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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

Monumenti e palazzi agli enti locali il federalismo demaniale (con la tassa) - Decreto Calderoli per il mattone di Stato

Monumenti e palazzi agli enti locali il federalismo demaniale (con la tassa) - Decreto Calderoli per il mattone di Stato. E spunta il fondo con i privati - Già immaginiamo le questioni. L’Arena di Verona è da con­siderarsi «bene storico di rilevanza na­zionale », e deve quindi restare allo Sta­to, oppure può diventare proprietà della Regione Veneto e del municipio veronese? E il teatro greco di Siracu­sa? Gli scavi di Pompei? La villa roma­na di Piazza Armerina in Sicilia? La Reggia di Caserta? Che dire poi del porto di Civitavecchia? Dello scalo ae­reo di Linate? Delle coste di Capri? O delle spiagge della Costa Smeralda? Perché il bello viene adesso, con il primo decreto legislativo che attua il federalismo fiscale. un provvedi­mento di sette articoli che verrà appro­vato dal Consiglio dei ministri prima della fine dell’anno, per iniziare poi il suo complesso iter istituzionale. Di che cosa si tratta è presto detto: è il decreto sul cosiddetto «federalismo demaniale», cioè quello che disciplina il trasferimento di parte del patrimo­nio immobiliare statale a Regioni, Pro­vince, Comuni e (quando ci saranno) Città metropolitane. L’elenco dei beni potenzialmente trasferibili dal centro alla periferia, s’intende gratuitamen­te, è sterminato. L’articolo 4 prevede che gli enti locali possano diventare proprietari di spiagge, porti, acquedot­ti, isole nei fiumi, miniere, caserme, poligoni militari. Ma anche case, pa­lazzi, terreni. E pure «i beni assogget­tati a vincolo storico, artistico e am­bientale che non abbiano rilevanza na­zionale ». Va da sé che questi ultimi non potranno essere venduti. Idem per le spiagge, i porti e gli aeroporti. Tutto il resto, invece, finirà nel cosid­detto «patrimonio disponibile»: dispo­nibile per essere alienato o «valorizza­to in altri modi». Sulla carta sono tan­ti soldi, quanti non si può nemmeno immaginare. Ma riusciranno gli enti locali dove finora lo Stato ha fatto cla­morosamente fiasco visto che i suoi immobili, afferma polemicamente la stessa relazione che accompagna la bozza del decreto, «anche quando so­no stati dismessi spesso sono stati so­lo svenduti»? «In Italia», dicono i tec­nici del ministro Roberto Calderoli, «c’è un enorme patrimonio di beni pubblici, e non può essere ammini­strato dal centro da uffici che spesso non ne conoscono nemmeno il valo­re. E’ giusto che allo Stato rimangano la proprietà e la gestione dei beni na­zionali e simbolici, ma al contrario non è giusto continuare la manomor­ta su beni che hanno senso se gestiti localmente». Se tanti piccoli demani locali sapranno gestire il patrimonio immobiliare meglio dello Stato si ve­drà. La cosa certa è che questa opera­zione avrà comunque un costo. «Valo­rizzare » un immobile significa innan­zitutto restaurarlo o ristrutturarlo, e considerando lo stato di molti beni de­maniali si possono prevedere investi­menti finanziariamente molto impe­gnativi. Chi pagherà? Forse lo Stato? Con questi chiari di luna è da escludere. Allora gli enti locali? Figuriamoci: cau­sa l’impietosa riduzione dei trasferi­menti statali, molti Comuni devono tagliare perfino i contributi ai servizi sociali. Pagheranno, allora, i cittadini. Il primo articolo del provvedimento consente a Comuni e Province di isti­tuire una «tassa di scopo» a carico del­la collettività per realizzare le opere necessarie a valorizzare i beni che lo Stato trasferirà loro. Una grossa novi­tà. Soprattutto per le Province, che se­condo le promesse fatte in campagna elettorale dal premier Silvio Berlusco­ni in persona dovevano essere aboli­te: ora avranno addirittura la possibi­lità, finora esclusa, di imporre pro­prie imposte. Tasse particolari, certo, ma pur sempre tasse. Il decreto preve­de che i contribuenti potranno essere rimborsati «qualora la valorizzazione del bene generi una redditività che lo consente». La tassa invece «dovrà» es­sere restituita ai cittadini nel caso in cui l’opera non partisse entro due an­ni dal progetto esecutivo o non venis­se ultimata nei cinque anni successivi all’approvazione del progetto. Ma con i tempi che in Italia ci vogliono soltanto per fare i progetti... I beni da trasferire verranno scelti dal governo per sottrazione. Nel senso che l’Agenzia del demanio compilerà la lista degli immobili in uso alle am­ministrazioni centrali «per comprova­te ed effettive finalità istituzionali o go­vernative » che non potranno quindi diventare di proprietà degli enti locali. Per esempio il Quirinale, Montecito­rio, palazzo Madama, palazzo Spada... Inseriti in elenchi che saranno oggetto di un decreto della presidenza del Con­siglio dei ministri emanato su propo­sta del ministro dell’Economia Giulio Tremonti d’intesa con quello della semplificazione Calderoli e quello de­gli Affari regionali Raffaele Fitto, gli immobili passeranno dal demanio sta­tale agli enti locali su loro richiesta. Il passaggio, dice la bozza del provvedi­mento, potrà avvenire «senza ulteriori costi per lo Stato», anche direttamente a fondi immobiliari costituiti dai Co­muni, dalle Regioni e dalle Province. E ai quali potranno partecipare anche i privati «con versamento di denaro o apporto di beni immobili». Con la pos­sibilità di controllare la quota di mag­gioranza del fondo. Ma questa è una storia ancora diversa.