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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

GIANNI POGLIO PER PANORAMA 16 DICEMBRE 2009

Transgender rock Chi sono e come vivono i Tokio Hotel, la band più amata dalla generazione Playstation. Quattro adolescenti diventati grandi in fretta, tra guardie del corpo, ragazzine adoranti e un memorabile show a luci rosse in hotel.

Il segreto del successo dei Tokio Hotel ha un nome, quello di Sebastian Bohm, parrucchiere postpunk di Magdeburgo. Fu lui, in un sabato pomeriggio del 2005, a trasformare Bill Kaulitz, longilineo teenager dalla chioma nera e ostinatamente riccia, in un’icona rock per adolescenti. «Prese i capelli, li stirò e me li sparò più in alto che poteva. Ottenuta la criniera, iniziai a occuparmi dei vestiti» ricorda oggi Bill, leader carismatico del gruppo tedesco ai primi posti in tutta Europa con il nuovo album Humanoid.
Al contrario di quel che si crede, non sono le grandi strategie di marketing che mettono insieme una band di successo. Quelle vengono dopo. Prima ci sono episodi e dettagli che fanno scoccare la scintilla. Ozzy Osbourne immaginò la band che gli avrebbe cambiato la vita (i funerei Black Sabbath) mentre decapitava polli d’allevamento in una macelleria-mattatoio di Birmingham. Larry Mullen, oggi noto come batterista degli U2, sognava una band che portasse il suo nome. Ma all’annuncio, appeso nella bacheca di un liceo di Dublino, rispose Bono. E lui, saggiamente, si accontentò di un ruolo defilato dietro i tamburi. Bill Kaulitz intuì, invece, che la cresta in testa, qualche tocco di mascara e una manciata di canzoni pop avrebbero reso ricchi e famosi lui, il gemello Tom e un paio d’amici reclutati al volo.
I 6 milioni di cd venduti in tre anni gli hanno dato pienamente ragione. Ma niente trasgressioni o depravazioni: al netto dell’immagine dark e vagamente gotica, i quattro eroi del mondo teen sono ragazzi normali della generazione Playstation. «In camerino, prima degli show, giochiamo con i videogiochi o a ping-pong. Sono sfide durissime, perché io e Bill siamo molto competitivi. Chi perde ci rimane molto male» ammette candido Tom. Proprio lui, che passa per il donnaiolo del gruppo, quello che in ogni discorso «tra uomini» lascia cadere dall’alto le sue 25 conquiste: «Non è che tenga il conto. Più o meno, il numero è quello» sussurra imbarazzato, memore di quell’apparizione alla tv tedesca in cui un presentatore gli chiese conto della sua fama di playboy. Lui, diciottenne da qualche ora, si fece piccolo e rispose a monosillabi come se fosse sul banco degli imputati.
«La vita privata per noi non esiste» spiega Bill. «Di ragazze che mi piacciono ne incontro molte, ma sarei ipocrita se parlassi d’amore. Per l’amore, ci vogliono tempo e un progetto. E soprattutto fiducia. Nella mia posizione è quasi impossibile fidarsi di qualcuno. Molte donne sono innamorate del personaggio, non sanno nulla della persona che c’è sotto il make-up e le unghie laccate». Già, perché forse l’aspetto più interessante dell’intero «Tokio Hotel affaire» è proprio la personalità indecifrabile di questo ventenne dall’aspetto androgino. Che si ricopre il corpo di tatuaggi e piercing, però non rinuncia a tenere in braccio teneri orsetti di peluche. E che, probabilmente, ha più talento musicale di quello esibito nelle canzoni del gruppo.
«Vivo sotto pressione, mangio cibo spazzatura e, a volte, vorrei buttare tutto all’aria e trovare del tempo per me lontano da mio fratello e dagli altri del gruppo» si sfoga Bill. «Non faccio una vita normale, ma almeno è quella che ho scelto. Nessuno mi ha imposto di diventare una star. Per me lavorare in ufficio sarebbe morire un po’ ogni giorno. Anche a scuola mi trovavo male. Sia perché agli insegnanti non piaceva il mio smalto nero sulle unghie sia perché ho seri problemi con l’autorità. Gli ordini mi irritano, le imposizioni mi deprimono».
Lo sostiene con forza, anche se sa benissimo che la vita di un idolo pop non è proprio il trionfo della libertà di movimento... «A volte mi sembra di essere arruolato nell’esercito. Mi muovo con due guardie del corpo sempre appresso, non posso entrare in un negozio da solo a fare shopping o andare al cinema quando mi pare. Anche fare un giro in macchina è diventato un problema. I fan si affiancano, mi stringono al guard rail, vogliono che firmi autografi in corsa. Per non parlare del post concerto: siamo praticamente prigionieri in una stanza d’albergo. E così, mentre il mondo ci immagina persi tra donne, alcol e party, ci ritroviamo noi quattro in una stanza a far passare il tempo prima di addormentarci».
Una noia mortale, verrebbe da dire, se Tom non estraesse dal cilindro il racconto di una straordinaria notte a luci rosse. Non esattamente come ce la si aspetterebbe, però: «Ero vicino al terrazzo della mia camera in hotel. Di fronte noto una finestra aperta e un uomo di spalle in boxer. Guardo meglio e vedo che intorno a lui ci sono le gambe di una ragazza. A quel punto, smetto di sfogliare Playboy e mi concentro sulla performance. Chiamo gli altri della band e via con lo spettacolo. Per due ore hanno fatto di tutto, manco stessero cercando di mettere in pratica l’intero Kamasutra. A un certo punto Gustav (il batterista, ndr) riesce a farsi dare dalla reception il numero di telefono della ”stanza dell’amore”. E inizia a chiamare. Ma lo stallone non fa nemmeno una piega: alza il ricevitore del telefono e risponde senza interrompere quello che stava facendo. Gustav riattacca senza parole e inizia a gridare: ”Quell’uomo è il mio idolo. Dovremmo raccogliere dei soldi e infilarglieli sotto la porta della stanza. In fondo, la pay-per view a luci rosse si paga”».