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 2009  dicembre 11 Venerdì calendario

Se i banchieri riescono a stupirsi per il taglio dei superbonus- Altrettanto si può dire delle analoghe misure allo studio nella Francia di Sarkozy, così come la tassa sui «bonus» addirittura del 90 per cento che era stata votata mesi fa dalla Camera dei Rappresentanti a Washington (e saggiamente accantonata dal Senato)

Se i banchieri riescono a stupirsi per il taglio dei superbonus- Altrettanto si può dire delle analoghe misure allo studio nella Francia di Sarkozy, così come la tassa sui «bonus» addirittura del 90 per cento che era stata votata mesi fa dalla Camera dei Rappresentanti a Washington (e saggiamente accantonata dal Senato). Ed è anche vero che il termine «banchiere» viene usato con troppa disinvoltura: spesso finiscono nel calderone anche dirigenti di istituti che hanno fatto con molto successo il loro lavoro in divisioni che non hanno mai smesso di realizzare lauti profitti senza assumere rischi eccessivi e che non hanno nulla a che fare con le speculazioni sui titoli tossici attuate da unità della loro stessa banca: unità spesso sconosciute ai più e magari tenute lontano dai confini nazionali, in qualche sede offshore. Stipendi a parte, molti di questi dirigenti, un tempo rispettati da tutti e che ora devono nascondere la loro professione quando si trovano a tavola con persone che non conoscono, hanno legittimi motivi di risentimento. Meno comprensibile è la rabbia e lo stupore dei vertici degli istituti di credito: di quei manager, cioè, che non solo hanno responsabilità dirette nella crisi, ma che conoscono meglio di chiunque altro la natura – legati a interventi di soccorso dello Stato diretti o indiretti – dei profitti che sono tornati a fare. Vale anche per chi non ha avuto soldi dal Tesoro o li ha già restituiti. Tutti, infatti, beneficiano dall’azzeramento dei tassi deciso dalla Fed un anno fa. Si finanziano gratis e prestano denaro a tassi più o meno elevati o comprano titoli del Tesoro che danno un discreto rendimento. Pur sapendo di aver ricevuto veri e propri doni dalle banche centrali ed essendo consapevoli come pochi altri delle dimensioni della distruzione di ricchezza che si è verificata negli ultimi 15 mesi – un fenomeno che costringerà tutti noi a ridimensionare consumi e stili di vita – questi protagonisti della finanza e del credito hanno continuato a illudersi di potersi risvegliare un bel mattino con la crisi definitivamente gettata alle spalle, come un brutto sogno.  per questo che a prendersela coi banchieri oggi non sono solo contribuenti arrabbiati e politici più o meno inclini al populismo, ma anche personaggi di enorme prestigio come l’ex capo della Fed (e attuale consigliere di Obama) Paul Volcker che, parlando ad una conferenza a Londra, ha accusato i banchieri di aver reagito ad una crisi così grave in modo totalmente inadeguato. E non è solo un problema di conti del passato o di scarsa sensibilità dimostrata nel presente. Ci sono anche preoccupazioni per il futuro, visto che, in assenza di nuove regole e col denaro a costo zero che favorisce la crescita di nuove «bolle» speculative, si sono rimessi in moto meccanismi assai pericolosi. L’Europa reagirà a questa situazione rifugiandosi nel dirigismo. Sarkozy lo predica da tempo e la sorprendente decisione di due giorni fa indica che perfino la Gran Bretagna si muove in questa direzione, anche se ciò rischia di destabilizzare la sua City. Per gli Stati Uniti l’equazione è molto più complessa. Obama ha salvato le banche ma non le ha nazionalizzate, vuole lasciare la finanza autonoma, ma non riesce a convincere i suoi capi a farla finita con gli eccessi del passato. Feinberg, il suo «zar degli stipendi», oggi annuncerà nuove restrizioni, ma è anche costretto a concedere molte deroghe, come ha fatto due giorni fa per Aig. Un parziale passo indietro lo ha fatto solo la Goldman Sachs che ha deciso di pagare i bonus 2009 non in contanti ma in azioni. L’unica arma efficace ce l’ha in mano Ben Bernanke: la Fed potrebbe cominciare a tagliare i viveri alle banche drenando la liquidità emessa in eccesso nel sistema. Ma con un’economia che continua a distruggere posti di lavoro anziché crearne, è una ricetta per ora poco proponibile. In passato, quando si voleva premere sulla finanza senza imporre vincoli normativi, si faceva ricorso alla moral suasion della Banca centrale. Ma l’autorevolezza e l’autonomia della Federal Reserve, terremotata dai gravi errori di Greenspan, è ora attaccata dallo stesso Congresso che sta cercando di assoggettare anche la politica monetaria ai controlli parlamentari. Così quello che dovrebbe essere un dibattito sul futuro degli strumenti finanziari più sofisticati (a volte utili a ridurre il costo del credito, più spesso usati per speculazioni, come quelle del 2007 su petrolio e derrate alimentari) e sui correttivi da introdurre nei meccanismi del capitalismo anglosassone (per ripristinare davvero le regole di mercato, senza aree protette per chi è «troppo grande per fallire»), si riduce a una guerra di trincea sui superbonus. Che sia anche questo un modo col quale il potere finanziario, sacrificando qualche pedone, salva i suoi pezzi pregiati sulla scacchiera?