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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

Griffith, il re del ring sconfitto dalla miseria- Distrutto come una bottiglia di soda caduta dal tetto di un edificio

Griffith, il re del ring sconfitto dalla miseria- Distrutto come una bottiglia di soda caduta dal tetto di un edificio. Definizione forte, traumatica. Coniata da Bill Gallo, attempato cronista sportivo, una vita passata a bordo ring. Calza a pennello a molti pugili, glorie sul quadrato, perdenti nella vita, scialacquatori di autentiche fortune, prima conquistate a suon di pugni, poi dilapidate tra stravizi e follie. Emile Griffith, l’ultimo esempio e il suo contrario. Perché vive nella miseria, o ai suoi margini. Come tanti illustri colleghi. Con i quali, però, non condivide mani rigorosamente bucate e tendenza allo sciupio patologico. Di quattrini ne ha guadagnati tanti, ma ne ha spesi pochi. Se il ramo discendente della parabola della sua esistenza è appesa a un assegno mensile di più o meno 300 dollari è perché ha badato agli altri ancor prima che a se stesso. New York era il suo regno, il Madison Square Garden il teatro preferito (26 match disputati sul ring più celebre della Grande Mela). St. Thomas, nelle Isole Vergini, il luogo natio, la numerosa famiglia il suo pensiero fisso. Da una parte ha costruito la sua leggenda, dall’altra sono finiti i proventi di mirabili esibizioni e feroci battaglie. Una lunga carriera, una marea di sfide, la crema della boxe affrontata sul quadrato (tra gli altri, Dick Tiger, José Napoles, Rubin Carter, Carlos Monzon), un paio di titoli mondiali (welter e medi), un episodio tragico (la morte di un rivale, Benny Paret, che prima del match gli aveva dato del «maricon», gay), un non facile «outing». E la famosa trilogia, quella che ha consegnato alla storia lui e il suo avversario storico, Nino Benvenuti, che gli strappò la corona dei medi, gliela riconsegnò, poi se la prese di nuovo. Una rivalità antica, che s’è tramutata in amicizia. «Siamo in contatto da sempre - spiega Benvenuti - malgrado gli anni passino e lui non stia così bene. Sapevo dei suoi problemi, ben prima che venisse fuori questa storia. E già mi ero attivato per dargli una mano». Una lunga carriera, ricche borse intascate, roba da 6 milioni di dollari in totale. Per sé solo lo stretto necessario, il resto era per la famiglia, mamma Emelda, i 4 fratelli, le 4 sorelle. «La madre - ricorda Benvenuti - era la persona più cara che avesse al mondo. Era a bordo ring, quando ci siamo affrontati. Ne ricordo i cappelli molto appariscenti, tantissimi, uno diverso dall’altro, che lui stesso le disegnava. Da bordo ring incitava Emile, che ne sentiva le urla, malgrado il frastuono della folla. Sapevo che le mandava i soldi delle borse. Del resto, lui non ha fatto mai una vita appariscente e dispendiosa. Se ora ha dei problemi è solo perché è stato sempre molto generoso». Come con Louis Rodrigo, ragazzo allora minorenne, orfano di padre, appassionato di boxe, conosciuto nel corso di una visita al riformatorio di Secaucus (New Jersey), dove lavorava. Decise di adottarlo. lui che si prende cura dell’ex campione, che dopo i fasti del ring ha conosciuto il peggio della vita: un’aggressione a sfondo omofobico, i guai prodotti dal morbo di Alzheimer. «Louis è un vero angelo - spiega Benvenuti - oltre che il mio tramite per tener vivi i contatti con Emile». Trecento dollari, tanto gli passano i servizi sociali. Una miseria, che gli basta a stento per mangiare. Gli servono dei farmaci, non ha i soldi per comprarli. Ha bisogno degli amici, gente che gli dia una mano. Gente come John Pennisi, caricaturista e illustratore, che si sta dando da fare vendendo delle stampe che lo raffigurano. O come Nino Benvenuti, che non dimentica l’amico-rivale: «L’ho invitato in Italia, verrà tra febbraio e marzo. Mi sto adoperando per tradurre il suo libro, in modo da ricavarne un po’ di quattrini. Emile è stato sempre un generoso, ora ha bisogno della generosità altrui».