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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

RICCARDO ARENA PER PANORAMA 16 DICEMBRE 2009

La lingua «spinta» dei pm Con queste parole il magistrato che ha già interrogato Gaspare Spatuzza chiede conferma a uno dei boss Graviano: «Guarda te questi stronzi...». Nei suoi toni tutto il disprezzo per Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.

«Sembra più un discorso di dire: ”Beh, insomma, questi avevano detto tante belle cose e ci hanno fregato. E allora chi sa che non sia bene, ritorsivamente, cominciare noi a impallinare loro, invece di stare qui a farci impallinare”. Ecco, quindi la frase sembra quella della persona un po’ incazzata (per dirla… in francese), che, più che avere aspettative, comincia a dire: ”Ma guarda te questi stronzi!”. Perché tanto è bene usare le parole giuste per capire le cose. ”Guarda te questi stronzi, queste carogne, che, in un certo senso, hanno prima fatto vagheggiare chi sa che cosa, e poi siccome non è arrivato nulla...”. Come dice Spatuzza: ”Siccome non è arrivato nulla, non sta arrivando nulla, ora gli si fa vedere noi!”».
Il monologo del sostituto procuratore di Firenze Alessandro Crini è lungo, e risale al 3 settembre 2009. Alle 11.35, insieme con il collega Giuseppe Nicolosi, Crini mette alla prova Filippo Graviano, 48 anni, boss di Brancaccio condannato a una mezza dozzina di ergastoli e in carcere da quasi 16 anni. Il magistrato usa più volte la parola sdoganata da Gianfranco Fini (e non solo quella), riferendola a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, che avrebbe fatto promesse ai mafiosi sostanzialmente inducendoli a mettere le bombe del 1993, e poi non le avrebbe mantenute.
Ai monologhi-domanda Filippo Graviano risponde a mezze frasi, «a trasi e nesci», con il dire e non dire in cui sono maestri i siciliani: tradotto letteralmente, l’«entra ed esci» per non dire nulla di concreto.
Come lui (ma un po’ meno, tant’è che i magistrati che indagano sulle stragi del 1993 a Roma, Firenze e Milano non ci hanno provato più di tanto) ha fatto il fratello Giuseppe: 46 anni, anche lui da quasi 16 anni in galera e sepolto da ergastoli e carcere duro. Adesso per i due fratelli boss di Brancaccio è arrivato il momento della verità, quello dell’aula, delle risposte da dare in pubblico, al processo contro il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, sulle dichiarazioni del quasi pentito Gaspare Spatuzza.
Era stato l’ex imbianchino di 45 anni, ex fedelissimo dei Graviano, ex reggente del mandamento di Brancaccio, a dare il la ai magistrati toscani. Era stato Spatuzza a indicare come possibili istigatori o complici dei boss i fondatori di Forza Italia. Sempre Spatuzza a dire di avere saputo o dedotto che Berlusconi e Dell’Utri erano «le persone serie grazie alle quali ci eravamo messi il Paese nelle mani». Ora tocca a loro: dopo lo Spatuzza day, arriva il Graviano day.
Quali sono gli scenari possibili? Fondamentalmente quattro. Il primo è che, con una scusa qualsiasi, uno o tutt’e due i fratelli non si presentino in videoconferenza davanti alla seconda sezione della corte d’appello palermitana. Tenendo ancora un po’ l’Italia appesa alle loro dichiarazioni. Oppure potrebbero avvalersi della facoltà di non rispondere. Finora i Graviano, come ha fatto Cosimo Lo Nigro, un altro mafioso convocato dai giudici del processo Dell’Utri, hanno rotto un uso inveterato e sprezzante: quello di non avere a che fare con gli uomini dello Stato. Perché è il silenzio il vero «potere» della mafia.
Il secondo scenario che si prepara, al contrario, è che i fratelli Graviano rispondano alle domande dei giudici: uno o tutti e due. E che neghino tutto ciò che ha affermato Spatuzza. Ma che valore avrebbe la smentita di due boss irriducibili e non pentiti, di fronte alle parole di un dichiarante-quasi pentito? Zero, o vicino allo zero.
Terza ipotesi: escludendo a priori il colpo di scena di un pentimento in mondovisione, i Graviano accusano il Cavaliere e Dell’Utri di essere collusi. Aumenterebbe il grado della loro credibilità? L’ipotesi di un ricatto nei confronti delle istituzioni, in fondo, non è del tutto da buttare via. Finora, nei verbali depositati al processo di Palermo, i Graviano si sono limitati a pronunciare generiche parole di rispetto nei confronti di Spatuzza. Gli hanno dato, in sostanza, la loro benedizione senza in realtà mai dargli pienamente ragione. Nei vari confronti che hanno sostenuto con lui sono sembrati condiscendenti, a tratti complici. Ma mai in maniera esplicita. Dice Filippo: «Io non vi ho mai detto una cosa diversa da quella che ho vissuto. Alcune volte non ho detto. Però non ho detto perché ho una posizione mia. Però è diverso dal dire una bugia».
Un ragionamento contorto, quasi da fare venire il mal di testa. Ma che pone un problema: i Graviano potrebbero essere tentati dall’idea del ricatto. E addirittura sostenere che Berlusconi, come azzarda La Repubblica, abbia incassato i loro soldi, dopo quelli dei mafiosi della vecchia guardia, Stefano Bontate, Totuccio Inzerillo, Mimmo Teresi. Uccisi o scomparsi questi ultimi nel 1981, il vertice della Fininvest avrebbe così preso il denaro di un ventenne (Filippo) o di un quasi minorenne (Giuseppe Graviano).
Il quarto e ultimo scenario è che Spatuzza abbia detto la verità. Che cioè abbia riferito le parole effettivamente ascoltate dai due fratelli Graviano. E che questi ultimi lo abbiano preso per il naso. In un caso è certo che lo abbiano fatto. Nel gennaio del 1994 Giuseppe avrebbe detto al suo reggente, al bar Doney di via Veneto, a Roma, che occorreva colpire subito i carabinieri con l’attentato dello stadio Olimpico (per fortuna fallito), «perché in Calabria la ”ndrangheta si era già mossa», uccidendo due militari, Antonino Fava e Giuseppe Garofalo, caduti a Scilla il 18 gennaio di quell’anno.
L’episodio s’inserirebbe cioè in un contesto di attacco globale ai carabinieri. Di vero, in tutto questo, c’è solo il duplice delitto a colpi di M12: per il resto, il fatto è stato ampiamente chiarito e inserito in un contesto locale. E sono state escluse tutte le trame. L’esecuzione, opera di balordi (anche se bene organizzati), è stata confessata da tale Giuseppe Calabrò, poi pentito. Spatuzza è stato sentito dai pm e dalla corte d’appello del tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, e ha chiarito di avere riferito un «sentito dire» che sapeva tanto d’inganno, di millanteria nei suoi confronti. Come dire che in questa storia di ricatti e controricatti, di azioni e ritorsioni, si potrebbe anche inserire l’altra specialità di Cosa nostra: la calunnia, il depistaggio.