Salvatore Bragantini, Corriere della Sera 10/12/09 e 11/12/09, 10 dicembre 2009
FININVEST EVITI GLI IMBARAZZI MEGLIO BUSSARE ALLE BANCHE ESTERE
(articolo, replica e controreplica)
Il conflitto d’interessi, sempre dimenticato, sempre riemerge; per chi ama l’Italia non è un bello spettacolo. La Fininvest, condannata in ottobre da una sentenza civile a pagare 750 milioni di euro alla Cir (holding di controllo del gruppo Espresso) deve rilasciare – per sospendere il pagamento in attesa dell’appello – una fideiussione di questo importo.
La sentenza ha solo quantificato i danni subiti dalla Cir a causa della decisione definitiva sull’affare Mondadori; la società, ricordiamo, andò a Fininvest grazie alla decisione di un collegio di cui faceva parte il corrotto giudice Metta.
Secondo notizie di stampa, ora Fininvest ha chiesto alle principali banche italiane di emettere la fideiussione; s’è creata così una situazione surreale. Il presidente del Consiglio, come imprenditore privato, deve dei denari ad una società privata, quotata in Borsa, e chiede alle banche del suo Paese di garantire il debito.
Immaginiamo per un momento, se ci riusciamo, la scena. Obama che convoca a Washington il gotha bancario Usa: Blankfein di Goldman Sachs, Lewis di Bank of America, Mack di Morgan Stanley e Dimon di JPMorgan. Devono garantire un suo debito personale, insorto fra l’altro a seguito di una vicenda ben poco commendevole. Non sarebbe concepibile. In Italia purtroppo accade.
Il senso dello Stato – o dell’opportunità – imporrebbe al premier di rivolgersi a banche estere, che non mancano certo e che sono prive di soggezione nei suoi confronti. ancora in tempo a farlo. Le principali banche italiane vengono invece a trovarsi in una posizione più che imbarazzante, e dovranno decidere a tamburo battente: pare che la fideiussione vada emessa entro fine anno.
Le imprese italiane in difficoltà per la crisi aspettano trepidanti di conoscere le condizioni alle quali la garanzia sarà, quasi inevitabilmente, concessa. A meno di improbabili ripensamenti, ci stiamo per allontanare, un altro po’, dalle norme non scritte della buona creanza economica. Così ci perdiamo tutti, a destra e a sinistra.
Salvatore Bragantini
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Gentile Direttore, libero ovviamente il dottor Salvatore Bragantini di pensarla come vuole, ma un conto sono le opinioni, altro sono i fatti. Fatti di cui, nell’articolo «Fininvest eviti gli imbarazzi, meglio bussare alle banche estere», Bragantini sembra avere una conoscenza decisamente sommaria. Breve riepilogo. Come noto, la sentenza con cui il Tribunale di Milano ha condannato la Fininvest a pagare 750 milioni di euro alla Cir per la vicenda «Lodo Mondadori» era immediatamente esecutiva.
Facile intuire che un simile esborso avrebbe creato serissimi problemi anche ad un gruppo solido da un punto di vista sia patrimoniale sia finanziario come il nostro.
Siamo riusciti a rinviare l’eventuale pagamento fino alla sentenza d’appello (che, peraltro, siamo sicuri riconoscerà le nostre buone ragioni). In cambio, ci siamo resi disponibili a presentare una fidejussione: che rappresenta un danno nettamente inferiore rispetto all’ipotesi del pagamento immediato, anche se ha un costo rappresentato dalle commissioni e limiterà in qualche modo la nostra agilità finanziaria. Naturalmente il soggetto di cui sto parlando è la Fininvest. Sembrerebbe superfluo ribadirlo, se non che Bragantini, per dare forza al suo ragionamento e all’evocazione - del tutto a sproposito - del conflitto di interessi, lo ignora: parla invece di «debito personale» di Silvio Berlusconi. Una confusione sorprendente per un esperto come il dottor Bragantini. Il quale sembra anche ignorare come la fidejussione che un gruppo di primarie banche italiane si appresta a concederci rappresenti un cosiddetto credito di firma. In sostanza, le banche si limitano a garantire - naturalmente a fronte di una commissione di mercato - che il nostro debito, se la sentenza d’appello ci sarà sfavorevole, verrà pagato. Vista la solidità patrimoniale e finanziaria della Fininvest (i cui bilanci sono ampiamente noti) gli osservatori economici ritengono estremamente ridotto il rischio a carico delle banche.
E credo che al dottor Bragantini basterebbero un paio di telefonate per verificarlo. Non a caso, anche parecchi istituti di credito stranieri, proprio quelli alla cui porta l’opinionista ci suggerisce di bussare per «senso dello Stato o dell’opportunità», si sono fatti avanti, considerando favorevolmente l’operazione.
Da impresa italiana orgogliosa di esserlo, abbiamo però preferito dialogare, e senza metter fretta a nessuno, con il sistema creditizio italiano. Su una cosa, comunque, sono d’accordo con il dottor Bragantini. Anche io ho provato una sensazione di imbarazzo. Ma per il contenuto del suo articolo: questo sì prendo a prestito un termine usato dall’opinionista - davvero «surreale».
Con la più viva cordialità
Pasquale Cannatelli
amministratore delegato Fininvest
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Libero ovviamente il dottor Cannatelli (cui va la mia simpatia per l’ardua arrampicata) di pensarla come vuole, ma i fatti sono chiari.
Premetto che, al pari dei lettori, so discernere un credito di firma da uno per cassa. Quanto ai fatti: la società controllata (se l’ad non lo smentisce) dalla famiglia del presidente del Consiglio, anziché rivolgersi a banche estere «ha preferito dialogare col sistema creditizio italiano». Insomma, per patriottismo. Il commento faceva appello, se non al senso dello Stato, almeno a quello di opportunità. Mancano ambedue, l’appello è respinto!
Salvatore Bragantini