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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

PIETRANGELO BUTTAFUOCO PER PANORAMA 16 DICEMBRE 2009

Fini c’è ma la destra dov’è? Il presidente della Camera si è ritagliato il ruolo di concorrente di Silvio Berlusconi. Infatti piace più alle élite di sinistra e al popolo del No-B day che ai suoi elettori e agli intellettuali di area. Così adesso ci s’interroga: esiste davvero spazio per il «Finismo»? E chi rappresenterà i valori della tradizione?

Fini c’è. E questo è il dato. Il presidente della Camera s’è ormai ritagliato uno spazio inedito: culturalmente e politicamente lui è, infatti, il diretto concorrente di Silvio Berlusconi. Perfino alla manifestazione romana dei «viola», il raduno del No Berlusconi day (un caleidoscopio di sigle dall’Idv ai grillini, alla sinistra extraparlamentare, fino ai gruppettari), il più fortunato equivocabile slogan è stato «Per fortuna che Gianfranco c’è». Fini c’è soprattutto per loro ed è un ovvio cortocircuito il suo esserci nelle pagine dei giornali, nelle punte d’ascolto in tv, nel suo successo in libreria (Il futuro della Libertà, edizioni Rizzoli), perché la sua prepotente capacità di stare al centro della contesa, anche al di là del ruolo istituzionale, rende superflua, sia politicamente sia nel dibattito delle idee, la sinistra.
Fini c’è ed è di destra, ma la domanda ovvia da farsi è un’altra. Si troverà anche una destra declinata secondo il suo marchio, ovvero laica, repubblicana, pragmatica, relativista in tema di valori spirituali e, dunque, politicamente corretta?
Ancora ai primi di dicembre, dopo l’intervento di Fini a Ballarò, i centralini del Campidoglio, a Roma, sono stati presi d’assalto da gente che chiamava da tutta Italia per parlare con Gianni Alemanno. Militanti dell’ex An infuriati con il presidente della Camera: «Attacca Berlusconi lui che ha fatto il Cesare dentro An oggi e nel Msi ieri». Questo il tenore delle proteste. Tutti militanti in cerca di un nuovo leader.
L’episodio ha fatto riflettere molto il sindaco di Roma in vista di una battaglia da preparare a mente fredda. Certamente esiste una destra che non si sente più rappresentata da Fini. Questa è la novità, resta da fare solo la conta delle truppe, ma il vantaggio in campo ce l’ha solo Fini. Lui, infatti, c’è. E se non si descrive ancora la sua destra, ci sono intanto «i ragazzi» del Secolo d’Italia. Si tratta di Flavia Perina e di Luciano Lanna.
Entrambi cresciuti nella militanza rautiana (da Pino Rauti, ideologo dello «sfondamento a sinistra», fondatore di Ordine nuovo, poi avversario storico nel Msi di Giorgio Almirante), Lanna e Perina furono a suo tempo attratti dalla fornace di quella eccentrica avventura ideologica che fu la Nuova destra.
Più che un gruppo, quello della Nd fu una stagione. Una geniale intuizione di Marco Tarchi: uscire dal tunnel del dopoguerra e finirla con il nostalgismo. Dagli anni 70 fino all’epoca del governo Craxi, grazie al lavoro di Tarchi la destra aggiornava il proprio bagaglio soprattutto a dispetto di dirigenti come Gianfranco Fini. Umberto Croppi, l’attuale assessore alla Cultura del Comune di Roma, per esempio, era quello che per evitare i soliti fasci littori e le adunate inventava le croci celtiche e i campi Hobbit. E veicolare le idee oltre l’angustia del recinto elettorale, il dialogare con intellettuali del livello di Massimo Cacciari e Giano Accade, sconfinare in mondi fino a quel momento chiusi quali l’editoria significava anche chiudere con un’idea vecchia della politica.
In un libro di Bruno Vespa del 2007, Storia d’Italia. Da Mussolini a Berlusconi, lo stesso Fini lo riconosce: «Eravamo in un piccolo mondo fuori dalla storia. Amministravamo il nostro orto. Solo qualcuno, tra noi, e cioè Beppe Niccolai, Mimmo Mennitti e Adolfo Urso, riteneva che con la caduta del Muro e con la svolta epocale conseguente sarebbe stato necessario uscire dagli steccati. Avevano ragione loro».
Oggi Tarchi, illustre politologo, docente all’Università di Firenze, è estraneo alla politica, se ne distacca decisamente ma la sua azione ormai remota presso la destra italiana sembra vivificare il suo «nemico», giusto quel Gianfranco Fini che non riusciva a tenere il passo con la Nd. L’attuale leader, infatti, veniva battuto ai congressi da Tarchi ma poi ripescato d’autorità da Almirante. Vecchie storie dunque, antichi torti, mentre quelli di oggi, uniti alle ragioni, sembrano ribaltare lo schema se si pensa che dalla cerchia di Tarchi arrivano gli editorialisti di oggi: Franco Cardini, su tutti, il massimo storico del Medioevo, che non teme di sfidare i mugugni provinciali redigendo sul giornale di Fini pezzi dove l’integrazione e il confronto culturale con l’Islam fanno da controcanto al bru bru islamofobo.
Non è un caso che lo sheik Omar Camiletti, il più autorevole fra gli intellettuali italiani di religione musulmana, firmi anche lui nel Secolo di oggi dove accanto ad Angelo Mellone (adesso scrive anche sul Foglio) e Alessandro Campi (storico) arrivano le nuove leve: i giovani di Farefuturo, quali Filippo Rossi (autore con Lanna di un grande successo Vallecchi, Fascisti immaginari) e Antonio Rapisarda. Collaudati anche in tv, questi ultimi, disinvolti e pronti ad aggiornare il torneo delle ospitate. Molti, dunque, sono i nomi che ritornano dalla stagione della Nuova destra: il filosofo Francesco Tomatis (considerato da Style del Corriere tra i pensatori neopop), quindi il costituzionalista Nicolò Zanon e, infine, Simone Paliaga, capoufficio stampa della sofisticata editrice Raffaello Cortina.
Per ampliare l’elenco delle forze nuove che arrivano dalle parti di Farefuturo, utile l’aiuto giusto da Luciano Lanna: «Ci sono figure come Agostino Carrino, costituzionalista, amico di Alain de Benoist, già direttore editoriale di Guida. una storia singolare quella di Carrino. Ordinovista da giovane, poi vicino all’Istituto Gramsci, dunque vicino a Massimo D’Alema, adesso è con Fini. Oppure Gianluca Nicoletti, anche lui con un passato da ordinovista, giornalista e intellettuale esperto di tv, ora collaboratore di Farefuturo. Un nome importante è quello del poeta Giuseppe Conte, destrorso da ragazzo, libertario. Fino a qualche anno fa votava per Fausto Bertinotti e ora collabora con la fondazione di Fini. Per non dire di persone come Walter Pancini, missino da campi Hobbit e adesso presidente dell’Auditel… E poi, con loro, i migliori della stagione Nuova destra: Peppe Nanni (consigliere d’amministrazione del Piccolo di Milano) e Monica Centanni (cda dell’Inda, Istituto nazionale del dramma antico».
Una storia a parte se la sta costruendo Fabio Granata, politico siciliano, molto amato da Andrea Camilleri e da Giulia Maria Crespi per via delle sue battaglie ambientaliste. il braccio armato di Fini nei terreni più scivolosi: la mafia innanzitutto. Al punto di far sospirare spesso Antonio Di Pietro, davanti alle telecamere di Michele Santoro: «Magari fossero tutti come Granata».
E a proposito di mafia, un segnale inequivocabile dell’aria che tira, ma col vento in poppa, per Fini, si nota in un dettaglio: Paolo Borsellino. Ancora fino a qualche mese fa nessuno s’azzardava a «sporcare» il nome del magistrato con la Fiamma tricolore al calore della quale Borsellino affidava i principi della pulizia morale. Non c’era cronista o commentatore, fino a ieri, che non cercasse però di sfumare in un più eufemistico impegno universitario «filomonarchico» quello che oggi, con più disinvoltura, da insospettabili democratici viene ricordato con entusiasmo: l’adesione del magistrato agli ideali del Msi.
Come dire? il partito che oggi consolida in Fini la convinzione di stare dalla parte giusta, dunque non dalla parte di Berlusconi. Giusto per notificare un «pizzino». Scritto con l’inchiostro del luogo comune. Giusto per la cronaca: quando gli universitari di destra di Palermo gridavano per le strade «Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino», gli stessi cronisti e i commentatori di oggi si premuravano di nascondere la macchia ideologica del magistrato. Così come faceva Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato, che ancora sabato 5 dicembre, alla manifestazione dei «viola», mentre issavano i cartelli «Per fortuna che Gianfranco c’è», s’è esibito in un’incredibile dichiarazione che solo per carità di patria è caduta nel vuoto: «Berlusconi è stato voluto dalla mafia». Proprio il giorno dopo la polizia assicurava alla galera altri due pericolosi mafiosi: Giovanni Nicchi e Gaetano Fidanzati.
Ma adesso tutto torna buono: perfino la Fiamma sull’altare del politicamente corretto. Perché, appunto, adesso Fini c’è. E c’è dunque anche una sua destra. Pare che però fosse viva dentro i giornali e nelle manifestazioni del No Berlusconi day. E nell’opinione dell’élite. Di sinistra possibilmente.