Fausta Chiesa, Corriere della Sera 14/12/2009, 14 dicembre 2009
Nelle aziende nasce il manager delle emissioni - Parlare di CO2 significa parlare di ambiente e di surriscaldamento del clima
Nelle aziende nasce il manager delle emissioni - Parlare di CO2 significa parlare di ambiente e di surriscaldamento del clima. Ma parlare di CO2 per il sistema produttivo significa parlare di un costo aggiuntivo. Con il Protocollo di Kyoto, l’Unione Europea ha istituito il sistema di Emission Trading (cosiddetto «Ets»), in base al quale le aziende di particolari settori (termoelettrico, raffinazione, cemento, acciaio, carta, vetro) hanno un massimale di tonnellate di CO2 che possono emettere. Chi «sfora» le quote che gli sono state assegnate deve comprare un numero di quote tali da coprire la differenza. Di fatto, con Kyoto l’anidride carbonica è diventata una vera e propria commodity , anche se in questo caso il costo della materia prima non sta nell’acquistarla, bensì nel produrla. Con l’adesione al Protocollo e l’entrata in funzione dell’Ets le aziende hanno, dunque, un nuovo problema da gestire: l’anidride carbonica è entrata nei bilanci societari come nuova voce di costo. Allo scopo di ridurre questo costo è nata di recente una nuova figura professionale: il «manager della CO2», cioè colui che si occupa di gestire la strategia del carbone, la cosiddetta carbon strategy . Tutte la maggiori aziende energetiche, da Enel a Edison a Sorgenia, hanno in organico persone che lavorano specificamente a questa strategia. Quando l’azienda supera le quote di emissione, il manager sa dove comprare crediti che danno diritto a emettere nuova CO2, pagando questi diritti il meno possibile. I crediti si chiamano Eua ( European union allowances ) e Cer ( Certified Emission Reduction ). Questi ultimi possono essere acquistati fino a un limite prestabilito che nella maggior parte dei casi è il 15%. Il mercato principale dove si scambiano questi diritti è la Borsa BlueNext, fondata nel 2007 e ha sede a Parigi. Sempre attorno al bisogno di questa nuova competenza manageriale stanno nascendo società di servizi ad hoc, che forniscono assistenza alle imprese dove manca la figura del manager della CO2 a svolgere questa funzione. La prima nata in Italia si chiama «Puraction» ed è stata fondata da uno dei pionieri della liberalizzazione del mercato dell’energia, Antonio Urbano, che nel 2000 creò la società di compravendita di energia elettrica Dynameeting, poi ceduta al gruppo svizzero Rezia. «Attraverso la nostra società – spiega Urbano – imprese e amministrazioni pubbliche possono ridurre i costi della gestione dell’anidride carbonica. Per fare un esempio, noi sappiamo come accedere al mercato primario dei crediti, dove i diritti di emissione costano in media dal 20 al 40% in meno». Già, perché per una tonnellata di CO2 si possono pagare 13, 11,5 o 7-8 euro. Dipende dai certificati che si acquistano. E i Cer costano meno se provengono da un progetto di riduzione delle emissioni di gas serra realizzato in un Paese in via di sviluppo come Cina, India o Brasile (il mercato primario) al posto che comprarli sulla Borsa principale, il BlueNext. Risparmiare sui crediti per la CO2 diventerà sempre più una parola d’ordine del futuro. Soprattutto se si profila anche un altro costo, un’ipotetica «carbon tax» proposta dal presidente di turno dell’Ue, la Svezia, Paese dove è già in vigore dal 1991 e condivisa dal presidente Nicolas Sarkozy. Il Parlamento francese sta votando la legge, che dovrebbe entrare in vigore il prossimo anno.