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 2009  dicembre 16 Mercoledì calendario

Lo show è finito. Resta Maurizio Costanzo. Nell’abito tre pezzi di sempre, con una nuova collezione di tartarughine sulla scrivania, la voce ingoiata, un by-pass che lo costringe a prendere medicine diuretiche, la malinconia dei tempi (e degli anni, che son 71)

Lo show è finito. Resta Maurizio Costanzo. Nell’abito tre pezzi di sempre, con una nuova collezione di tartarughine sulla scrivania, la voce ingoiata, un by-pass che lo costringe a prendere medicine diuretiche, la malinconia dei tempi (e degli anni, che son 71). Eppur rinasce. Chiude dopo 26 anni la bottegha a Mediaset e la riapre di fianco, in Rai. Che cosa è successo? «Che il contratto è scaduto. Abbiamo fatto una altro anno ancora, poi come nei matrimoni e negli amori si cambia. Adesso che nei sentimenti sono diventato stanziale, mi sposto nel lavoro. Ma non sono stato uno di quelli che andavano di qua e di là di continuo. In Mediaset ho passato una vita e avuto ogni incarico, dalla direzione di Canale 5 a Mediatrade, alle trasmissioni. Ora finisce. Capita». Non faccia finta di niente, glielo leggo il rimpianto... «Lo scriva anche, se vuole. Se vuole farmelo dire. Ma sono sereno». Senza una telecamera accesa nei paraggi secondo me lei non credepiù di esistere, si sente morto. Sbaglio? «Sì. Quando ho smesso di fare Buona domenica sono andato in giro e ho scoperto la domenica reale...». Quella cosa con la messa, le famiglie a passeggio, lo stadio che fa buuu all’uomo nero? «La vita. A me piace e l’ho ritrovata con piacere. Ora ne scoprirò un’altra». Ma va in Rai, mica in pensione... «Appunto. Farò ancora radio, farò di nuovo l’autore...» E rifarà lo show... «No. Cioè sì. Ognuno in Tv sa fare una cosa sola. Io so solo fare il talk, le interviste. E basta. Ma non rifarà il Costanzo Show. Semmai Bontà loro 2. Così chiuderò un cercio e tutto mi sembrerà avere più senso. Li ho iniziato e lì concludo». Perché crede che esista ancora uno spazio per chiacchierare senza la bava alla bocca, per la decenza e per la parola che nasce dal cervello e non dalla volontà del padrone di turno? «Siamo alla barbarie. Il fondo è lo strepito sul video della Mussolini che nessuno ha mai visto e non è neppure certo che esista. Vede alle sue spalle? Tengo otto monitor accesi senza audio e vedo la Mussolini che urla saltellando da uno all’altro. Si rende conto?». Come ci si è potuti ridurre così? «Non lo so, so solo che è allarmante». Provo una spiegazione, mi consenta: tutto comincia con un critico d’arte a nome di Vittorio Sgarbi che insulta un preside e diventa famoso. Dove è accaduto questo fatto? «Massì, va bene, vuol dire che è colpa mia? E lo dica. Ma almeno il motivo della lite era una poesia. Ed esisteva e quei due la conoscevano: c’era della sostanza. Poi però, negli anni successivi, io sono stato il primo a far smettere le risse. La rissa è proseguita altrove». A reti unificate, direi.C’è qualcosa da salvare nel palinsesto e non solo italiano? «Quello di cui accuso la Tv è la grande superficialità. Ha concesso a chiunque la supposizione di farcela. Non c’è più bisogno di essere un grande scrittore, un grande architetto. In Europa non ce n’è più uno, ma tutti sono andati in Tv. La Tv ha spinto tutti. l’epoca dell’aiutino. Il tempo della povertà. Una volta io parlavo con Gassman e Mastroianni. Mo’ che faccio, chiamo Scamarcio?». Qua siamo. reversibile? «Non lo so. Temo di no. Nessun fenomeno mediatico lo è». Questa se l’è cercata: allora che cosa c’è dietro l’angolo? «L’ho sempre chiesto, non l’ho mai saputo. Quel che so per certo è che non mi piace vivere in un mondo di denunce non provate, di fango nel ventilatore. Per fortuna ho settantun anni e posso restare di lato e non mischiarmi. Quel che mi dà apprensione è che la barbarie non abbia avversari». Dovesse fare una puntata su quelli che non la incarnano, chi inviterebbe? «Quelli con cui chiuderò: Andrea Camilleri e Gino Strada. Due dei trentatremila ospiti che ho avuto». Gli ultimi. Sembra impossibile, la gente con meno di cinquant’anni crederà di aver sbagliato canale. Mi spiega una cosa: che succede a Silvio Berlusconi? «In che senso?». Anche se non lo condivido politicamente ho sempre apprezzato la sua lealtà con chi c’era all’inizio, a Mediaset come al Milan. Poi lascia far fuori in quel modo Mike Bongiorno, non difende Paolo Maldini o Gattuso, e pure con lei... «Mannò, con me è stato fino in fondo un amico. Gentile. ha detto che se poteva mi avrebbe dato una mano». Se poteva? Gli basta alzare un dito... «Infatti mica sto a spasso. che ormai lui non può più fare l’editore o il presidente della squadra di calico. un peccato, per la Tv, per il calcio e per lui. Quando parla di queste cose ancora s’illumina, con la politica si rabbuia. Gli devo molto, soprattutto la libertà». Nessun rimprovero, mai? «Si è risentito due volte, entrambe perché avevo invitato Di Pietro. Ma non me l’ha neppure detto di persona, l’ho saputo. Lui era una garanzia, più facile essere liberi con lui che con chi crede di interpretarne la volontà. Portavo D’Alema, portavo Rutelli e l’ho sostenuto come candidato sindaco mentre lui si era pronunciato per Fini». Adesso si fermi e provi a immaginare: un pentito dice che è stato il suo garante della libertà a dare l’ordine di farla saltare in aria a via Fauro... «Quel pentito è un ventriloquo, quella cosa non è possibile». Guarda mai il programma del suo amico Santoro, dove questo e altro appare possibile, quasi probabile, praticamente certo? «Santoro resta un amico, anche se sì e no ci parliamo. Comunque sì, lo guardo». E? «E lui fa un programma diverso dal mio. Io non faccio trasmissioni a tema. Non vado sul palco pensando: crede che le cose stiano così e adesso cerco di dimostrarlo. Preferisco andare a scoprire qualcosa strada facendo, dovunque mi porti il percorso».  mai arrivato da qualche parte? «Se da un talk show si tira fuori un brandello di verità, si è arrivati a un successo». Ci è mai riuscito? «Pensi alle lacrime di Gorbaciov mentre ricordava sua moglie Raissa». Lei chiude l’ultimo sipario dello show con un commiato. Ma non va mica via, trasloca. Se ne andrà mai? «Quando lo dirà il pubblico». Secondo me adesso si fa altri ventisei anni in Rai. «No, lo giuro». Le darei appuntamento tra ventisei anni qui per la verifica, non fosse che per allora, anche se ci fossi, avrò smesso di scrivere. Lei, se ci fosse, sarebbe ancora in Tv. «Scommettiamo? Lei mi vedrà uscire di scena». Che cosa le ha dato più soddisfazione fin qui? «L’essere stato a fianco della grandezza. La vede quella fotografia? Lo vedeTotò come mi guarda, io sono quello di fianco, giovane, giovane, li vede gli occhi del principe rivolti a me? E adesso le do quest’altra cosa, questo libriccino che contiene una lettera di Alda Merini, la poetessa. Legga, dice: ”Nessun uomo, Maurizio, si è mai seduto vicino a me con tanta deferenza e rispetto e nessun uomo mi ha guardata cosi profondamente negli occhi per scoprirvi quelle lacrime che nessuno ha mai visto"». Dicono che lei ci fa. «Ci sono». Non ha già avuto abbastanza? Che cosa le manca ancora? «Ho avuto successo in Tv, a teatro, con ilibri. Mi manca il cinema. Vorrei tanto scrivere ancora un film e che ne facessero qualcosa di buono». Ne ha pur fatti, anche negli ultimi anni. Non le sono piaciuti? «In America i grandi registi si fanno scrivere le storie, qui preferiscono fare da soli. Lì nasce il problema». Ritenterà? «Se trovassi un produttore, sì». Io l’ho sempre vista qui, al Teatro Parioli a fare lo show, che fosse di sera o di mattina, in chiaro o sul digitale terrestre, con o senza il pubblico. L’ho sentita telefonare a sua moglie e parlare di share. Con suo figlio Saverio abbiamo mangiato qui in una pausa delle riprese. Ma lei ce l’ha una oltre la telecamera? «Ho due figli e uno adottato. Tre nipoti e il quarto in arrivo». Sembra la premessa alla dichiarazione d’intenti di dedicarsi di più a loro. Poi estrae una copia del suo ultimo libro (La strategia della tartaruga), indica il programma in corso nel suo teatro, annota un appuntamento in un’agenda che è una foresta di impegni con tutti i nomi che hanno fatto la storia della politica e della finanza contemporanea, si prepara per la prossima registrazione come fosse la prima, non l’utima. Bisogna pur che qualcosa finisca perché tutto ricominci.