Fausta Chiesa, Corriere della Sera 14/12/2009, 14 dicembre 2009
La sfida delle nuove centrali a carbone - L’anidride carbonica è un gas innocuo per l’uomo, ma dannoso per il clima e la comunità scientifica mondiale è ormai d’accordo sul fatto che la CO2 sia responsabile del surriscaldamento del pianeta
La sfida delle nuove centrali a carbone - L’anidride carbonica è un gas innocuo per l’uomo, ma dannoso per il clima e la comunità scientifica mondiale è ormai d’accordo sul fatto che la CO2 sia responsabile del surriscaldamento del pianeta. In questi giorni i grandi della Terra sono riuniti a Copenaghen per trovare un accordo su come gestire il problema del clima. Ma chi sono i maggiori produttori di CO2 del nostro Paese? Il settore che emette la maggior quantità di gas a effetto serra in Italia è quello termoelettrico, seguito da trasporti, consumi civili, manifattura, agricoltura e altre industrie. Nel 2007 le centrali termoelettriche hanno rappresentato il 29 per cento circa delle emissioni totali, nel 2008 la quota è salita al 31% (158 milioni di tonnellate rispetto a un totale di 552) e rispetto al 1990 è aumentata del 17,6 per cento. La tendenza, quindi, è in crescita, anche se Enel, la maggiore azienda elettrica italiana che ha sei centrali a carbone, nove a olio e 22 a gas, fa sapere che dal 2000 al 2009 «ha ridotto le emissioni di CO2 del 35% (da 68 a 44,4 milioni di tonnellate), mentre l’Italia nel suo complesso tra il 2000 e il 2007 le ha aumentate del 3% passando da 463 a 475 milioni di tonnellate». Le termoelettriche più inquinanti dal punto di vista del cambiamento climatico, cioè quelle che per funzionare producono più CO2, sono quelle a carbone. Per produrre un chilowattora di energia elettrica emettono infatti quasi 950 grammi di anidride carbonica, rispetto ai 740 grammi dell’olio combustibile, dei circa 440 grammi del gas naturale e dei 400 del ciclo combinato. Nel nostro Paese sono attive 13 centrali a carbone e in molti casi si tratta di impianti vecchi. E se la tecnologia utilizzata è vecchia l’efficienza degli impianti – misurata sulla quantità di carbone che devono utilizzare per produrre la stessa quantità di energia – è minore. «Attualmente – dice Ennio Macchi, direttore del dipartimento di Energia del Politecnico di Milano – l’efficienza media non raggiunge il 33%. Se queste centrali fossero riconvertite utilizzando la tecnologia moderna, cioè quella cosiddetta a carbone pulito, l’efficienza media salirebbe al 44-45%. Ciò significa che per produrre la stessa quantità di energia elettrica si utilizzerebbe un quarto di carbone in meno e quindi si produrrebbe un quarto di anidride carbonica in meno». Ma come è possibile utilizzare meno carbone per avere la stessa quantità di energia? «La nuova tecnologia – spiega il professor Macchi – ha rendimenti di conversione più alti perché utilizza cicli ultrasupercritici avanzati, che producono vapore a pressioni e temperature maggiori (610-620 gradi rispetto ai 550 normali) e utilizzano componenti più efficienti. L’efficienza del ciclo termodinamico riduce le emissioni da circa 1.000 a 750 grammi di C02 ogni kWh elettrico prodotto. Le emissioni possono ridursi ulteriormente effettuando, come è tecnicamente possibile fare, la co-combustione di carbone e biomassa » . In Italia oggi c’è una sola centrale a carbone pulito, quella di Civitavecchia dell’Enel. A Torrevaldaliga funzionavano quattro caldaie a olio combustibile, a metà dell’anno prossimo saranno a regime al loro posto tre caldaie a carbone pulito. Per riconvertire l’impianto l’Enel ha investito due miliardi di euro. «L’impianto di Torrevaldaliga Nord – fa sapere l’Enel – diminuirà la taglia passando da 2.640 a 1.980 megawatt e sfruttando le nuove tecnologie migliorerà l’efficienza energetica delle macchine dal 38% al 45%. Questo consentirà di evitare l’immissione in atmosfera di circa due milioni di tonnellate di CO2 all’anno». Anche la centrale Enel di Porto Tolle in provincia di Rovigo, che è in fase di autorizzazione finale, sarà riconvertita da olio combustibile a carbone pulito. E sarà già predisposta per utilizzare una tecnologia che permetterà di catturare la CO2 e di stoccarla in cavità sotto il Mar Adriatico, così come sarà già predisposta – se il progetto sarà approvato – la centrale di Saline Joniche della società «Sei». Tuttavia la tecnologia della cattura e del sequestro dell’anidride carbonica (la cosiddetta «Ccs», cioè carbon capture and storage) è in via di sperimentazione, in Italia la stanno testando Eni ed Enel, e nella migliore delle ipotesi sarà pronta non prima di dieci anni. Legambiente a riguardo è molto scettica e considera il carbone, anche quello cosiddetto pulito, un ritorno al passato e una scelta sbagliata e controproducente. «Anche le centrali di nuova generazione emettono quasi il doppio di una moderna centrale a ciclo combinato alimentata a gas naturale – dice Stefano Ciafani responsabile scientifico di Legambiente ”. La costruzione di nuove centrali a carbone aumenterebbe il nostro ritardo nella lotta al global warming , condannandoci a pagare pesanti sanzioni per il mancato rispetto delle scadenze dei protocolli internazionali». Il gas, però, ha un altro problema. Nel nostro Paese già il 55% dell’energia elettrica deriva da questa fonte, mentre lo sfruttamento del carbone da parte degli altri Paesi è molto più elevato: 47% della Germania, 51% degli Stati Uniti, 80% della Cina. Nell’Unione Europea la media è del 31%. In pratica, il nostro Paese è già troppo sbilanciato sul gas, che ha anche il difetto di essere più caro rispetto al carbone. Inoltre, tiene a precisare Assocarboni, il calcolo della CO2 ai fini del Protocollo di Kyoto si fa soltanto in base all’anidride carbonica prodotta in fase di combustione, mentre quella emessa in fase di estrazione dei combustibili non è conteggiata. Eppure, entrambi i flussi finiscono nella troposfera – la fascia dell’atmosfera a diretto contatto con la superficie terrestre – a comporre l’effetto serra. «Se si considera l’intero ciclo di vita dei combustibili (estrazione, preparazione e utilizzo finale) – dice il presidente Andrea Clavarino – il carbone ha un impatto ambientale complessivo sostanzialmente analogo a quello del gas metano».