Francesco Spini, La Stampa 16/12/2009, 16 dicembre 2009
Caro pasta- Di fronte ai rincari della pasta - soprattutto quelli tra il 2006 e il 2008 - non si para più solo l’ira delle casalinghe
Caro pasta- Di fronte ai rincari della pasta - soprattutto quelli tra il 2006 e il 2008 - non si para più solo l’ira delle casalinghe. A muoversi è la magistratura che ha inviato la Finanza a perquisire i 5 principali pastifici italiani e l’associazione che li riunisce tutti, l’Unipi, Unione Pastai Italiani. L’Antitrust in febbraio aveva distribuito tra pastai e associazione 12,5 milioni di multe, confermate dal Tar, per aver costituito un «cartello», un’intesa per far lievitare i prezzi. Ora la palla del caro-pasta è in mano a due pm romani, il procuratore aggiunto Nello Rossi e il sostituto Stefano Pesci. L’indagine fu avviata nell’autunno 2007 dopo la denuncia di alcune associazioni consumatori, e dopo che la Federconsumatori aveva interessato l’Antitrust: conta già un indagato, un ex dirigente di una delle aziende coinvolte. E mira a scoprire se dietro i rincari che in due anni hanno raggiunto quasi il 50% ci sia o meno la condotta punita dall’articolo 501 bis del codice penale. Ovvero «manovre speculative su merci», attuate in concorso tra i produttori. Tutti insieme, sarebbe l’accusa, avrebbero deciso di aumentare il prezzo della pasta senza che a determinarne la necessità fosse l’aumento della materia prima. Per questo ieri i finanzieri si sono presentati negli uffici della Barilla, primo produttore italiano (40% del mercato) nella sede di Parma, alla De Cecco - negli stabilimenti di Pescara e di Roma - alla Garofalo di Gragnano, alla Divella di Bari e all’Amato di Salerno. Hanno sequestrato sia documenti amministrativi ufficiali (come fatture di acquisto di materie prime e di vendita del prodotto finito) sia informali, come appunti e agende. Tutto ciò che possa dimostrare l’esistenza del «cartello» descritto dall’Antitrust, soprattutto attraverso i verbali delle riunioni all’Unipi. «Massima disponibilità» e collaborazione al lavoro degli inquirenti sono state professate sia da Barilla, Divella e Garofalo sia dal presidente dell’Unipi, Massimo Menna, che ha ribadito che non vi sono mai state speculazioni né si è mai configurato alcun accordo lesivo degli interessi dei consumatori. Ai finanzieri, spiega Francesco Divella, a capo dell’omonima azienda, «abbiamo consegnato quelle carte dalle quali si evince che gli aumenti del prezzo della pasta erano dovuti al rincaro notevole del grano, passato all’epoca da 20 a 52 centesimi al chilo. Sono gli stessi documenti che nel 2008 abbiamo consegnato per l’indagine avviata dall’Antitrust». Eppure, anche ieri, non solo i consumatori (Carlo Rienzi, del Codacons, invocava il carcere per gli speculatori) ma anche gli agricoltori della Coldiretti sono andati alla carica denunciando il 400 per cento di ricarico: si registra tra i 18 centesimi al chilo a cui il grano viene pagato a chi lo produce e gli 1,4 euro di costo massimo della pasta sullo scaffale. «Altra cosa grave è che anche dopo il calo vertiginoso della materia prima - aggiunge Rosario Trefiletti, presidente della Federconsumatori - la pasta non sia calata. E questo per una famiglia media si traduce in una spesa aggiuntiva di 146 euro all’anno».