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 2009  dicembre 11 Venerdì calendario

Fabrizio Corona è stato condannato a tre anni e otto mesi di carcere per estorsione e tentata estorsione dai giudici della quinta sezione penale del Tribunale di Milano nell’ambito dell’inchiesta Vallettopoli

Fabrizio Corona è stato condannato a tre anni e otto mesi di carcere per estorsione e tentata estorsione dai giudici della quinta sezione penale del Tribunale di Milano nell’ambito dell’inchiesta Vallettopoli. Il paparazzo è stato ritenuto colpevole di quattro imputazioni su sette. In particolare, è stato condannato per i seimila euro ricevuti dal calciatore Francesco Coco per una foto che lo ritraeva fuori da una discoteca con una donna che poteva sembrare un trans, per i diecimila chiesti sempre a Coco per un’immagine con uomini a torso nudo all’interno di un locale, l’Amnesia di Milano, per i diecimila euro voluti dal motociclista Marco Melandri per lo scatto con la pornoattrice Brigitta Bulgari sullo sfondo e per i 30-40mila euro chiesti all’ex bomber dell’Inter Adriano ritratto a un festino con alcune ragazze. Corona è stato condannato anche a una multa di 800 euro e all’interdizione a trattare con i pubblici uffici per cinque anni. Il paparazzo è stato assolto per la richiesta di 200mila euro fatta alla Fiat per evitare la pubblicazione dell’intervista a un transessuale sulla notte a base di sesso e di cocaina in cui finì in coma Lapo Elkann, per le foto del calciatore Alberto Gilardino ritratto con una donna e per quelle dell’imprenditore Gianluca Vacchi ripreso nudo in banca. Al processo nessuno si è costituito parte civile. Il pubblico ministero, Franc Di Maio, aveva chiesto per Corona una condanna a sette anni e due mesi e l’assoluzione per Marco Bonato, collaboratore del paparazzo (condannato invece a due anni e quattro mesi). Dopo la lettura del verdetto il paparazzo, vestito blu, camicia bianca sbottonata per mettere in mostra il tatuaggio alla memoria del padre, capelli a zero, inseguito dalle telecamere ha detto: «Me ne vado, mi vergogno di essere italiano». La condanna del Tribunale di Milano si somma ai 18 mesi patteggiati per il denaro falso spacciato in autostrada a Orvieto, ai quattro abbreviati per una pistola e banconote false a Milano e ad altri due per una resistenza a pubblico ufficiale. Nei prossimi giorni inizierà anche il processo per la corruzione dell’agente di polizia penitenziaria dal quale per 4mila euro Corona ricevette una fotocamera a San Vittore. Presto il Pm Eugenio Fusco chiuderà l’inchiesta per la bancarotta della Corona’s. A Torino e a Potenza sopravvivono gli ultimi filoni di Vallettopoli. Solo quando tutti i procedimenti ancora aperti a suo carico saranno chiusi si capirà se Corona andrà in carcere oppure no. ARTICOLI: EMILIO RANDACIO, LA REPUBBLICA, 11/12/2009 MILANO - Erano veri e propri ricatti. Foto compromettenti mai pubblicate in cambio del vile denaro. Così, per una manciata di migliaia di euro, l´ex calciatore Francesco Coco ha evitato di finire su una copertina patinata a braccetto di un personaggio ambiguo che sembrava un trans, o in compagnia di alcuni ragazzi seminudi. Il medesimo meccanismo si è inceppato quando nel mirino è finito il pilota di MotoGp, Marco Melandri, caduto in trappola in una discoteca di Rimini, affiancato da una pornostar messa apposta a pochi passi da lui. E la stessa strategia è stata attuata, fallendo, nei confronti di Adriano, immortalato in bermuda a fare bisboccia, attorniato da fanciulle nella sua villa di Como. Tutti episodi, ha sentenziato ieri la Quinta sezione penale del Tribunale milanese, che meritano 3 anni e 8 mesi di carcere per Fabrizio Corona e 2 anni e 4 mesi per il suo braccio destro, Marco Bonato. Condanne che non ricalcano il canovaccio tracciato nella sua requisitoria dal pm Frank Di Maio (assoluzione di Bonato e 7 anni e 2 mesi per Corona), ma che confortano un impianto accusatorio senza precedenti. L´agenzia fotografica "Corona´s", per anni ha ricattato numerosi vip. In cambio di foto compromettenti pronte per i giornali gossippari, Corona tastava prima il terreno con i protagonisti degli scatti. Se paghi, eviti la prima pagina, il succo del ricatto.  stato un processo difficile quello che si è concluso ieri a Milano, che però ha posto un pilastro: «D´ora in poi - ha detto il pm Di Maio - sarà più difficile ritirare foto imbarazzanti dalle agenzie». Il dibattimento, invece, è stato ricco di omissioni da parte dei vip. Nessuno si è costituito parte civile, qualche testimone, come il potente direttore di "Chi", Alfonso Signorini, ha tranquillamente ammesso come, nei giornali di cronaca rosa, spesso, prima di pubblicare una foto di un personaggio noto, si consulti il suo ufficio stampa per avere un preventivo via libera. Corona è stato assolto da altri tre estorsioni nei confronti del calciatore Alberto Gilardino (sorpreso fuori da una discoteca insieme a una ragazza), di Lapo Elkann (Corona ha chiesto 200 mila euro alla Fiat per non divulgare un´intervista al transessuale con il quale era stato sorpreso il nipote dell´Avvocato) e, per ultimo, gli scatti dell´imprenditore Gianluca Vacchi paparazzato su uno yacht in Costa Smeralda con una giovane. La sentenza non è stato un bel segnale per l´imputato. E Corona, lo ha capito. Appena il collegio ha abbandonato l´aula, è rimasto impassibile, al fianco del suo avvocato, Giuseppe Lucibello. Immobile, strafottente, una camicia bianca aperta fino all´ombelico, i tatuaggi in vista. Qualche minuto per raccogliere le idee, e Corona scaglia la sua rabbia. «Se hanno condannato me, devono condannare le principali agenzie fotografiche italiane». La sua fidanzata, la soubrette Belen Rodriguez, è sbigottita: «Non riesco neppure a parlare, anche se avevo detto che mi aspettavo una condanna». La prima partita, Corona, l´ha persa. In attesa dell´appello, lo attendono altre due inchiesta pesanti: dalla corruzione di un´agente penitenziario di San Vittore, per finire alla bancarotta della sua società. **** PAOLO BERIZZI, LA REPUBBLICA, 11/12/2009 MILANO - «Se mi condannano vado a fare il calciatore in Brasile», aveva chiosato la sera prima, provando a esorcizzare gli eventi. Un piatto di pollo ai ferri; i capelli appena rasati stile marine - acconciatura evocativa della sua "resistenza" a oltranza e forse anche della condizione che lo attende dopo i prossimi gradi di giudizio - ; Belen in sottofondo che «si agita perché mi vede tranquillissimo». Passata la nottata e con la sentenza della Corte che gli è appena sbattuta addosso, sedici minuti dopo mezzogiorno, Fabrizio Corona, l´uomo che gioca a fare Scarface, «il Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a se stesso» (ipse dixit), lo «stronzo» e «amorale» (Belen dixit) di cui si è innamorata la sua fidanzata e promessa sposa, resta lì immobile inchiodato al suo destino. Aula al terzo piano del palazzo di Giustizia, secondo banco fila a destra. Sono tutti in piedi, il giudice sta ancora leggendo il verdetto: ma lui si è già riseduto. Spalanca le braccia, sprezzante. «Alzati in piedi», sussurra il suo avvocato. Glielo ripete due volte. Niente. Corona schiude la mano sulla nuca, non ha più il capo chino con cui ha atteso l´emissione del verdetto. Né lo sguardo torvo con il quale, dieci minuti prima, aveva incenerito il pm Frank Di Maio che per rompere la tensione in aula scherzava con i fotografi di fronte all´imputato. «Tre anni e otto mesi», scandisce il giudice Lorella Trovato. L´accenno di un ghigno, poi il figlio di Vittorio Corona s´impietrisce lasciando che protagonisti della scena continuino a essere la camicia bianca sbottonata sul petto ipertrofico e ipertatuato, il completo blu e i gioielli in perfetto stile bullo, l´orologio d´oro, i braccialetti, la collana, anche un orecchino. Il nuovo Corona-show sta per deflagrare, ma «se non uscite dall´aula non parlo», avverte i cronisti. Silenzio ancora. come se in un attimo, e questa volta forse definitivamente, il suo mondo, il mondo del "re dei paparazzi" o del "fotografo dei vip" - ma guai a chiamarlo paparazzo o fotografo - fosse tramontato, imploso dentro questa sentenza di cui a lui «non frega un c...». arrivato il momento di ringhiare nei microfoni, di vomitare tutta la rabbia su questo «paese di merda» dal quale se ne vuole andare perché «mi vergogno di essere italiano», sui magistrati che «se ti metti contro di loro ti distruggono» - intemerata già sentita quando uscì dal carcere di San Vittore - , sulle altre agenzie fotografiche che «fanno le stesse cose», e poi «quelli del caso Marrazzo», «perché io sì e loro no?». «Vergogna, vergogna», grida. Scende le scale con l´aria dell´eroe cattivo, l´ex titolare dell´agenzia Corona´s. S´accende una sigaretta, dice che si aspettava «l´assoluzione piena». Alla vigilia era stato meno ottimista: «Mi daranno tre anni... Ma tanto il carcere non mi fa paura, sono tranquillo». Già. Era il Corona di trentasei ore fa. Un frullato di parole e pensieri in libertà, spaccone e però anche provato. «Non vedo mio figlio da una settimana, mia madre da un mese». Dice che hanno litigato, lui. Una versione un po´ discordante se accostata alle parole che la signora Gabriella ha consegnato a un settimanale gossipparo («Io e Belen non lo abbandoneremo mai, forse il carcere può fare bene a mio figlio»). Gli affetti il denaro la fama. Un impasto unico nella vita spericolata di Corona, dai primi passi come attaché di Lele Mora, il suo pigmalione anche lui travolto da Vallettopoli, fino alla metamorfosi: da agente fotografico dello star system («offrivo le foto agli amici a prezzi di favore» è sempre stata la sua fragile difesa) a personaggio e regista di se stesso, ascesa e discesa. Le pr compromettenti, il giochino dei "ritiri" fotografici, le corse in Bentley senza patente, le banconote false, la pistola rubata, le auto-paparazzate, i reality, i servizi "bomba". Tutto a mille all´ora, guidando al buio. «Ho fatto molti errori e molte cose trash: il look, le dichiarazioni, le mutande lanciate dalla finestra (quando era agli arresti domiciliari, ndr), i soldi esibiti. Ero un personaggio odiato dalle persone a me care, ma che funzionava». Un personaggio, a prescindere. Come fai a stare al passo di uno che la sera prima di essere condannato a 3 anni e 8 mesi di carcere ti dice «vado in Brasile a fare il calciatore»? O forse dev´essere parte di un copione già scritto (da lui). «Dopo 60 giorni di carcere il pm Di Maio viene da me e mi dice: «Qui non c´è nulla, se tu accetti un patteggiamento di 8 mesi questo processo lo chiudo. Sarebbe finito tutto con un semplice sì. Ero incensurato, sarei uscito subito dal carcere. Ma io sono un combattente e i miei principi me li tengo stretti. E così ho detto: «Ma vaff... Patteggiare? Non se ne parla». E di darsi una calmata? «A quarant´anni, forse». Ieri quando è uscito dal tribunale vergognandosi di essere italiano ne aveva ancora trentacinque. Ad aspettarlo c´era un Suv nero. Che ovviamente è partito sgommando. **** MICHELE SERRA, LA REPUBBLICA, 11/12/2009 Ogni imputato davanti a una corte suscita pena, specie se una pena lo aspetta. Non fa eccezione il povero Fabrizio Corona, la cui mise da tribunale, con camicia bianca aperta sui tatuaggi, è così pateticamente trucida da costringerci a sommare, alla normale compassione per chi si è messo nei guai, una sorta di compassione generale per lo stato delle cose. Una di quelle immagini che ti fanno pensare che l´umanità intera stia per sprofondare - meritatamente - agli inferi. Certo non era scontato, né desiderabile, che alla scomparsa dell´etica, della quale Corona è un interprete tra i più notevoli, si accompagnasse una catastrofe estetica di questa portata. Un inguaribile ottimista potrebbe presumere che Corona, esponendo il petto inerme alla raffica della legge, abbia voluto rendere omaggio alla "Fucilazione" di Francisco Goya. Ma "Goya", da quelle parti, può essere al massimo il nome di una discoteca, e più verosimilmente Corona si è presentato in tribunale come se andasse al localino sotto casa, perché non c´è istituzione, o rito, o momento solenne che meriti la dismissione del proprio narcisismo. Corona, del resto, è colui che filmò con una telecamera nascosta le lacrime della moglie alla propria causa di separazione, per rivendere le immagini a Mediaset (complimenti vivissimi a chi le acquistò). come se oramai mancassero (non solo al povero Corona) le occasioni per chinare il capo, rispettare qualcuno o qualcosa (anche se stessi), imparare da qualcuno o da qualcosa. In questo senso le immagini di Corona in tribunale con le tette al vento sono un´istantanea folgorante della malattia italiana. Malattia, non altro. Corona, dopo la sentenza, ha detto di vergognarsi di essere italiano. Ma qui non è questione di vergognarsi: è una perdita di tempo da moralisti. Qui sarebbe questione di guarire, o almeno di provarci. **** GIUSEPPE GUASTELLA, CORRIERE DELLA SERA, 11/12/2009 MILANO – Il tribunale pro­nuncia la sentenza, Fabrizio Co­rona china il capo. Lo rialza, il volto è sbiancato, gli occhi umi­di: tre anni e otto mesi di carce­re per ricatti a Vip, tentati o riu­sciti, a colpi di foto compromet­tenti. «Me ne vado, mi vergo­gno di essere italiano», si sfoga rabbioso provando a rimettersi la corazza della sicurezza sfron­tata mentre esce dall’aula – ve­stito blu, camicia bianca sbotto­nata che mette in vista il tatuag­gio alla memoria del padre, ca­pelli a zero – inseguito dalle te­lecamere. Su sette imputazioni, Corona è stato condannato per tre estor­sioni tentate e una compiuta. I seimila euro ricevuti da France­sco Coco per una foto che ritrae­va l’allora calciatore Inter fuori da una discoteca con una don­na che poteva essere scambiata per un trans. Per altri dieci­mila solo chiesti a Coco in riferimento a un clic con uomini a torso nudo in un locale. Per i diecimila non avuti per ritirare una foto scattata in una festa privata al motociclista Marco Melandri con sullo sfondo una pornoattrice e per i 30-40mila euro che avrebbe voluto per una foto pri­vata in cui l’ex bomber dell’In­ter Adriano era con alcune ra­gazze. Il «paparazzo» è stato as­solto sulla richiesta di 200mila euro alla Fiat per evitare la pub­blicazione dell’intervista a un transessuale sulla notte a base di sesso e cocaina in cui finì in coma il rampollo degli Agnelli Lapo Elkann e per le foto del cal­ciatore Gilardino ritratto con una donna e dell’imprenditore Gianluca Vacchi nudo in barca. L’inchiesta fu avviata a Poten­za dal pm Henry John Woo­dcock e trasmessa a pezzi ad al­tre Procure. Il Pm milanese Frank Di Maio ha approfondito le indagini della parte più corpo­sa fino al processo che per 14 mesi ha visto sfilare come testi­moni Vip e starlette. Nessuno si è costituito contro Corona per evitare un’ulteriore pubblicità negativa. «La Procura ha fatto da sola», rimarca Di Maio che aveva chiesto per Corona sette anni e due mesi di carcere e l’as­soluzione di Marco Bonato, col­laboratore del «paparazzo» con­dannato a due anni e due mesi. La sentenza, emessa da un collegio al femminile (Lorella Trovato presidente, a latere Sil­via Clerici e Vincenzina Greco), a una prima lettura in attesa del­le motivazioni dice che non è re­ato trattare per evitare che foto scattate lecitamente finiscano sui giornali. Lo è se l’affare è vi­ziato da minacce, se si carica ol­tremodo la descrizione delle fo­to per convincere gli interessati a comprarle. Come, secondo l’accusa, nel caso di Adriano: «Un festino con donne mezze nude» con il sale sparso su un tavolino «che sembra droga». Foto che, però, dopo un abboc­camento infruttuoso con l’In­ter, finirono su un sito internet. « passato un principio impor­tante, ora il ritiro sarà più diffici­le » dichiara Di Maio. Il difenso­re di Corona, l’avvocato Giusep­pe Lucibello, intravede spazi per l’appello: «Non c’è stata la condanna del sistema Corona, non è illecito il ritiro né la ri­chiesta di soldi». Invece Corona si chiede «perché non condan­nano anche le altre agenzie, quelli del caso Marrazzo?», con­vinto che a chi, come lui, «si mette contro i magistrati, la fan­no pagare anche se non ha fatto nulla » . Il futuro giudiziario di Coro­na appare rischioso perché la nuova condanna si somma ai 18 mesi patteggiati per il dena­ro falso spacciato in autostrada ad Orvieto, ai 4 abbreviati per una pistola e banconote false a Milano e ad altri due per una re­sistenza a pubblico ufficiale. Martedì comincerà il processo per la corruzione dell’agente di polizia penitenziaria dal quale per 4.000 euro ricevette una fo­tocamera a San Vittore e presto il Pm Eugenio Fusco chiuderà l’inchiesta per la bancarotta del­la Corona’s, mentre a Torino e a Potenza sopravvivono gli ulti­mi due filoni di Vallettopoli. **** PAOLO COLONNELLO, LA STAMPA, 11/12/2009 L’orecchino con brillante di Fabrizio Corona smette di luccicare sotto i flash dei fotografi soltanto per un attimo, l’istante in cui il presidente della quinta sezione penale Lorella Trovato lo dichiara colpevole e lo condanna a 3 anni e 8 mesi di reclusione per 4 episodi di estorsione e tentata estorsione ai danni di Coco, Melandri e Adriano. Corona, il fidanzato di Belen, il re del gossip, china la testa con i capelli rapati a zero, il nuovo look modello galeotto scelto per l’occasione di una sentenza - solo di primo grado - dall’esito assai poco scontato. E rimane in silenzio mentre i fotografi lo scarnificano come i suoi paparazzi facevano con le vittime dei suoi ricatti. I giudici gli concedono le attenuanti generiche, la continuazione tra i reati e lo assolvono, «perché il fatto non sussiste», dagli episodi di estorsione nei confronti di Lapo Elkann, Alberto Gilardino e Gianluca Vacchi: in fondo, come ricorda il pm Frank Di Maio, «in questo processo nessuno ha voluto costituirsi parte civile». Nessuno insomma se l’è sentita di chiedere i danni per i tormenti inflitti da quelle foto compromettenti, dalle telefonate finto amichevoli, dalle richieste di denaro camuffate da vendite commerciali di prodotti che nessuno avrebbe voluto veder finire in pasto ai giornali. Così per la decisione dei giudici è stata fondamentale la valutazione del cosiddetto «elemento soggettivo», la percezione cioè da parte degli estorti di sentirsi vittime di un ricatto oppure no. E alla fine hanno deciso che le accuse reggevano solo per alcuni episodi, non per tutti. Aggiungono 800 euro di multa e l’interdizione a trattare con i pubblici uffici per 5 anni. Condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione anche Marco Bonato, il suo principale collaboratore. «Dai, non è andata così male», cerca di consolarlo il suo legale, l’avvocato Giuseppe Lucibello che aveva ben in mente la richiesta del pm: 7 anni e 2 mesi. Ma Corona non risponde. Chiede solo cosa significa la concessione delle attenuanti generiche - «serviranno in appello» - e se insomma dovrà andare o no di nuovo in galera. Non ci andrà. Non subito almeno, perché il calvario è appena cominciato e solo quando avrà fatto i conti con tutti i procedimenti ancora aperti a suo carico (una tentata estorsione ai danni di Trezeguet, un’accusa per spaccio di banconote false, una condanna per violenza a pubblico ufficiale, una richiesta di rinvio a giudizio per corruzione di una guardia carceraria, un’inchiesta per bancarotta sul fallimento della sua ex società, un patteggiamento per una vecchia pistola detenuta illegalmente in casa), Corona potrà capire se le porte del carcere si potranno di nuovo spalancare per lui. Così il «bello impossibile» che le ragazzine del tribunale ancora si contendono a suon di foto dal cellulare, si alza di scatto, fende la folla di giornalisti e fotografi ed esplode: «Viviamo in un paese di merda! Non me ne frega un cazzo che mi abbiano assolto da una parte delle accuse. Per me la faccenda era: assolto o condannato. Mi hanno condannato e questa è la prova che quello che è scritto nelle aule, la legge è uguale per tutti, è una presa per il culo. Perché in questo paese se ti metti contro i magistrati te la fanno pagare anche se non hai fatto un cazzo. Perché non vengono processate anche le altre agenzie, quelle che facevano esattamente quello che ho fatto io? Perché non hanno condannato quelli del video di Marrazzo? Mi vergogno di essere italiano, me ne voglio andare da questo paese». Corona, camicia bianca aperta fino all’ombelico e completo blu carta da zucchero sormontato da fazzolettone al taschino, l’uomo dalla vita spericolata, scende le scale del palazzaccio di corsa, inseguito dai suoi fantasmi e dai fotografi. «Moralmente - aveva detto di sé - potreste darmi l’ergastolo». Basterebbe l’oblio.