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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

Chianti, il brindisi taroccato - Povera Toscana del vino, umiliata dalle mode e (peggio) dalle frodi

Chianti, il brindisi taroccato - Povera Toscana del vino, umiliata dalle mode e (peggio) dalle frodi. Un anno fa Brunellopoli, ora Chiantopoli. Cinque ettari sequestrati a un’azienda di Castellina in Chianti, chiusa per motivi igienici dai Nas. Bloccati duemilacinquecento ettolitri di mosto (taroccato) pronti per essere venduti. Non solo: 5 milioni di litri di vino di Chianti e Igt toscano sequestrati dalle Fiamme Gialle senesi. Coinvolte 17 persone e 42 aziende. Claudio Martini, Presidente di Regione, garantisce che seguirà il caso «con l’attenzione che merita», ma intanto la Toscana resta la regione del tutto e il suo contrario: da una parte il varo del Manifesto dei Piccoli Vigneron (pochi giorni fa a Firenze) e il lavoro rigoroso di produttrici come Giovanna Morganti, presa a esempio dalla rivista Porthos (approdo degli amanti del vino naturale). Dall’altro il sistematico spregio di natura, tradizione, disciplinare. Qual è la vera Toscana? Qualità e territorialità sono regole o eccezioni? Nel Chianti la sperequazione raggiunge il livello massimo. Lo spiega Giovanni Manetti, lodato vigneron (biologico) di Fontodi a Greve in Chianti. «Io sono ottimista, perché il caso di Castellina è atipico e la moda dei Supertuscans sta scemando, ma i cambiamenti sono lenti. Il sangiovese è difficile e il Chianti nasce come uvaggio. Fino al 1984 si potevano usare vitigni bianchi e oggi il disciplinare impone solo un 80 percento di sangiovese. Dentro il restante venti percento può entrarci di tutto, basta sia a bacca rossa». Manetti produce il Flaccianello, prodigioso cento per cento sangiovese che però non rientra nella Docg del Chianti Classico. Non è il solo: Pergole Torte, Cepparello, Percarlo. Non è detto che la dicitura Chianti funzioni nel mercato. A Greve c’è anche Valeria Vigano con l’ottima Le Cinciole. «Le frodi mi feriscono, perché il vino per me è come un figlio, qualcosa che ti rispecchia: sei te stesso dentro una bottiglia. Non c’entra essere piccoli o grandi produttori: c’entra l’etica». Che spesso latita. «I vitigni ”migliorativi” sono una rovina, anzitutto per il Chianti. Che nasce come vino da tutto pasto. Poi può anche avere i muscoli, dipende dall’annata, ma le sue qualità primarie devono essere bevibilità e versatilità a tavola». Un tempo il Chianti era quello del fiasco. E adesso? « cambiato tutto», racconta Giovanna Tiezzi, il cui Chianti Colli Senesi è un esempio sontuoso di qualità unita a basso prezzo (12 euro). Ogni tanto capita, anni fa la Cooperativa Valdarnese Paterna fece gridare al miracolo con un Chianti dal costo contenuto. L’azienda di Tiezzi è a Castelnuovo Berardenga, si chiama Pacina. Era un convento, la cantina è di tufo. «La denominazione Colli Senesi è sfortunata perché immensa. Dentro ci sono anche Montalcino e Montepulciano, che la usano per le uve peggiori. Noi facciamo due Chianti. Uno, giovane e semplice: è il nostro vino sfuso, quello da ”damigiana”. Poi c’è la prima scelta. Esposizione perfetta e territorio benedetto: un buon Chianti nasce così». Sì, ma perché ciclicamente la Toscana fa scandalo? «Perché la maniera più facile per fare soldi sembra quella di addomesticare il sangiovese. A Castellina si è andati oltre: vini di pessimo livello spacciati per Chianti. Che poi neanche sono vini, ma orrendi liquidi rossi, come nei cartoni al supermercato. Non sai cosa ci sia dentro e quali artifici chimici abbiano usato». Ma i controlli? «Latitano. Non sono mai rigorosi. Si figuri, a me ogni volta vogliono bocciare il Chianti perché ha poca solforosa: un pregio per la salute, ma non per la legge».