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 2009  dicembre 14 Lunedì calendario

I CAPI SOLITARI DELLE PROCURE SICILIANE

Alla fine, il Procuratore di Enna, Calogero Ferrotti, 66 anni, ha messo da parte l’orgoglio e ha ritirato le dimissioni rassegnate d’impulso dopo un commento caustico del ministro Angelino Alfano («Se non se la sente, vada in pensione»). Aveva chiesto aiuto al ministro e aveva fastidiosamente insistito, Ferrotti, perché anche l’ultimo sostituto del suo ufficio, Marcello Cozzolino, 35 anni, da Pescara, tra qualche settimana se ne va. Tornando sui suoi passi, Calogero Ferrotti tornerà a spegnere la luce della sua stanza a notte fonda e, soprattutto, ha ricondotto l’Ufficio di Enna alla sicilianità media delle piccole sedi: un Procuratore, nessun sostituto; oppure un Procuratore e un solo sostituto, ma anche un solo sostituto (spesso in partenza per altra sede) senza Procuratore.
Una variante,quest’ultima,tipizzata da Daniela Cento da Reggio Calabria, poco più che trentenne, studi romani, da un mese unica Pm in servizio a Nicosia (Enna). Quando nel luglio 2006 ha avuto lì il suo primo incarico – era ancora consentito – ha trovato il Procuratore Carmelo Zuccaro e pure un collega. Da 19 mesi, però, Cento è rimasta sola col capo e dal 18 novembre anche Zuccaro è stato trasferito. «Sono di turno dal giugno 2008, ed è esasperante – dice una voce stanca dal telefono dell’ufficio, a sera inoltrata ”. Anche se il Capoufficio prima e ora la collega applicata due giorni a settimana, mi hanno sempre dato una mano nelle emergenze, di turno sono sempre io. Il prossimo, sarà il quarto Natale che trascorro di turno, a portata di telefono». Causa reperibilità incessante, la giovane magistrata conduce una vita rigidamente nicosiana (14.800 anime, 731 metri sul mare) senza nemmeno la compagnia di tanti magistrati del Sud, i colleghi: «In Procura non ce ne sono mentre gli altri fanno tutti i pendolari». Lei, invece, vive sola a Nicosia: «In ufficio dalle 9, quasi sempre fino a sera e, quando torno a casa, un po’ di tv. Fine». Indagini? «Qualcosa si riesce a fare, ma certo le incombenze sono tante, comprese le mansioni di un dirigente amministrativo » cioè organizzazione, turni, permessi del personale. In assenza del funzionario di livello adeguato, ricadono sul capoufficio togato. Ma se nemmeno lui c’è...
Il lavoro della Procura di Nicosia non è quello di Palermo o Catania, a parte eccezioni come il maxiprocesso per turbativa d’asta in corso contro 178 imprenditori locali, però è fatto da quel genere di domanda, propria della popolazione "normale": liti, contrasti d’interesse, problemi o violenze in famiglia, truffe piccole e grandi. «L’ultimo fascicolo contro noti rubricato porta il n.864/09» conclude la dottoressa Cento, che dopo una giornata di udienza, inizia a studiare gli atti per l’udienza preliminare di domani, giusto quella maxi.
Dibattimenti che si accavallano con atti urgenti, assegnazioni complicate dai vuoti di organico e turni esterni che non finiscono mai; investigatori da coordinare, relazioni sindacali da tenere e atti amministrativi da firmare «senza sbagliare, altrimenti passiamo i guai con la Corte dei conti» dice il Procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto, Salvatore De Luca, 50 anni, palermitano. La realtà, del suo circondario è ben diversa da quella di Nicosia, ma anche De Luca è chiamato a rappresentare lo Stato che reprime e garantisce legalità, potendo contare su un solo sostituto dei cinque previsti. Senza dirigente amministrativo. E Barcellona ha da sempre ben due sostituti applicati alla Direzione antimafia di Messina perché, spiega De Luca «siamo nell’epicentro della criminalità mafiosa del distretto». Prendendo la parola in una cerimonia ufficiale, racconta il giovane Procuratore, «per spiegare al ministro qual è il nostro problema ci ho messo 30 secondi: Barcellona sta a Messina come Gela a Caltanissetta, come Corleone a Palermo. E mi sono rimesso a sedere». Mafia pesante, come non è raro sull’isola, ma non solo. Sempre De Luca: «Qualche mese fa, in un’affollatissima giornata sulla legalità, ho ripetuto ai cittadini barcellonesi di fidarsi dello Stato, di venire a denunciare i soprusi, le intimidazioni: siamo qui per voi, ho assicurato, i nostri uffici sono sempre aperti ». Dopo poco, il Procuratore si è però reso conto che «oltre alle urgenze, anzi alle urgentissime, non sono in grado di garantire. Ma questo è un arretramento dello Stato, proprio dove lo Stato dovrebbe essere ultrapresente e proprio quando si avvertono, in Sicilia e a Barcellona Pozzo di Gotto, i primi segnali di fiducia nel cambiamento».
Angelo Busacca, 46 anni, da sempre alla Procura ordinaria di Catania, è arrabbiato perché vorrebbe lavorare meglio: «Mi preoccupa tutto ciò che non è strettamente antimafia, l’ordinario, le truffe, le bancarotte, quei fascicoli che restano lì mesi senza la possibilità di metterci mano. Spesso vado in udienza con liste di testimoni messe giù in fretta, in qualche modo, ma come devo fare? Non ho un segretario, non ho personale che mi aiuti. Così, in aula, quando presento le carte dell’accusa mi dico: potevi far meglio, mi accorgo di pezzi che mancano, mi vergogno, mi scuso. Non è il modo di lavorare: la faccia con i cittadini ce la metto io». Le circoscrizioni troppo piccole, i mille giudici di pace, sono un complicato paradosso che impedisce l’organizzazione: « di questi giorni: l’unico collega di Modica ha ottenuto il trasferimento in Tribunale a Ragusa (a 15 km) e la Procura ragusana si è dovuta privare di un collega per applicarlo a Modica, altrimenti scoperta».
Questa è la realtà dei numeri che non tornano, perché da sempre gli Uffici più scomodi e sperduti sono stati la prima sede, la gavetta per i giovani magistrati. «Nel ’92 già mi occupavo di urbanistica e ambiente e riuscivo a far demolire costruzioni abusive nell’Oasi del Simeto – conclude Busacca ”: interventi lunghi, complessi, dispendiosi, ma era lo Stato che proteggeva un suo tesoro naturale. Oggi ce lo sogniamo: non ci sono tempo né soldi».
Catania è una città piagata da una crisi finanziaria, economica, del commercio, mai vista. Eppure, «i disservizi patiti, gli esposti e le lamentele dei cittadini» non trovano adeguato ascolto perché, dicono in Procura «per indagare su questi temi non basterebbe impiegare tutti i sostituti in servizio». E torna la vecchia domanda etnea sul perché Palermo abbia una squadra di 76 sostituti (ma ne mancano 16) mentre a Catania ne sono previsti 40 (9 posti scoperti): «Certo, è una guerra tra poveri, ma il carico di lavoro per Pm è in sostanza analogo».
Proprio da Palermo Nino di Matteo, uno dei sostituti più esposti sul fronte antimafia, fa notare come lo svuotamento delle Procure – e «Palermo era ambita come scuola d’eccellenza per giovani requirenti» – combinato con l’aumento dei carichi di lavoro abbia capovolto un fenomeno consolidato: «Prima erano i colleghi dell’ordinaria a dare una mano nelle indagini antimafia. Oggi siamo noi che veniamo distolti dall’incarico principale per sostituire in udienza, e non solo, i colleghi della Procura ordinaria, costantemente sotto pressione».
«E vogliamo parlare delle notifiche? Un incubo, un’assurda acrobazia in cui un errore annulla un processo». da qui che parte Lina Trovato, 36 anni, Pm dal 2004, scuotendo la testa per questo grande sforzo di burocrazia astutamente imposto, mentre, dice, «non riusciamo più a fare turni al monocratico, tanto meno davanti al Giudice di pace», cioè proprio nei processi sulle piccole questioni quotidiane ormai interamente delegate a («degnissime, per carità») controfigure: «Al posto di un giudice c’è un giudice onorario, al posto dell’accusa un Vpo, vice procuratore onorario, mentre gli avvocati sono veri, eccome...». E questo perché (dati al 1? dicembre), i 16 Pm catanesi dell’ordinaria si sono spartiti 15mila fascicoli contro noti, cioè oltre mille al mese e anche il 2009 ne conterà alla fine 17-18mila, come il 2008. E al di là del numero elevato di fascicoli a ogni sostituto toccano inevitabili incombenze come: ogni mese 4 o 5 udienze collegiali e altrettante con il Gup (con più processi abbreviati per udienza); poi ci sono quelle civili in materia da Procura come le interdizioni, i fallimenti, le querele di falso, il disciplinare verso notai, etc., per due o più giorni al mese «in cui ci troviamo a correre da un giudice civile all’altro. E vogliamo aggiungere le udienze sulle misure di prevenzione (due o tre al mese a testa), il turno esterno almeno due volte al mese e, come nel mio caso, le coassegnazioni (volontarie) dei fascicoli più delicati a processi di Dda»? evidente come il tempo per far bene tutto è troppo poco, così il sistema giustizia conta sul sacrificio dei mille Cento, Busacca o Trovato, la quale ultima elenca: «Arrivo in ufficio verso le 8,15, torno a casa 10 o 12 ore dopo ma, quasi sempre, la mattina prima delle 7 e dalle 22 finché crollo, faccio qualcosa di lavoro a casa. Sì, in pratica mia figlia è cresciuta da altri».
Quanto potrà andare avanti una rete di Procure destinate a svuotarsi, se il legislatore non interviene? Una preoccupazione espressa anche dagli industriali siciliani – il presidente, Ivan Lo Bello, ha scelto di partecipare il 27 novembre all’assemblea Anm di Enna – e anche dall’assessore regionale all’Industria siciliano, Marco Venturi: «La repressione deve continuare, perciò gli uffici giudiziari e investigativi vanno rafforzati e l’organico aumentato, assegnando loro più risorse». E avanza proposte precise: utilizzare i beni sequestrati alla mafia, «in particolare il denaro contante. Perché dev’essere chiaro: questo territorio subisce un forte controllo sociale e spesso militare, quindi occorre un contrasto adeguato. I cittadini devono spezzare i legami omertosi, ma il resto è demandato alle forze dell’ordine e alle Procure».