Francesca Paci, La Stampa, 11/12/2009, 11 dicembre 2009
SEI ORE PER CANCELLARE I RICORDI DELLA PAURA
Avete mai provato a raccontare a chi soffre di vertigini l’emozione d’una mezz’ora in funivia? Non è necessario che il malcapitato abbia provato l’oscillazione della cabina nel vuoto: gli basterà rievocare l’ultima disavventura in alta quota per pregarvi di smettere. Perchè l’esperienza del panico generalmente non dura molto, ma il suo ricordo mette radici così profonde che, come la metaforica selva oscura dantesca, già «nel pensier rinnova la paura».
Da decenni medici e psicologi curano le fobie umane intervendo sulla memoria, l’enorme magazzino in cui ammassiamo in modo disordinato frammenti di vita. Spesso, finora, l’unica bussola per raggiungere l’uscita è stata farmacologica. Uno studio dello «Us National Institute of Mental Health», appena pubblicato da «Nature», suggerisce oggi una via alternativa che, lavorando sul tempo in cui lo spavento sedimenta nel cervello, porta a termine la pulizia della mente senza l’ausilio di pillole o gocce oblianti.
Secondo gli scienziati americani, ci sono sei ore a disposizione per cancellare un’immagine scioccante prima che diventi patologica. Il trattamento è simile a quelli tradizionali, spiega all’«Independent» la curatrice della ricerca Elisabeth Phelps, docente di psicologia e neurologia alla New York University. Solo che le lancette dell’orologio corrono più veloci: «La chiave è il tempo. Prestando attenzione alla maniera in cui la memoria viene immagazzinata e reimmagazzinata, possiamo mettere a fuoco la terapia intervenendo in anticipo».
Poniamo che uno abbia il terrore dei ragni. La vecchia scuola prevedeva che venisse messo a contatto con il tentacolare mondo di Aracne in condizioni «sicure», magari dietro la protezione di un vetro. Un percorso alla lunga senza uscita, sostiene la dottoressa Phelps. Molto meglio risalire alla radice, scatenando il ricordo di quella volta che il soffitto della casa al mare era foderato di ragnatele quasi fosse una prigione, e nei primissimi istanti in cui il cervello lo rivive tentare d’interferire sulla sua riconferma: «La nostra memoria riflette l’ultima proiezione piuttosto che l’evento originale. su quella che si deve lavorare».
Una prima prova di laboratorio, scrive «Nature», aveva dimostrato che alcuni topi spaventati dall’elettroshock potevano guarire ascoltando un suono associato alla scossa elettrica, ma innocuo. Solo che, per riuscire, il training doveva avvenire nei minuti iniziali del flashback. Passati a testare un gruppo di 19 volontari prestatisi all’esperimento, gli scienziati della New York University hanno scoperto che non c’era differenza: le persone «trattate» immediatamente cancellano, come i topi, la memoria della paura, quelle lasciate in attesa per più di sei ore la mantengono a distanza di anni.
«Gli studi indicano che ci sono finestre temporali nella storia della memoria in cui è possibile modificarla», osserva Daniela Shiller dello «Us National Institute of Mental Health». L’obiettivo non è creare un nuovo ricordo, ma recuperare quello doloroso originario e manipolarlo per renderlo inoffensivo.
«Nel sistema sanitario britannico utilizziamo già una terapia analoga nel trattamento di patologie ansiogene, ma senza tenere d’occhio l’orologio» dice Sacha Lawrence, psicologo alla City University di Londra. L’effetto clessidra è un’arma in più, la mente ha bisogno di tempo per dimenticare come per rafforzare quel che vorrebbe non aver mai conosciuto.
Non che domani sotto l’albero di Natale gli inglesi troveranno la cabala per affrontare senza timore i luoghi pieni di gente, preoccupazione che affligge un quinto dei sudditi di Sua Maestà. Ma Elisabeth Phelps promette giorni migliori: «Non serviranno più interventi invasivi come i farmaci, con le controindicazioni connesse per interrompere il processo con cui riviviamo la paura». Chissà che l’amico acrofobico assolutamente indifferente al racconto della funivia non finisca per decidere di provare, o riprovare.