Raffaele Panizza, Max, 11 dicembre 2009
MARCO TRAVAGLIO IL NEMICO DEL POPOLO (DELLE
LIBERtA’) E’ DIVENTATO IL PALADINO DEL POPOLO (SENZA LIBERTA’)-
Quell’aria da coltello affilato deve averla presa così, a furia di arrotare la sua lama contro altre lame: politici, finanzieri, portaborse, banchieri, colleghi giornalisti. Un animale che l’evoluzione ha reso quasi inespressivo, vestito da sportellista di banca, privo di mimica e gesti, per imbrigliare tutta l’energia nella parola. Uno con la calma della murena, che sta nel buco e poi attacca quando vede lo straccio giallo. E lo straccio giallo è Silvio Berlusconi. Ma solo incidentalmente: «non vedo l’ora che si levi di torno per potermi occupare di chi verrà dopo», giura Marco Travaglio dando un tiro di sigaretta. Sessanta chili scarsi, cattolico praticante, due milioni di libri venduti e 200 cause in 15 anni (di cui quattro perse per diffamazione), racconta di essere cresciuto (in senso buono) a suon di schiaffoni, distribuiti da un papà che mal sopportava il suo piglio saccente (ve lo immaginate Travaglio da bambino?). Astemio, morigerato fumatore di Camel light, è sposato da vent’anni con Isabella. Ha due figli: Elisa, 10 anni, e Alessandro, 14, che da un po’ si è avvicinato alla musica con il nome d’arte, d’iperbolica attualità, di Dj Trava (argomento che il papà glissa con decisione, forse l’unico). Insieme a un gruppo di autoproclamati corsari del giornalismo
ha fondato un nuovo giornale, Il Fatto quotidiano, in cui ha investito 30 mila euro di tasca propria. Autore di 28 libri inchiesta, da qualche mese gira l’Italia con uno spettacolo, Passaparola, dove racconta 17 anni di storia italiana. A Varese, il prossimo 22 gennaio, ci sarà la replica numero 100. Come ci si sente nei panni di un giornalista potente? «Io non sono potente. Che potere avrei, scusi?». Quando apre bocca il Paese gorgoglia. «Allora diciamo ”giornalista ascoltato”». un risvolto della stessa medaglia. «No. Il giornalista potente è quello in carriera, che ha un mercato. Io non ho alcun mercato e non ricevo mai offerte di lavoro da nessuno». Lo dice con compiacimento. Come a sottointendere: ho la schiena dritta e questo mondo infame non fa per me. «Nessun compiacimento, è una constatazione. In Italia non c’è spazio per chi fa il mio lavoro, e infatti, io e alcuni colleghi, abbiamo dovuto farci un giornale da soli. Le pare normale che un giornalista che non vende mai meno di 50 mila copie dei suoi libri non se lo voglia pigliare nessuno?». Neppure Repubblica? «Ci sono stato anni, e praticamente non ho mai scritto nulla sulle pagine nazionali. Ripeto: io non ricevo proposte di lavoro». Si dice che i soldi che ha investito nel Fatto siano stati stornati dai suoi diritti d’autore. Non per niente Chiarelettere, che pubblica i suoi libri, ha il 15 per cento nel capitale del giornale.
«Assolutamente falso, sono soldi miei». A perdere? «No. A vincere. Io ci credo». Il suo editore dice che lei è in grado di scrivere libri da 800 pagine in un mese e mezzo. Ha una factory di gnomi, tipo Stephen King? «Ci metto anche meno se è per questo. Per Papi, che è un istant book, ci abbiamo impiegato 20 giorni. Ma non c’è alcuna fabbrica. La gente che collabora firma come coautore, e sono tutti sulla copertina». Secondo il New York Times gli italiani si dividono in due categorie: chi ha lavorato per Berlusconi, e chi lo farà. Lei ha pubblicato i primi due libri con la Mondadori, nel 1994, col Cav. fresco di vittoria alle elezioni. Insomma, c’è dentro fino al collo. «No, il primo era del 1993. Per quanto riguarda il secondo, di tema sportivo, ho firmato il contratto quando Berlusconi era un imprenditore privato, e io ignoravo ad esempio che la Mondadori l’avesse fregata con un sentenza comprata da Previti. Il contratto era già depositato, e non potevo violarlo. Ma se è per questo ho fatto anche di peggio. Ho lavorato al Giornale per sette anni. Ma appena lui è entrato in politica, me ne sono andato». Ho assisito ad alcune sue presentazioni e ho visto come la gente le si avvicina: perorano cause, sollecitano sue invettive e intercesssioni. Lei è a rischio narcisismo. « un assalto continuo. Sono persone che trovano un vuoto ma cercano di riempirlo col tappo sbagliato. C’è gente che perde processi e viene da me per chiedermi di occuparmene. Mi hanno scambiato per il difensore civico, o per il Gabibbo». Il giudizio politico e morale è chiaro. Ma se si spoglia del ruolo, qual è la natura dei suoi sentimenti verso Berlusconi? «Disprezzo. E nausea. Non ne posso più perfino della parola ”Berlusconi”. Ecco perché cerco di chiamarlo sempre in modi diversi: per nominarlo il meno possibile. Dato che ovviamente non si può non parlarne, visto che infesta ogni ambito della nostra vita, allora uso i soprannomi». Il preferito? «Dipende dal momento: Al tappone, il Cainano, Bellachioma. L’ultimo, che ho trovato geniale, è di Ugo Gregoretti: il basso impuro». Nel libro Se li conosci li eviti D’Alema è l’unico politico che contende a Berlusconi il numero di pagine dedicate. Bersani quante ne merita? «Bersani è un D’Alema ben travestito. Si presenta come l’uomo pratico e del buonsenso ma in realtà non ha mai combinato niente in vita sua. Io l’ho studiato: riempie i discorsi di quella specie di saggezza contadina emiliana ma se ci presti attenzione ti accorgi che non finisce nemmeno le frasi. Bersani è il Tonino Guerra della politica. Anzi, sembra Cevoli, il comico che a Zelig fa l’assessore inconcludente. Bisognerebbe trascrive i suoi discorsi come faceva la Gialappa’s con Trapattoni e porsi questa domanda: ma che cazzo ha detto?». Se lo conosci eviti pure lui. «Negli affari più controversi degli ultimi anni c’era sempre. Nel capolavoro della privatizzazione Telecom nel 1999 o nella proposta di fondere Bnl e Monte dei Paschi. Ha perfino preso le difese di Fazio e Fiorani. Dietro l’aria da tortellone ha fatto più danni di Attila». Giorgio Gaber diceva: «quello che preoccupa non è Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me». Che forma assume il Berlusconi in lei? «Guardi, ho tanti difetti, ma quello no». Se dicessi che il suo berlusconismo nascosto si chiama Beatrice Borromeo? Bella, giovane, ricca, scalpitante, cooptata e calata nel gotha del giornalismo. Una mossa in pieno stile berlusconiano. «Beatrice è brava. All’inizio di Annozero era imbarazzante, ma già dopo tre mesi aveva capito tutto. Era la prima ad arrivare e l’ultima ad andare via. Quando abbiamo fondato Il Fatto, per evitare che mi accusassero di averla raccomandata, non ho osato proporla. Poi Lorenzo Fazio (il suo editore a Chiarelettere, ndr) ha detto a Padellaro di prenderla, e ora lavora con noi, a stipendio sindacale. Anzi, è l’unica ancora senza contratto». Spesso ha dichiarato di essere politicamente di destra.Ma cosa significa in concreto? Ad esempio: è proibizionista? «In passato lo ero, ora non più». Nazionalista? «No, anzi. Divento sempre più esterofilo». Le battaglie di Beppe Grillo le condivide? Se le dicessi No Tav? «Concordo. La Tav è una scemenza, una roba da megalomani anni Ottanta». No nucleare? «Idem». No canone Rai? «Su questo la penso diversamente. La tv pubblica deve essere pagata dai cittadini». Ha detto: «se potessi fare il direttore del Tg1 per un giorno, racconterei ciò che non è stato detto negli ultimi 10 anni». Riesce a dirci tre cose che dovremmo sapere senza citare Berlusconi o gente a lui vicina? «Ad esempio il fatto che la Seconda Repubblica sia nata da un patto con la mafia, con lo Stato che trattava con i boss mentre davanti a noi faceva la faccia truce. Però, a pensarci bene, Berlusconi c’entra pure qui...». Cito testuale: ”far scrivere la legge sulla prostituzione alla Carfagna è segno di grande senso dell’umorismo’. Si pente mai di quello che dice? «Non sono stato io a fare di tutto per bloccare le intercettazioni che ci avrebbero detto qualcosa sul rapporto tra la Carfagna e il Cavaliere. stato Paolo Guzzanti a dire di averle sentite. E poi, scusi, il fatto che il governo presieduto dall’utilizzatore finale di una prostituta voglia una norma per mandare in galera i clienti delle prostitute non è male. A pensarci bene, l’unica legge ad personam che potrebbe portarci qualche giovamento».