per non buttare via il bambino della ripre­sa con l’acqua sporca. Il comitato di Basilea (forma­to dalle più importanti banche centrali, ndr ) darà a brevissimo termine il progetto del nuovo quadro regolatorio; nel corso del 2010 farà analisi e simu­lazioni per verificarne l’impatto sull’economia e verso la fine dell’anno lo varerà». Campa cavallo. «Forse non si è ancora capito quale uragano ha investito il mondo. Il comitato di Basilea si muove in modo responsabile». L’ex presidente della Fed, Paul Volcker, ripro­pone il Glass Steagall Act: separare il credito commerciale dalla finanza. «Se alle banche prevalentemente commerciali come noi si impedisse l’investment banking, que­sto diventerebbe iperconcentrato e sarebbe un gran regalo a Wall Street» Torna l’idea di una Tobin Tax. «Tassare in modo indiscriminato non è utile perché il maggior costo si trasferisce sul cliente». Alla fine avremo ancora ritorni sul capitale del 20% come ai bei tempi? «No. L’obiettivo sarà un certo premio sul costo del capitale, che oggi è attorno al 10%». Tornerete al dividendo? «Deciderà il consiglio a tempo debito. Il nostro compito resta quello di creare valore per i soci so­stenibile nel tempo. Se chiedo loro dei soldi, li de­vo remunerare». In origine si attribuiva a lei l’idea che le fonda­zioni dovessero uscire dalle banche. «Mai detto. In Unicredit le fondazioni sono sta­te azioniste positive: hanno dato stabilità, raccor­do con il territorio, non hanno portato la politica in banca e, quando è stato necessario, hanno messo mano al portafoglio; d’altra parte, hanno anche ricevuto rilevanti dividendi e elevate riva­lutazioni dei loro pacchetti che in buona parte hanno realizzato». Sono partite le grandi manovre per il rinnovo del vertice di Generali. «Unicredit ha il diritto di voto congelato dall’An­titrust ». Ma Unicredit è il primo socio di Mediobanca che è il primo socio di Generali. «Dico solo che la nostra partecipazione in Me­diobanca è strategica».