Cristiana Mangani, il Messaggero 10/12/2009, 10 dicembre 2009
La Procura: Nicolas ha sparato, ma i suoi amici lo hanno aiutato- TIVOLI - «Marescià ho fatto una cazzata, ho ammazzato uno
La Procura: Nicolas ha sparato, ma i suoi amici lo hanno aiutato- TIVOLI - «Marescià ho fatto una cazzata, ho ammazzato uno. Gli ho sparato in faccia». Nicolas Iori, 18 anni, resiste poco alla menzogna. Un bulletto, come lo definiscono gli amici, non è un killer professionista, sebbene abbia ucciso Stefano Onofri come un boss della camorra. Ieri si è trovato, insieme con i suoi complici Michele Sisti e Gianluca Di Nardo, davanti al giudice per le indagini preliminari che doveva decidere sulla sua custodia in carcere. E fino a tarda sera sono rimasti tutti e tre lì, a Rebibbia, a raccontare al giudice la loro verità. Era stato Di Nardo il primo ad aprire il fronte verso la confessione, ha guadagnato i domiciliari ma non deve aver detto tutto quello che sapeva, perché il pm Guerra e il procuratore De Ficchy non sono rimasti affatto convinti delle sue dichiarazioni. Così i carabinieri di Tivoli, guidati dal capitano Luca Palmieri, hanno continuato a indagare e hanno dragato il fiume Aniene con i colleghi del Nucleo subacqueo, nel punto dove Iori aveva detto di aver buttato la 6,35 con la quale ha ucciso il ”rivale”. La pistola è stata ritrovata a poco meno di due metri di profondità e apre uno scenario che andrà a pesare sempre di più sulla condotta dei tre ragazzi. Se è vero, infatti, che Nicolas si è assunto la responsabilità del delitto, dicendo ai pm che gli altri due amici si erano allontanati mentre lui sparava e che lo hanno aiutato solo a nascondere il corpo, il ritrovamento dell’arma potrebbe condurre a ben altro tipo di complicità e partecipazione. Nella ricostruzione che la procura sta delineando, ci sarebbe un progetto omicida definito, premeditato, al quale avrebbero partecipato ognuno rivestendo un preciso ruolo. L’arma recuperata, infatti, sarebbe ”pulita”, non avrebbe la matricola abrasa, e probabilmente i carabinieri impiegheranno poco tempo per arrivare al legittimo proprietario. L’idea sempre più concreta è che sia stato Sisti a portarla all’amico. Sapeva che con quell’arma avrebbe voluto uccidere Stefano? O pensava che volesse soltanto mettergli paura? Gli inquirenti non possono fare a meno di considerare che il papà di Michele è presidente dell’associazione cacciatori di Castel Madama, ha il porto d’armi e possiede molte pistole. L’interrogatorio di garanzia è durato un’intera giornata, e a tarda sera non era ancora terminato. Forse gli indagati hanno scelto di dire la verità per intero. E forse si è aggravata la posizione di Sisti che, dai domiciliari rischia di ritornare in carcere. Stefano Onofri, infatti, è morto dopo quel colpo sparato a distanza ravvicinata. Prima di quello era stato stordito con una mazza da baseball. Era un ragazzone Stefano, da solo Nicolas non ce l’avrebbe fatta. Lui, l’assassino, dice che voleva dargli una lezione e che quello gli ha detto: se mi lasci vivo, ti ammazzo io. Altre conferme arriveranno probabilmente dai tabulati telefonici, qualche sms potrebbe rivelare più chiaramente le intenzioni dei tre. I carabinieri ci stanno lavorando, ma l’unica cosa a cui non riescono a dare una risposta è come mai tre ragazzi, forse un po’ bulli, incensurati, figli di famiglie di lavoratori, possano aver deciso una sera di armarsi e uccidere un loro coetaneo per un movente che non c’è. Più di Pietro Maso, più di Erika e Omar.