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 2009  dicembre 14 Lunedì calendario

«ATENE HA UN ANNO PER RIENTRARE»


La crisi greca mette l’euro alla prova. La Commissione europea sta tentando di imporre scadenze precise al governo di Atene. La Bce che fa?
«Dal nostro punto di vista, la Grecia deve mettere in atto misure che al più presto entro la fine del 2010 consentano ai titoli del suo debito pubblico di recuperare un rating con la A, che tornerà ad essere la soglia minima per le nostre operazioni di mercato».
Suona come una specie di ultimatum. Che credibilità può avere, quando tutti i paesi euro violano il Patto di stabilità?
«Non tutti. La Germania probabilmente chiuderà il 2009 con un deficit pubblico inferiore al 3% del prodotto lordo».
Andrà molto sopra nel 2010, al 5-6%: proprio la Germania, che ha quasi sempre dato il buon esempio.
«C’è un piano di rientro credibile negli anni successivi. Si è imposta un nuovo, più stringente, vincolo costituzionale al pareggio del bilancio».
E la Francia? Sarkozy sembra propenso a sfidare gli obblighi...
«Ora la Francia ha accettato di riportare il suo deficit al 3% entro il 2013. Il grande prestito lanciato dal presidente Sarkozy è stato ridotto di circa tre quarti. Nel complesso, la disciplina fiscale dei paesi euro è già molto migliore di quanto sembrasse qualche mese fa. Anche la Spagna ha preso impegni seri».
Sono impegni presi con una riserva mentale. Se la ripresa sarà lenta anche nel 2011, come la Bce prevede, i governi rilutteranno a misure di austerità.
«La crisi greca mette davanti agli occhi l’urgenza del problema. Le misure anticrisi erano necessarie per arrestare la caduta e sono risultate efficaci, ma non possono prolungarsi nel tempo senza ripercussioni negative sui mercati. Altrimenti c’è il rischio che, evitata la crisi del debito privato, si apra una crisi del debito pubblico che abbiamo sostituito al debito privato».
Insomma la campana della Grecia suona per tutti.
«Anche sulle scadenze lunghe i tassi di interesse prima o poi aumenteranno. Appena possibile occorre cominciare a risanare i bilanci. La gente comincia a chiedersi come sarà possibile rimborsare il debito pubblico che è aumentato ovunque. La Bce ha chiarito che non sarà ripagato con l’inflazione; da questo punto di vista i risparmi sono al sicuro».
Se davvero la ripresa sarà lenta e ineguale, i governi saranno tentati di spingerla con nuove misure di spesa o di sgravio fiscale.
«Con una situazione della finanza pubblica che è abbastanza fragile, manovre aggiuntive, d’ora in poi, farebbero più male che bene. Occorrono riforme strutturali».
 perfino corsa voce che Atene chiedesse aiuto alla Cina, invece che al Fondo monetario. Pur se era una fantasia, ha un senso: agli equilibri mondiali mancano i soldi che la Cina accumula.
«Secondo me la Cina sta imitando troppo gli Stati Uniti anche in un loro difetto, di guardare troppo al breve termine. Vogliono a tutti i costi un tasso di sviluppo alto per assorbire ogni anno 15-20 milioni di contadini che lasciano le campagne. Esportano grazie alla moneta sottovalutata tenendo basso il potere d’acquisto dei loro cittadini e alto il tasso di risparmio».
Dunque una guida a due Usa-Cina non funzionerebbe.
«L’Europa deve far sentire la sua voce, perché il suo contributo è indispensabile nell’interesse di tutti. Noi siamo alleati degli Usa nel fare pressione sulla Cina perché rivaluti lo yuan, ma anche alleati con la Cina nel chiedere agli Usa una politica economica coerente con la stabilità finanziaria mondiale e un dollaro forte».
Torna il rischio di una bolla speculativa. Invece i banchieri resistono a ogni disciplina.
«Il decennio perduto del Giappone ci insegna che l’incapacità della autorità pubbliche a promuovere un risanamento delle banche è un gravissimo ostacolo alla ripresa».
I banchieri sono impopolari, eppure conservano influenza su certi governi.
«I banchieri devono rendersi conto che già il rifiuto dell’amministrazione Bush di salvare la Lehman Brothers, da cui si sono avute conseguenze così devastanti, nasceva dalla riluttanza a usare il denaro dei contribuenti per assistere le banche. Oggi la frattura fra la società civile e la finanza rischia di approfondirsi».
Dunque è giusto limitare i bonus dei dirigenti delle banche, oppure tassarli? L’ha detto anche Obama ieri.
«Sarebbe politicamente difficile accettare che il sistema bancario, che ha avuto un sostegno diretto e indiretto in questi mesi, utilizzi tale sostegno per distribuire dividendi o per pagare bonus. Gli attuali profitti sono connessi alle misure straordinarie prese dai governi e delle banche centrali. Per fronteggiare la crisi c’è stata una ”socializzazione” delle perdite; non è sbagliato adesso ”socializzare” una quota dei profitti che ne conseguono. In ogni caso il sistema bancario deve usare gli utili che sta realizzando attualmente per rafforzare la propria base patrimoniale. Non c’è tempo da perdere: non solo perché la Bce ritirerà gradualmente le misure che hanno garantito un rifornimento illimitato di liquidità, ma perché in futuro diminuiranno gli utili dell’attività di prestito, a causa dell’aumento delle sofferenze».