Franco Bechis, Libero 10/12/2009, 10 dicembre 2009
Le nostre liquidazioni per le spese dello Stato- Prima notizia: dal primo gennaio 2010, giorno di entrata in vigore della legge finanziaria, se vi dimettete dalla vostra azienda perché cambiate lavoro, nella busta paga successiva (l’ulti - ma) troverete la liquidazione del vostro trattamento di fine rapporto
Le nostre liquidazioni per le spese dello Stato- Prima notizia: dal primo gennaio 2010, giorno di entrata in vigore della legge finanziaria, se vi dimettete dalla vostra azienda perché cambiate lavoro, nella busta paga successiva (l’ulti - ma) troverete la liquidazione del vostro trattamento di fine rapporto. Come avveniva nel 2009, e come avveniva anche prima del 2007, quando sono entrate in vigore le nuove norme sui fondi pensione varate dall’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi con il suo ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa. Per i lavoratori allora non cambiò nulla di sostanziale e nulla cambia adesso con questa legge finanziara. Non un centesimo del tfr dovuto si è perso per strada allora e non un centesimo si perderà domani. Certo, in queste ore leggerete che il fondo tfr versato all’Inps per essere gestito su un conto corrente di tesoreria verrà utilizzato per coprire parte delle spese di questa legge finanziaria. E insieme alla notizia leggerete commenti drammatici da parte di leader politici dell’opposizione e naturalmente da parte del segretario Cgil, Guglielmo Epifani e dei suoi colleghi. Qualcosa tipo «il governo mette le mani in tasca ai lavoratori, pensioni a rischio, liquidazioni addio». Questo purtroppo è davvero il teatrino della politica: nessuno ne è immune, né a destra, né a sinistra. Quando nel 2007 Prodi e Padoa Schioppa vararono i fondi pensione, si stabilì che volontariamente ciascuno poteva affidare il tfr a questo o quel gestore. Se in sei mesi un lavoratore non avesse scelto, in automatico i soldi sarebbero transitati all’Inps che li avrebbe girati su un conto corrente di tesoreria. Dal 2007 così avviene. Nel 2008 su quel conto sono confluiti 4,2 miliardi di euro circa di tfr dei lavoratori che non avevano scelto nessun fondo pensione. E ne sono regolarmente usciti circa 420 milioni (più o meno il 10 per cento) per pagare come sempre il tfr ai lavoratori che cambiavano azienda o andavano in pensione maturando così il diritto alla liquidazione. Nel 2009 l’affluenza è stata un po’ più alta: circa 4,6 miliardi di euro. E secondo le stime entro fine anno saranno usciti per pagare le liquidazioni circa 470 milioni di euro. L’Inps di fatto è solo un tramite per la gestione di quei fondi. Le imprese li versano operando gli accantonamenti e quando un lavoratore se ne va, lo pagano direttamente compensando con l’Inps sui versamenti successivi. Per i lavoratori dunque non è cambiato nulla: è sempre il datore di lavoro che eroga il tfr e poi regola contabilmente la partita in altro modo. La differenza rispetto al passato è che il monte tfr non resta più a disposizione delle imprese, che lo utilizzavano per auto- finanziarsi a costo inferiore di un prestito bancario, ma affluisce tramite Inps su quel conto di tesoreria. Siccome il denaro per vocazione non può stare fermo (anche quello che si versa in banca fisicamente non resta fermo sul conto corrente, ma viene impiegato), fin dalla finanziaria 2008 ci si è chiesti come utilizzare quei 4 miliardi e rotti arrivati in tesoreria. La risposta di allora fu: finanziamo investimenti. E così in parte accadde, con l’accordo di tutte le parti sociali. Ma anche se quei soldi sono stati materialmente impiegati non una liquidazione di un lavoratore andato in pensione è stata disattesa o anche solo liquidata oltre il tempo dovuto. Così è accaduto finora e così accadrà domani. E allora, perché tante urla e strepiti? E’ la politica, bellezza. Se non fa un po’ di sceneggiata, non si diverte. Basta rileggersi cosa accadde in quel 2007 quando Prodi e Padoa Schioppa decisero di trasferire a quel fondo Inps il tfr inoptato. Un signore si alzò in piedi e protestò vivacemente: «Il governo ha cercato di mettere le mani sul Tfr. Per i lavoratori ha un solo significato: quei soldi non li rivedranno mai più». Quel signore era Giulio Tremonti. Un altro signore replicò. «Falso. Per i lavoratori non cambia assolutamente nulla». Era Guglielmo Epifani. Due anni sembrano tanti? Non è poi così tanto il tempo che ci separa dal febbraio 2009. Quando Epifani insieme a Confindustria dissero: «C’è la crisi, quest’anno lasciamo il tfr inoptato alle aziende che ne han bisogno e non trasferiamolo all’In - ps». E Tremonti rispose: «Proposta interessante, l’obiettivo è giusto. Ma il mezzo è discutibile, perché il tfr è dei lavoratori e toccare quei soldi non mi sembra una cosa giusta». Dieci mesi le posizioni nel teatrino della politica si sono semplicemente invertite.