Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  dicembre 14 Lunedì calendario

Nelle aziende nasce il manager delle emissioni - Parlare di CO2 significa parlare di ambiente e di surriscaldamento del clima

Nelle aziende nasce il manager delle emissioni - Parlare di CO2 significa parlare di ambiente e di surriscaldamento del clima. Ma parlare di CO2 per il sistema produttivo significa parlare di un costo aggiuntivo. Con il Protocollo di Kyoto, l’Unione Europea ha istituito il sistema di Emis­sion Trading (cosiddetto «Ets»), in base al quale le aziende di particolari settori (termoelettrico, raffinazione, cemento, acciaio, carta, vetro) han­no un massimale di tonnellate di CO2 che posso­no emettere. Chi «sfora» le quote che gli sono sta­te assegnate deve comprare un numero di quote tali da coprire la differenza. Di fatto, con Kyoto l’anidride carbonica è diventata una vera e pro­pria commodity , anche se in questo caso il costo della materia prima non sta nell’acquistarla, ben­sì nel produrla. Con l’adesione al Protocollo e l’entrata in funzione dell’Ets le aziende hanno, dunque, un nuovo problema da gestire: l’anidri­de carbonica è entrata nei bilanci societari come nuova voce di costo. Allo scopo di ridurre questo costo è nata di recente una nuova figura profes­sionale: il «manager della CO2», cioè colui che si occupa di gestire la strategia del carbone, la co­siddetta carbon strategy . Tutte la maggiori azien­de energetiche, da Enel a Edison a Sorgenia, han­no in organico persone che lavorano specifica­mente a questa strategia. Quando l’azienda supe­ra le quote di emissione, il manager sa dove com­prare crediti che danno diritto a emettere nuova CO2, pagando questi diritti il meno possibile. I crediti si chiamano Eua ( European union al­lowances ) e Cer ( Certified Emission Reduction ). Questi ultimi possono essere acquistati fino a un limite prestabilito che nella maggior parte dei ca­si è il 15%. Il mercato principale dove si scambia­no questi diritti è la Borsa BlueNext, fondata nel 2007 e ha sede a Parigi. Sempre attorno al bisogno di questa nuova competenza manageriale stanno nascendo socie­tà di servizi ad hoc, che forniscono assistenza al­le imprese dove manca la figura del manager del­la CO2 a svolgere questa funzione. La prima nata in Italia si chiama «Puraction» ed è stata fondata da uno dei pionieri della liberalizzazione del mer­cato dell’energia, Antonio Urbano, che nel 2000 creò la società di compravendita di energia elet­trica Dynameeting, poi ceduta al gruppo svizzero Rezia. «Attraverso la nostra società – spiega Ur­bano – imprese e amministrazioni pubbliche possono ridurre i costi della gestione dell’anidri­de carbonica. Per fare un esempio, noi sappiamo come accedere al mercato primario dei crediti, dove i diritti di emissione costano in media dal 20 al 40% in meno». Già, perché per una tonnella­ta di CO2 si possono pagare 13, 11,5 o 7-8 euro. Dipende dai certificati che si acquistano. E i Cer costano meno se provengono da un progetto di riduzione delle emissioni di gas serra realizzato in un Paese in via di sviluppo come Cina, India o Brasile (il mercato primario) al posto che com­prarli sulla Borsa principale, il BlueNext. Risparmiare sui crediti per la CO2 diventerà sempre più una parola d’ordine del futuro. So­prattutto se si profila anche un altro costo, un’ipotetica «carbon tax» proposta dal presiden­te di turno dell’Ue, la Svezia, Paese dove è già in vigore dal 1991 e condivisa dal presidente Nico­las Sarkozy. Il Parlamento francese sta votando la legge, che dovrebbe entrare in vigore il prossimo anno.