Valerio Cappelli, Corriere della sera 10/12/2009, 10 dicembre 2009
L’opera è follia- Lucio Dalla parla di lirica come un visionario poeta argentino mezzo sbronzo, fa raccordi e associazioni che sono delle capriole mentali difficili da semplificare sul giornale, triangoli con quattro lati quando ti parla col naso di cartone, clown controvento, in modo quasi autistico di «codici» e «epos», ma poi tutto torna, a sprazzi raggiunge una verità accecante, altre volte è come le tele dolenti di Bacon protette dal vetro, ma puoi sempre guardarci dentro diceva lui, ed è il mistero delle creatività
L’opera è follia- Lucio Dalla parla di lirica come un visionario poeta argentino mezzo sbronzo, fa raccordi e associazioni che sono delle capriole mentali difficili da semplificare sul giornale, triangoli con quattro lati quando ti parla col naso di cartone, clown controvento, in modo quasi autistico di «codici» e «epos», ma poi tutto torna, a sprazzi raggiunge una verità accecante, altre volte è come le tele dolenti di Bacon protette dal vetro, ma puoi sempre guardarci dentro diceva lui, ed è il mistero delle creatività. Domani al Gran Teatro la Rai riprende il suo dramma pop Tosca amore disperato che è «un bambino» di sei anni, poi tornerà dal 4 al 14 febbraio. Lucio farà due monologhi: sull’ambientazione e sulla figura di Pasquino, una sua invenzione. Rispetto alle passate edizioni c’è l’Orchestra Roma Sinfonietta. Che cosa aggiunge la musica dal vivo? « un’intuizione giusta di quel pazzo di Zard (il produttore David Zard, ndr ) che aggiunge il 60 per cento in più come impatto e sonorità. L’Orchestra è un testimone sia del rito che del metodo, è lo spettro acustico che si allarga». I protagonisti sono gli stessi, Graziano Galàtone (Cavaradossi), Vittorio Matteucci (Scarpia). Ma soprattutto Tosca «è» lei, Rosalia Misseri. «Io sono anche produttore e ti assicuro non ho mai lavorato con dei talenti così straordinari. Rosalia non sfigurerebbe al Met di New York » . Lucio ha riscritto il plot. I libretti d’opera: soap opera o letteratura? «Non puoi dissociarli dalla loro funzionalità nella lirica. Mi viene in mente il Padrino parte III, nel finale provano a uccidere il boss e invece muore la figlia. Beh, qui il melodramma si estende alla sceneggiatura. All’opera succede lo stesso, va presa con gli effetti collaterali che crea». Mentre fino agli anni ”80, per l’avanguardia, l’opera era «una puttana morta», un genere defunto, le altre espressioni inciampano nel melodramma e si fanno opera: i film Tutto su mia madre e Parla con lei di Almodòvar sono due melodrammi. «Assolutamente sì. Come lo è Giulietta e Romeo con DiCaprio ambientato ai giorni nostri, tant’è vero che del regista Baz Luhrmann ho visto una straordinaria Bohème al Met. I libretti come genere non sono più ascrivibili solo all’800, anche se sono ridicoli: diventano preziosi quando li incastoni in tutto il malloppo». E il suo, di libretto? «Se dovessi analizzarlo con quello originale di Illica e Giacosa, ti direi che il mio è più bello nei meccanismi creativi. Io ribadisco i temi dell’archetipo di Sardou: il potere, la Chiesa opprimente, il tradimento ». In Tosca non c’è un secondo di troppo, capolavoro di concisione drammaturgica. «Il pubblico romano della prima del 1900 non accettò quella modernità. Era una grande operazione di linguaggio. Il primato di Tosca è una modernità casuale, Puccini ti mostra una Roma che vedi anche oggi, ecco, è una musica da vedere». E i personaggi oggi chi potrebbero essere? «A prima vista Scarpia è Berlusconi. Però il premier ha una tenuta sociale e umana diverse. Scarpia è un prefetto del Sud oppure un mafioso, uno dei superlatitanti arrestati. Io ho aggiunto il background, immagino il padre che lo picchiava. La sua morte è un’esecuzione. Tosca è l’eroina più moderna, la donna che non subisce». Quella è Carmen. «Tosca è più inquinata, educata da santa prostituta, è una che nel confessionale fa l’amore con Cavaradossi. Il quale è tutt’altro che un patriota, potevano definirlo di sinistra, ma chi se ne frega avrebbe detto lui». Ci sono due gocce che non sono di Lucio: una dai Kindertotenlieder di Mahler e l’altra è una citazione dalla Tosca di Puccini. « una citazione rovesciata, è Scarpia che canta: Tosca è fuggita e io muoio disperato » . Il mondo classico, così immerso nella ritualità, come le sembra? «L’ambiente dell’opera è orribile, Il pubblico, le abitudini, è tutto cristallizzato. un mondo separato, un box da manicomio, è una distorsione del reale. Poi certo c’è il fascino...». Però ora fa il regista d’opera. «Sono arrivato a sei regie, Medusa sta per fare uscire un cofanetto con tutte quante». Da giovane avrà rifiutato la musica lassica. «Non me ne fregava niente. Neanche ora me ne frega più di tanto. Capisco i valori. Da ragazzo, al cineforum di Parma alle prime di Pasolini, vedevo i contadini che andavano all’opera in calesse, c’era pure il padre di Pavarotti, che come tenore era bravo quanto il figlio». Il suo stile, il modo di raccontare una storia in tre minuti è cambiato dopo l’incontro con la lirica? «Difficile rispondere. Io penso che il mio ultimo cd, in tutta la mia storia, se non è il più bello ci sono andato vicino. Le mie esperienze fondamentali, con Chet Baker e con Theolonious Monk. Comunque a Puccini dovrebbero accendere un cero ogni giorno. Non ho rimodernato Tosca , ho cercato di eroicizzare la grandezza della sua costruzione » . Caruso è un’anomalia nella sua vita di cantastorie? «Anomalia assoluta. Se non avessi rotto la barca in mezzo al mare non l’avrei scritta. Ha venduto più di 50 milioni di copie nel mondo». Sorride e se ne va canticchiando il suo scat, masticando suoni incomprensibili.