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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

ILARIA CAVO PER PANORAMA 16 DICEMBRE 2009

Garlasco 10 enigmi irrisolti per un delitto La sentenza chiuderà il processo giovedì 17 dicembre. Ma molti dubbi restano ancora aperti: a partire dal movente dell’omicidio per arrivare all’arma con cui è stata uccisa Chiara Poggi. Così, mentre l’imputato Alberto Stasi aspetta il verdetto, ecco gli interrogativi di uno dei più controversi casi di cronaca nera.

Una porta a soffietto. Poi l’arma del delitto, che non è mai stata trovata. E perfino il movente. Sono questi i primi tre di dieci enigmi irrisolti, i dieci misteri del giallo di Garlasco: l’omicidio di Chiara Poggi, uccisa nel piccolo centro del Pavese il 13 agosto 2007, ad appena 26 anni. Il 17 dicembre sarà il giorno di San Lazzaro. Quel giorno il tribunale di Vigevano pronuncerà la sentenza: Alberto Stasi, il fidanzato di Chiara che è anche l’unico imputato, sarà dichiarato innocente o colpevole. In attesa del verdetto, ecco una ricostruzione delle tesi in campo sulle dieci questioni che due anni dopo l’omicidio sono ancora aperte. A partire proprio dalla porta a soffietto, quella che dà sulle strette scale che portano alla tavernetta di casa Poggi, l’ambiente dove è stato scoperto il cadavere della ragazza. Quella porta era aperta o è stata chiusa dopo l’aggressione, quando l’assassino ha fatto cadere il corpo di Chiara prima di fuggire?
Dopo tante udienze trascorse a dibattere sul computer di Stasi e sui file che vi erano stati archiviati, o sulle sue scarpe pulite o sporche, è questa l’ultima, fondamentale domanda che il giudice Stefano Vitelli ha rivolto ai suoi periti. Anche questa risposta, da qui al 17 dicembre, servirà a stabilire se il fidanzato di Chiara ha mentito oppure no.
1 La PORTA A SOFFIETTO ERA APERTA O CHIUSA?
Stasi racconta di essere entrato in casa Poggi, per cercare Chiara, la mattina di quel 13 agosto. E sostiene di avere trovato chiusa la porta a soffietto. Soltanto dopo averla aperta, e dopo avere sceso due gradini, dice di avere scorto il corpo della fidanzata in fondo alle scale. Per l’accusa e per la parte civile Stasi mente: non è mai entrato a cercare Chiara, ma prima l’ha uccisa e poi ha inscenato un ritrovamento che in realtà non è mai avvenuto. La difesa ricostruisce tutto all’opposto: Stasi è entrato davvero sulle scale e da lì ha potuto scorgere il corpo insanguinato. Del resto, i primi carabinieri intervenuti sul luogo del delitto testimoniano che al loro arrivo la luce delle scale era accesa e che la porta a soffietto era aperta. Così entrano in gioco le macchie di sangue versate intorno a quella porta. Se i periti, attraverso la temperatura e la traiettoria delle tracce ematiche, fossero riusciti a dimostrare che l’assassino ha chiuso la porta prima di fuggire, il racconto di Stasi sarebbe stato confermato in pieno: Alberto sarebbe dovuto entrare per aprirla, per farla trovare appunto aperta ai primi soccorritori.
Il consulente di parte civile, Antonio Barili, propone al contrario una lettura accusatoria: le macchie del corridoio e del vano scale, nelle foto disponibili, sono simili tra loro. Questo è il segno che l’umidità dei due ambienti al momento del primo sopralluogo non doveva differire: quindi, a suo dire, la porta a soffietto prima dell’arrivo di Stasi era aperta. Se fosse stata chiusa, l’ambiente si sarebbe saturato, l’umidità avrebbe raggiunto rapidamente il 100 per cento, così le macchie sui primi gradini sarebbero rimaste umide. Ma questa tesi è contrastata dalla difesa di Stasi: le foto delle macchie non sono state scattate subito dopo l’aggressione, quindi la valutazione è frutto di una supposizione e nulla più.
Così il dubbio resta irrisolto, esattamente come alcuni interrogativi di contorno: perché Stasi, se è colpevole, avrebbe dovuto «inguaiarsi» descrivendo come chiusa la porta al suo ingresso? E perché avrebbe dimenticato di dire di avere acceso la luce, in modo da giustificare la visibilità del corpo più in basso? E se non l’ha accesa lui, la luce, chi è stato?
2 I PASSI E LE SCARPE DI STASI SUL LUOGO DEL DELITTO
Un altro quesito di fondo riguarda i passi di Stasi: entrando in casa Poggi, l’imputato avrebbe dovuto per forza sporcarsi le scarpe di sangue? E perché, se è così, le suole non ne hanno trattenuta traccia? I tre periti del tribunale hanno risposto in tre modi diversi. Per il chimico Francesco Ciardelli le scarpe dell’imputato, intercettando il sangue secco, avrebbero potuto trattenerlo ma anche rilasciarlo. E anche per il medico legale Lorenzo Varetto il sangue calpestato, se secco, dopo pochi passi sarebbe potuto sparire dalle suole. Secondo Nello Balossino, esperto di elaborazioni d’immagini, è impossibile che Stasi non abbia intercettato sangue, se si considerano tutte le macchie presenti nel corridoio; le possibilità aumentano ancora se si tolgono le tracce più piccole e secche, non in grado di macchiare la suola.
3 Le macchie di sangue: ERANO fresche o secche?
Legato al tema delle impronte c’è un altro nodo da sciogliere: le macchie del sangue di Chiara erano secche o ancora liquide, nel momento in cui si presume che Stasi abbia scoperto la fidanzata, come dice? Secondo il medico legale Varetto, all’ingresso dei soccorsi le tracce più piccole erano già secche, quindi all’arrivo di Stasi dovevano essere «almeno parzialmente secche». Pertanto le sue scarpe avrebbero potuto anche non sporcarsi: questa tesi è stata accolta dalla difesa, ma viene respinta dall’accusa che interpreta in modo opposto le foto scattate durante il primo sopralluogo. Le macchie erano ancora liquide all’arrivo dei soccorsi, quindi in grado di lasciare tracce e di indicare un decesso più vicino al ritrovamento del corpo.
QUAL L’ARMA IMPIEGATA?
un martellO o COS’altro?
Si è sempre pensato a un martello, ma l’accusa ultimamente ipotizza possa essere stato anche un paio di forbici, impugnato al contrario, a uccidere Chiara. La parte civile non esclude che la vittima sia stata colpita con il portavasi trovato nel salotto. Il perito del giudice propende per un martello, ma differente da quello con punta biforcuta, da carpentiere, sparito dal garage dei Poggi. «Io francamente non sono riuscito a capire che oggetto potesse essere» ha dichiarato in aula il perito. «Avevo pensato a un martello da muratore, diverso da quello da carpentiere, con una massa battente da una parte e uno scalpello dall’altra». In nessuno di questi casi il tipo di arma può dire qualcosa sull’assassino.
5 il dna sulla bici di stasi è del sangue di chiara?
Il dna di Chiara trovato sui pedali della bici di Stasi, per l’accusa e per la parte civile, è probabilmente sangue e ha a che fare con il delitto. Per la difesa di Stasi invece non si può dimostrare che il profilo genetico derivi da sangue e non da saliva, da sudore o da altro. Secondo il perito del giudice quel dna, morfologicamente, non ha molto a che fare con i globuli rossi, come invece sostenuto dall’accusa: «Si segnala viceversa, sia per dimensioni che per morfologia, una somiglianza di queste strutture con dei funghi» ha detto Carlo Robino. Un’altra traccia di dna di Chiara è stata trovata sul dispenser del portasapone, vicino alle impronte digitali del fidanzato. Per l’accusa Stasi si è pulito in bagno dopo l’omicidio e così ha lasciato il dna della vittima. Per la difesa, invece, quelle tracce possono essere state lasciate in qualsiasi altro momento perché sia Chiara sia il fidanzato frequentavano abitualmente la casa.
6 QUAL l’ora della morte? e QUANTO duratO Il delitto?
L’accusa all’inizio aveva posto l’omicidio tra le 11 e le 11.30; la difesa tra le 9 e le 10. La perizia medico-legale non ha risolto i dubbi perché, per Varetto, «l’ora del decesso non è determinabile». Nel 95 per cento dei casi può essere avvenuto tra le 7.30 e le 12.30: una forbice troppo ampia, che non dà certezze.
Il dibattito si è allungato anche sulla durata dell’omicidio. Per la parte civile tutto è accaduto in meno di 10 minuti, presumibilmente nei 26 minuti tra le 9.10 e le 9.36 in cui Stasi non ha un alibi. Per il perito del giudice (e la versione è stata accolta dalla difesa) il delitto non è durato pochi minuti e la macchia di sangue alla base delle scale del soggiorno non ha impiegato poco tempo a formarsi, perché è frutto di ferite lievi.
Secondo il perito del giudice, Varetto, «le scale della cantina presentano imbrattamenti di sangue sui primi gradini e poi, a partire dal terzo o quarto gradino, una presenza di sangue così abbondante da occupare il gradino, colare sul gradino inferiore e poi su quello inferiore ancora». La testa del cadavere non viene trovata alla base di questo rivolo ininterrotto, ma più avanti: e ciò pare mostrare un’interruzione nello scivolamento del corpo. Insomma, il delitto deve essersi protratto nel tempo: «Il corpo non è stato scaraventato giù in una determinata posizione» dice Varetto. «E chi l’ha fatto cadere non poteva sapere che sarebbe stato trovato più avanti, se lo scivolamento è stato spontaneo».
Stasi però ha raccontato di avere visto il corpo in fondo alle scale, nella posizione finale. E se fosse l’omicida, per rendere una testimonianza tanto veritiera, avrebbe dovuto rimanere in casa ad aspettare che il cadavere occupasse l’ultima posizione: ma così i tempi della sua permanenza accanto a Chiara si dilaterebbero. Non starebbero più nei 9 minuti sostenuti dalla parte civile e condivisi dall’accusa.
7 L’ALIBI DELL’IMPUTATO NEl SUO computer?
Tra le 9.36 e le 12.20 Stasi ha un alibi di ferro. I periti informatici Roberto Porta e Daniele Occhetti hanno recuperato i file temporanei sfuggiti agli esperti del Ris: in quelle ore l’imputato ha salvato ripetutamente il file della tesi che stava scrivendo, quindi non può avere ucciso. La procura di Vigevano ha evitato di presentare una controconsulenza, mentre la parte civile ha obiettato che il pc di Stasi è portatile e poteva essere usato ovunque. La parte civile non esclude che possa avere manomesso l’orario del pc per precostituirsi l’alibi.
8 DAVVERO LA PORNOGRAFIA il movente DElL’OMICIDIO?
«Stasi considerava il suo interesse per la pornografia come un aspetto della sua personalità che non doveva essere rivelato» ha sostenuto il pm Rosa Muscio. Per accusa e parte civile il movente del delitto può nascondersi nel rapporto di coppia, in una foto, un filmato, un segreto inconfessabile scoperto da Chiara nella vita o nel pc di Alberto. Però nessuno ne ha trovato traccia. I periti informatici escludono anzi la presenza di materiale pedopornografico sul computer del fidanzato (le immagini contestate sono state comunque cancellate mesi prima).
Le immagini pornografiche, invece, erano catalogate in una cartella non facile da trovare. Chiara, la sera prima di morire, è rimasta una decina di minuti da sola, in casa, col computer del fidanzato. Ne avrebbe impiegati più di quattro per trovare quelle immagini, quindi difficilmente ha aperto quella cartella. Per l’accusa e la parte civile invece avrebbe potuto trovarle più rapidamente e non si può escludere che la causa della lite sia in quel pc. Dagli scambi informatici avvenuti prima del delitto comunque emerge un rapporto fatto di complicità, affetto e disinibizione.
Un interrogativo riguarda un’email in cui Alberto, da Londra, scrive a Chiara che come richiesto le avrebbe comprato un dolce, una «lemon curd» destinata a un’amica di lei. Il fidanzato chiede scherzosamente se l’amica le abbia almeno offerto una cena. «No» è la risposta che Chiara scrive il 26 luglio, due settimane prima di morire. «Però mi porta tutti i giorni un dolcetto, cornetto, brioches». Chi è questa persona? Portava la colazione a Chiara a casa o in ufficio? Può essere lei l’assassino? E può avere qualcosa a che fare con la bici nera da donna, notata davanti a casa di Chiara?
9 LA BICI NERA PARCHEGGIATA HA UN LEGAME CON IL DELITTO?
Franca Bermani, una vicina di casa, ha sempre detto di avere visto una bici nera da donna (quella di Stasi è bordeaux, da uomo) parcheggiata la mattina dell’omicidio davanti al cancello dei Poggi, alle 9.10. Anche un’altra vicina, Manuela Travain, dice di avere visto una bici alle 9.23: però non ricorda se il giorno dell’omicidio o prima. In entrambi i casi è un ricordo che conferma la versione di Bermani e la presenza di un altro frequentatore della casa di Chiara, nel primo mattino. Di chi si tratta?
10 LA TELEFONATA AL 118 DA DOVE PARTITA?
Stasi non ha chiamato l’emergenza del 118 da casa Poggi, ma dal suo cellulare. Non ha avvisato subito che la sua fidanza era morta, invece ha usato altre parole: «Credo abbiano ucciso una persona». Trentotto secondi esatti dopo avere iniziato la telefonata, che come sempre è stata registrata, si sente in sottofondo la voce di una carabiniere perché, a quel punto, Alberto è già arrivato in caserma (e lo dichiara lui stesso parlando con il pronto soccorso). Per l’accusa questo è indicativo della menzogna: Alberto non ha chiamato i soccorsi dopo essere uscito dalla casa della fidanzata perché non è mai andato a cercarla.
Secondo i periti informatici, invece, il cellulare di Stasi ha agganciato una cella di rete compatibile con quella di casa Poggi, segno che stava provenendo proprio da lì. Paolo Reale, perito di parte civile, sostiene invece che non c’è certezza sulla cella che avrebbe dovuto agganciare. Ma Stasi avrebbe potuto rischiare di denunciare il delitto senza passare a controllare che nessun altro se ne fosse accorto prima? l’ultimo mistero.