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 2009  dicembre 14 Lunedì calendario

VERTICE DI COPENHAGEN, PER VOCE ARANCIO


Dal 7 al 18 dicembre, in 15mila, tra scienziati, delegati, ambientalisti e capi di Stato di 192 paesi diversi si incontreranno al Bella Center di Copenhagen per la quindicesima conferenza dell’Organizzazione delle nazioni unite sul cambiamento climatico. L’obiettivo è firmare un nuovo accordo per tagliare le emissioni inquinanti che sostituisca il Protocollo di Kyoto, firmato l’11 dicembre 1997 e valido fino al 2012.
Gli elementi inquinanti da tagliare sono il biossido di carbonio e altri cinque gas serra: il metano, l’ossido di diazoto, gli idrofluorocarburi, i perfluorocarburi e l’esafluoruro di zolfo. Il biossido di carbonio (CO2) e i suoi simili sono considerati i principali responsabile dell’effetto serra. Secondo i calcoli dell’Onu, nel 2007 l’attività umana nel mondo ha prodotto 27 miliardi 245 milioni e 758mila tonnellate cubiche di CO2. Il 22,2% è originato dagli Stati Uniti, il 18,4% dalla Cina, il 14,7% dall’Unione Europea, il 5,6% dalla Russia, il 4,9% dall’India e il 4,6% dal Giappone.
L’accordo siglato dodici anni fa nella città giapponese prevedeva una riduzione delle emissioni nocive, da compiersi tra il 2008 e il 2012, pari al 5% rispetto al livello del 1990. Non è stato efficace. Intanto perché gli Stati Uniti (che producono più di un terzo delle emissioni nocive) lo hanno firmato ma non lo hanno mai ratificato, poi perché la Russia, che ha un altro 17%, ha aderito solo nel 2004. Infine perché le economie emergenti, come Cina, India e Brasile, avevano firmato ma, secondo i termini dell’accordo, non erano tenute a ridurre le loro emissioni. Il protocollo sarebbe entrato in vigore solo quando 55 nazioni firmatarie, responsabili di almeno il 55% delle emissioni, lo avessero ratificato. Condizione che si è verificata solo dopo il sì dei russi.
Da Copenhagen ci si aspetta un taglio più pesante. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu chiede alle economie sviluppate di ridurre le emissioni, sempre rispetto al 1990, del 25-40% entro il 2020. Sarebbe un primo passo verso un taglio del 50% entro il 2050.
Sarà difficile che si arrivi a un taglio simile. Per ora nessuno si è dichiarato pronto a una riduzione del genere. L’Unione Europea porterà in Danimarca l’intenzione di ridurre le emissioni del 20% (rispetto al ”90) entro il 2020, la riduzione potrebbe salire fino al 30% se anche il resto del mondo proporrà tagli significativi. Gli Stati Uniti offriranno una riduzione del 17% sulla base del dato 2005 (cioè del 4% sul 1990). Anche il Brasile ha scelto di fare riferimento al 2005, promettendo un taglio del 38%. La Cina, invece, guarda al dato delle emissioni per unità di Pil, ancora del 2005, e offrirà una riduzione compresa tra il 40 e il 45%. Sull’esempio cinese, l’India propone un taglio del 25%, base 2005, delle emissioni per unità di Pil.
E queste sono solo intenzioni. Prendiamo Barack Obama: oltre al -17% entro il 2020 prometterà un -30% per il 2025 e un -42% entro il 2030. Sono in realtà le stesse cifre previste dalla proposta di legge sul taglio delle emissioni passata alla Camera a novembre e subito arenata al Senato americano. Il fatto è che per potere trattare davvero Obama avrebbe bisogno di una delega proprio dal Senato, e oggi non ce l’ha. Tra l’altro, negli Stati Uniti, molti ricordano che quando al Senato arrivò il trattato di Kyoto, l’allora presidente Clinton incassò un voto contrario pesantissimo: 95 a zero. Tra i senatori c’era lo stesso Obama, che evidentemente votò ”no”.
Obama, come gli altri capi di Stato, arriverà a Copenaghen negli ultimi giorni. Ci saranno tutti: il brasiliano Lula, l’indiano Manmohan Singh, il russo Dmitri Medvedev, i 27 premier europei, compreso Berlusconi. Al vertice Apec di novembre, Obama e il collega cinese Hu Jintao si sono messi d’accordo per raggiungere solo un’intesa politica a Copenaghen. Un vero accordo legalmente vincolante dovrebbe arrivare invece l’anno prossimo, alla 16° conferenza sul clima, probabilmente a Città del Messico. Alla chiusura del vertice Apec, in molti hanno detto che l’appuntamento di Copenaghen è stato ”svuotato”.
A cinque giorni dalla conferenza di Copenaghen, i governi di Cina, India, Brasile e Sud Africa hanno rifiutato una bozza danese che proponeva di dimezzare l’emissione di gas serra entro il 2050. ”Non possiamo accettare – hanno spiegato – che questi tagli vadano compiuti dalle economie in via di sviluppo”.
Comunque le emissioni di CO2 stanno già calando, grazie alla crisi mondiale e ai primi abbozzi di politiche ambientaliste varate da molte nazioni industrializzate. Secondo l’Associazione internazionale dell’energia quest’anno si assisterà a un calo globale del 2,6%, con gli Stati Uniti che faranno meglio della media:-3,8%.
Il problema è che tagliare le emissioni costa molti soldi. L’Ipcc vuole mantenere il riscaldamento climatico sotto i due gradi Celsius rispetto alle temperature dell’epoca pre-industriale. Secondo i calcoli dell’Aie per riuscirci le nazioni industrializzate dovranno investire almeno mille miliardi di dollari all’anno. Il Pil mondiale nel 2008 è stato di 61mila miliardi: bisognerebbe spenderne l’1,6% per fermare il rialzo delle temperature.
Di quei mille miliardi, 475, chiarisce la Banca Mondiale, dovrebbero essere destinati all’aiuto delle nazioni in via di sviluppo. La Cina è d’accordo: i paesi più ricchi, dicono da Pechino, dovranno dare a quelli più poveri (Cina compresa) almeno 400 miliardi di dollari all’anno per consentire loro di svilupparsi senza produrre più CO2. L’Unione africana ha chiesto 67 miliardi di dollari all’anno solo per lei. Il premier inglese Gordon Brown ha proposto di dare alle nazioni più arretrate, in tutto, 100 miliardi di dollari all’anno. L’Unione europea ha confermato quei 100 miliardi di dollari l’anno, ma solo dal 2020 in poi.
La distanza economica è più ampia di quanto sembri, dato che i cinesi e gli africani sembrano parlare dei soli trasferimenti di denaro da un governo all’altro, mentre l’Europa mette dentro la sua cifra anche il contributo degli investimenti delle imprese private.
Mettendo assieme tutte le proposte concrete già arrivate, inoltre, quei numeri si riducono ulteriormente. Il Messico ha chiesto di avviare un fondo verde da 10 miliardi di dollari al quale ogni nazione dovrà contribuire in base al suo Pil e alle sue emissioni. La Norvegia propone di destinare alla lotta al cambiamento climatico il 2% del mercato delle emissioni (avviato nel 2005) nel quale le aziende comprano e vendono i diritti di produrre quote di CO2, il che consentirebbe di raccogliere altri 20-25 miliardi di dollari ogni anno. Le nazioni più povere hanno chiesto poi di tassare i viaggi aerei per raccogliere altri 8-25 miliardi di dollari. Il fondo per il clima della Banca mondiale gestisce già 5 miliardi. Tutti assieme, fanno 60 miliardi di dollari.
L’Ipcc dice che, se non si farà niente, le temperature nel 2100 saranno più elevate di un livello compreso tra 1,1° e 6,4°. Nel dettaglio l’ente Onu chiede di fare in modo che la concentrazione atmosferica (considerando tutti i gas serra e anche gli aerosol) non superi i 450 parti per milione (ppm) di CO2 equivalente. All’inizio della rivoluzione industriale, la concentrazione atmosferica globale di CO2 era di sole 280 parti per milione. Ora siamo arrivati a quota 386 parti per milione.
Nell’ultimo secolo la temperatura media è salita di 0,6 gradi Celsius, con un significativo picco negli ultimi 3 decenni. Secondo alcune simulazioni fatte dall’Ipcc, se si generasse un aumento delle temperature di 6° si assisterebbe a una serie di eventi catastrofici, dall’innalzamento dei mari fino all’impazzimento dei cicli di inondazioni e siccità. Metà degli esseri umani sarebbero costretti a lasciare le loro terre e diventare ”profughi ambientali”.
Già oggi, dicono dall’Ipcc, l’aumento delle temperature ha provocato la ritirata dei ghiacci dell’emisfero Nord. Mentre il famoso «Passaggio a Nord-Ovest» è ora percorribile dalle navi per un breve periodo durante l’estate.
Le basi delle ricerche dell’Ipcc – che assieme all’ex candidato alla presidenza degli Stati Uniti Al Gore ha vinto il Nobel per la Pace nel 2007 – sono molto contestate. Gli scienziati, in realtà, non hanno strumenti abbastanza sofisticati da potere prevedere tutti gli effetti dei gas serra nell’atmosfera, e quindi l’innalzamento delle temperature medie. Un’ipotesi è che il raddoppio della CO2 nell’aria provochi un balzo di almeno 1 grado, ma i climatologi riconoscono che la «macchina» del caldo e del freddo è immensamente più complessa di questo brutale rapporto.
Due tra i maggiori scienziati italiani contestano apertamente il lavoro dell’Ipcc. Franco Prodi, fisico ed ex direttore dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr, studia il clima da 40 anni: «La scienza sa ancora troppo poco dell’evoluzione climatica e i nostri modelli, quelli dell’Intergovernmental panel of ili male change (Ipcc), sono nella loro infanzia. […] Perché non si conoscono le nubi, la loro variabilità per effetto indiretto dell’aerosol (particelle e corpuscoli in sospensione in atmosfera), gli effetti diretti dell’aerosol stesso sui bilanci di radiazione… […]Chi conosce il clima conosce anche le grandi fluttuazioni del passato, prima per periodi di 420.000, poi di 120.000. poi con oscillazioni sempre minori… L’uomo è "industriale" da appena due secoli, un battito di ciglia per i tempi del sistema climatico».
Il fisico delle particelle Antonio Zichichi: «Ad esempio, un’analisi delle variazioni climatiche del passato dimostra che i raggi cosmici influiscono sul clima, ma nessun modello ha introdotto questa variabile. Eppure, per via dei raggi, negli ultimi 500 milioni di anni, le calotte polari si sono sciolte e riformate quattro volte (all’incirca ogni 140 milioni di anni), in coincidenza con il transito della Terra in uno dei quattro bracci della galassia». Zichichi sintetizza così il suo pensiero: «Non siamo nemmeno in grado di descrivere come nascono le nuvole, e questi signori prevedono la fine del mondo per cause climatiche».
Si contesta soprattutto che l’uomo sia la causa di questo riscaldamento. Ha fatto rumore il bestseller ”L’ambientalista scettico” di Bjorn Lomborg, della Copenhagen Business School. La tesi è: la Terra si riscalda e si raffredda con regolarità, seguendo fasi alterne che solo ora iniziamo a decifrare.
Mentre prima del viaggio asiatico di Barack Obama , 114 scienziati e premi Nobel di 13 nazioni hanno firmato un manifesto per contestare, documenti alla mano, la posizione dell’Amministrazione sui cambiamenti climatici, che è alla base delle nuove politiche energetiche: «Noi sottoscritti scienziati confermiamo che l’allarme sui cambiamenti climatici è grossolanamente esagerato» si legge nel testo redatto dal Cato Institute di Washington. «I cambiamenti delle temperature di superficie nel corso dell’ultimo secolo sono stati episodici, modesti e non vi è stato un netto surriscaldamento del clima negli ultimi dieci anni»
Poi è scoppiato il ”climategate”. La mattina dello scorso 17 novembre pirati informatici sono entrati nei computer della Climatic Research Unit (Cru) dell’Università dell’East Anglia. Il Cru è considerato uno dei centri di ricerca più influenti nello studio del riscaldamento globale dovuto a cause umane, e ha giocato un ruolo chiave nell’ultimo documento dell’Ipcc. Gli hacker hanno pubblicato su un sito russo oltre 1.000 e-mail (le prime risalgono al 1996) e i 3.500 documenti di varia natura.
Nelle e-mail ci sarebbero scambi di informazioni e pareri tra gli studiosi del global warming su come filtrare le informazioni per selezionare cosa far passare al pubblico e cosa no. «Il fatto è che in questo momento non possiamo dare una spiegazione alla mancanza di riscaldamento ed è una finzione che non possiamo permetterci», scriveva poco più di un mese fa Kevin Trenberth, del National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado, in una discussione sulle recenti variazioni atipiche della temperatura.
Ancora, nel 1999, Phil Jones, ricercatore della Climate Unit a East Anglia, ammetteva in un messaggio al collega Michael Mann, della Pennsylvania State University, di aver usato un «trick», un trucchetto, per «nascondere il declino» registrato in alcune serie di temperature dal 1981 in poi. In un altro messaggio un ricercatore definisce «idioti» gli scettici e allega un fotomontaggio con i più noti tra loro aggrappati a un iceberg.
Uno dei membri del Cru si è dovuto dimettere. Dall’Ipcc dicono che i dati sul clima vengono da fonti diverse, quindi non bastano i sospetti sull’Università dell’East Anglia per far saltare i loro studi. Intanto lo scandalo è esploso. Da Hollywood il 5 dicembre arriva la richiesta di ritirare i 2 Oscar dati ad Al Gore per il suo film ”Una scomoda verità”, che si era basato sui dati dell’Ipcc. Lo stesso Gore ha annullato la conferenza stampa al summit di Copenaghen per ”problemi di agenda”. Il suo intervento era tra i più attesi. I tremila biglietti erano andati a ruba, inclusi quelli i da 1.209 dollari che garantivano una «foto con Gore» e la consumazione di un «leggero snack».