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 2009  dicembre 14 Lunedì calendario

L’UNITA’? MALFATTA E CONTRO IL POPOLO, MA GIUSTA


Ragazzi, in piedi. L’Italia finalmente si è ricordata del suo compleanno e si appresta a istituire almeno per i suoi 150 anni, la celebrazione della festa nazionale. Ho appreso da un autorevole consigliere del Quirinale che la Repubblica italiana sta per deliberare di festeggiare il suo compleanno, dichiarando il 17 marzo del 2011 festa nazionale. L’avevo proposto in solitudine al Comitato dei garanti per l’Unità d’Italia, presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, e mi fa piacere che l’idea sia stata accolta e stia per farsi legge.

Certo, non basta una festa di compleanno per ricordarsi dell’Italia, ma è almeno un segno per dire che l’Italia non è la location di mafia e camorra, ma esiste davvero e ha perfino una storia. E non è stata abolita solo per fare un dispetto a Berlusconi e alla maggioranza degli italiani che lo vota. Mi auguro che sia l’occasione per parlarne anche a scuola, dove il Risorgimento è ignorato. E qui torno all’Italia trovatella del nostro presente, per chiedere: insomma, questo benedetto Risorgimento dobbiamo celebrarlo o vituperarlo, dobbiamo ricordarcene solennemente o è meglio dimenticarlo? Sono cominciate le prove generali di storia patria, tra convegni e comitati per ricordare l’Unità d’Italia e Roma capitale. Tra l’altro a Roma abbiamo messo in cantiere con il sindaco Gianni Alemanno una grande mostra sull’identità nazionale. Da tempo, anche sul Giornale, fervono aspre polemiche tra i fautori del Risorgimento e i detrattori, divisi a loro volta in sudisti e in leghisti. Mi dispiace per i sabaudi, i borbonici e gli asburgici, mi dispiace per i garibaldini e per i brigantisti, ma penso che abbiano ragione e torto un po’ tutti quanti.

Il Risorgimento è stata insieme un’opera gloriosa e infame. Gloriosa perché una minoranza valorosa fece l’unità d’Italia e mise a repentaglio la propria vita per darci un Paese unito; intelligenze politiche come Cavour si adoperarono con lucidità, principi come i Savoia si impegnarono nell’ardita impresa, grandi soldati come Garibaldi o anche giovani studenti, profeti come Mazzini e Pellico, Gioberti e Cattaneo... Sarà stucchevole l’oleografia e l’agiografia risorgimentale, saranno insopportabili quei monumenti, quelle lapidi, quella toponomastica risorgimentale... ma un Paese deve celebrare la sua unificazione, deve onorare chi l’ha fatta, deve nutrire la memoria condivisa delle sue origini.

Però il Risorgimento ha avuto anche ombre infami. Fu fatto senza e contro i cattolici, i contadini e i meridionali, che furono esclusi e si autoesclusero; fu fatto con soprusi e violenze, con la dittatura di Garibaldi in Sicilia, con eccidi e disprezzo delle popolazioni, portò alla fame e all’emigrazione molta povera gente. E fu concepito da alcuni suoi fautori non come l’Unità d’Italia ma come la colonizzazione piemontese della penisola. Il Sud uscì dall’Unità peggio di come vi era entrato, la Napoli borbonica distava dall’Europa meno di quanto disti la Napoli odierna; molti rimpiansero l’amministrazione asburgica a Nord, i granducati e lo Stato pontificio. E al Sud i briganti non furono né solo eroi popolari né solo selvatici criminali, ma l’uno e l’altro. Un Paese maturo dovrebbe avere la saggezza di ricordare queste pagine oscure e controverse della sua storia, ricordarsi i martiri di ambo i fronti, e ricordare anche la storia dei vinti, su cui una pubblicistica minore ma non disprezzabile ha molto insistito, compresa quell’Angela Pellicciari citata da Berlusconi.