Sergio Romano, Corriere della Sera 12/12/2009, 12 dicembre 2009
PERCHE’ COSI’ DIFFICILE FAR DECOLLARE IL SUD- A
proposito del problema Mezzogiorno, lei scrive: «Credo che il problema sia in ultima analisi meridionale e che soltanto gli abitanti del Mezzogiorno possano risolverlo». Io penso invece che quando il governo la smetterà di distribuire più risorse al Sud rispetto al Nord, allora il Sud sarà reso pienamente responsabile delle proprie inefficienze. A quel punto sì, come lei scrive, solo gli abitanti del Mezzogiorno avranno la possibilità e l’interesse di risolvere i propri problemi.
Penso addirittura che le risorse andrebbero distribuite in modo direttamente proporzionale all’efficienza con cui vengono utilizzate. Vale a dire: finché il Mezzogiorno sarà meno efficiente, le risorse distribuite saranno inferiori.
Giorgio Frappa
gfrappa@inwind.it
Caro Frappa,
La sua tesi viene occasionalmente avanzata da qualche esponente del centrodestra ed è quella di molti liberisti italiani. Constatano che i finanziamenti elargiti dal governo centrale non sono riusciti a fare decollare il Meridione e hanno spesso sortito risultati opposti a quelli desiderati. La Cassa del Mezzogiorno ha certamente realizzato opere importanti, ma non è riuscita a mettere in moto il volano della crescita. La riforma agraria ha frantumato i latifondi, ma non ha suscitato lo spirito cooperativo che ha avuto una larga parte nello sviluppo dell’agricoltura di altre regioni italiane. Gli investimenti dell’Iri non hanno creato poli di sviluppo. Gli aiuti per il terremoto del 1980 sono finiti nelle mani di boss locali e hanno dato un colpo di acceleratore, paradossalmente, alla nascita in Campania di una economia «criminale». E i prestiti d’onore per i giovani meridionali hanno prodotto effetti insoddisfacenti. Occorre quindi – sostengono i liberisti – lasciare il Sud a se stesso e alle proprie risorse. Quando sapranno di non potere contare sulle politiche assistenziali degli ultimi sessant’anni, i meridionali impiegheranno tutte le virtù intellettuali e umane di cui sono dotati. Perché non dovremmo tentare questa strada?
Credo che la risposta sia semplicemente questa: perché i meridionali sono cittadini di uno Stato unitario e concorrono a scegliere, con il loro voto, il Parlamento e il governo del Paese. Con una sola eccezione (la Lega), i partiti politici sono nazionali e ciascuno di essi si batte, in ogni regione, per avere il maggior numero possibile di voti. Se quelli di governo decidessero di adottare una politica liberista e si astenessero dal promettere al Sud aiuti o finanziamenti, molti meridionali passerebbero probabilmente all’opposizione o a gruppi locali, pronti a sostenere le forze nazionali che terranno maggiore conto delle loro richieste.
Sin qui, niente di sorprendente. Non vi è democrazia in cui i partiti, per conquistare il voto di una regione, non facciamo promesse ai suoi abitanti. Ma nel Mezzogiorno il voto è spesso teleguidato degli interessi di un notabilato che farà degli aiuti promessi un uso clientelare se non addirittura criminale. Si forma così un circolo vizioso. Per avere voti al Sud, i partiti nazionali dichiarano di avere una politica meridionale che comporta inevitabilmente l’impiego del denaro pubblico. Ma il potere e quindi l’uso di quel denaro finiscono, dopo le elezioni, nelle mani di un ceto politico che serve spesso gli interessi di alcuni grandi elettori e pensa soprattutto alla propria sopravvivenza. Per rompere questo circolo vizioso occorrerebbe commissariare il Sud per vent’anni (il tempo d’una generazione) e scegliere il commissario fra quei cittadini del Meridione (molto più numerosi di quanto si pensi) che hanno uno spiccato senso dello Stato. Ma una tale misura, beninteso, potrebbe essere adottata soltanto da una grande coalizione di partiti «uniti per il Sud».